Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12374 del 23/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 23/06/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 23/06/2020), n.12374

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25961/2015 proposto da:

L.M., M.F., R.M.,

S.L., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CONCA D’ORO n.

184/190, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO DISCEPOLO, che li

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 104/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 06/05/2015 R.G.N. 468/2014.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’Appello di Ancona ha accolto solo parzialmente l’appello proposto da L.M., M.F., R.M., S.L., nonchè da altri litisconsorti che alla sentenza d’appello hanno prestato acquiescenza, avverso la pronuncia del Tribunale di Macerata che aveva rigettato tutte le domande formulate nei confronti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca volte ad ottenere: la dichiarazione di nullità dei termini apposti ai contratti a tempo determinato intercorsi fra le parti, la conversione del rapporto sin dalla prima assunzione, la condanna al risarcimento del danno derivato dall’abusiva reiterazione, la condanna al pagamento delle differenze retributive conseguenti alla mancata equiparazione al personale, docente ed amministrativo, assunto a tempo indeterminato;

2. la Corte territoriale, per quel che rileva in questa sede, ha ritenuto che il Ministero avesse abusato del contratto a termine limitatamente al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario nonchè ai docenti ai quali l’incarico era stato conferito, sostanzialmente senza soluzione di continuità, per la copertura di posti del cosiddetto organico di diritto, perchè in tal modo l’amministrazione aveva soddisfatto esigenze stabili dell’organizzazione scolastica;

3. il giudice d’appello ha escluso, però, che i rapporti potessero essere convertiti ed ha motivato la pronuncia mediante il richiamo a principi affermati da questa Corte, rilevando anche che il divieto di conversione previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, non contrasta con il diritto dell’Unione qualora, attraverso il risarcimento del danno, l’abuso venga comunque sanzionato;

4. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso i litisconsorti indicati in epigrafe sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria, al quale il MIUR non ha opposto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il ricorso denuncia, con un unico motivo, la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della direttiva del Consiglio CE 1999/70 del 28/6/1999 nonchè degli artt. 1, 2 e 5 dell’accordo quadro CES-UNICE-CEEP allegato alla direttiva; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1, 4, art. 5, comma 4 bis, artt. 10,11, nonchè del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, anche in relazione alla direttiva comunitaria; violazione dell’art. 3 Cost., art. 33 Cost., comma 4 e art. 34 Cost.”;

1.1. sostengono i ricorrenti che il risarcimento del danno previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, anche nell’interpretazione elastica fornita da quella giurisprudenza che ha utilizzato ai fini della liquidazione il criterio indicato dall’art. 18 dello Statuto, non costituisce una misura adeguata ed effettiva idonea a prevenire l’abuso nella reiterazione del contratto a termine;

1.2. aggiungono che non è giustificata la disparità di trattamento fra lavoratori del settore pubblico e quelli del settore privato e di conseguenza si deve ritenere che, quanto alla conversione, il contrasto tra il D.Lgs. n. 165 del 2001 ed il D.Lgs. n. 368 del 2001 debba essere risolto dando prevalenza a quest’ultimo;

1.3. rilevano infine che nel settore scolastico non è ostativo alla trasformazione del rapporto l’art. 97 Cost., giacchè le immissioni in ruolo ed i conferimenti delle supplenze temporanee avvengono sulla base delle medesime graduatorie;

2. preliminarmente occorre rilevare che avverso la medesima sentenza n. 104/2015 della Corte d’Appello d’Ancona il Ministero dell’Istruzione ha proposto ricorso avviato alla notifica il 6 novembre 2015 e ricevuto l’11 novembre successivo dall’Avv. Diomede Pantaleoni, procuratore domiciliatario nel giudizio d’appello degli attuali ricorrenti;

2.1. la causa, iscritta al n. 26913/2015 R.G., è stata trattata all’udienza pubblica del 28 gennaio 2020 e nè in quella nè in questa sede è stata portata a conoscenza della Corte la pendenza della pluralità di impugnazioni, emersa dalla consultazione del registro informatico e “rilevabile in virtù del principio secondo cui i poteri cognitivi del giudice di legittimità possono pervenire alla cognizione delle proprie pronunce anche mediante quell’attività di istituto, che costituisce corredo della ricerca del collegio giudicante, deponendo in tal senso il duplice dovere di prevenire il contrasto di giudicati, in coerenza con il divieto del bis in idem, nonchè di conoscere i propri precedenti, nell’adempimento del dovere istituzionale della Corte, nell’esercizio della funzione nomofilattica di cui all’art. 65 ord. giud.” (Cass. S.U. n. 9951/2019 in motivazione);

3. nella giurisprudenza di questa Corte, che sul punto non ha espresso orientamenti omogenei, è prevalente quello alla stregua del quale “nell’ipotesi in cui avverso una sentenza di merito, già impugnata con ricorso principale per cassazione, sia stato successivamente proposto un ulteriore ricorso, presentato come autonomo, senza che sia portata a conoscenza della Corte la pendenza della pluralità di impugnazioni, la loro mancata riunione, con conseguente decisione di uno dei due ricorsi, mentre non incide sulla validità della pronuncia già adottata (anche laddove quest’ultima abbia avuto per oggetto l’impugnazione esperita successivamente), preclude, tuttavia, in forza dei principi di unità della decisione, giusto processo e sua ragionevole durata, l’esame dell’altro ricorso, che diventa pertanto improcedibile” (Cass. n. 7096/2016 richiamata in motivazione dalla citata Cass. S.U. n. 9951/2019);

3.1. nella fattispecie, peraltro, non risulta ancora pubblicata, alla data di celebrazione dell’adunanza camerale, la sentenza che ha definito il ricorso iscritto al n. 26913/2015 R.G., sicchè, ad avviso del Collegio, quel principio non può operare, perchè lo stesso presuppone l’avvenuta definizione del processo, che nel giudizio di legittimità si deve ritenere pendente sino a quando non siano state completate le formalità di pubblicazione della relativa sentenza (Cass. n. 21211/2014; Cass. 10070/2008; Cass. n. 16081/2004);

4. d’altra parte, però, non può essere disposta la riunione, seppure obbligatoriamente prevista dall’art. 335 c.p.c., perchè il ricorso iscritto al n. 26913/2015 R.G. è già stato discusso all’udienza pubblica del 28 gennaio 2020 e perchè l’obbligo previsto dalla norma richiamata, che è finalizzato a prevenire la formazione di giudicati contrastanti, non opera, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in presenza di impugnazioni inammissibili (Cass. n. 18949/2010; Cass. n. 18447/2004), alle quali nell’attuale contesto processuale, devono essere assimilate quelle manifestamente infondate (Cass. S.U. n. 7155/2017);

4.1. da tempo, infatti, le Sezioni Unite di questa Corte hanno evidenziato che il principio della ragionevole durata del processo costituisce “un preciso parametro costituzionale ai fini della conformità a Costituzione di tutte le norme che direttamente o indirettamente determinano una ingiustificata durata del processo, fornendo agli addetti ai lavori, ed in primo luogo al giudice, uno strumento per verificare la tenuta e la portata delle singole norme del codice di rito e per garantirne una interpretazione costituzionalmente orientata” (Cass. S.U. n. 20604/2008);

4.2. dal principio si è tratta la conseguenza che al giudice, anche di legittimità, è fatto obbligo di evitare comportamenti che si traducano in un inutile dispendio di attività processuali ogniqualvolta, a fronte di un ricorso prima facie infondato, il compimento dell’attività processuale, seppure previsto, si tradurrebbe in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (cfr. fra le tante Cass. n. 16141/2019 e Cass. n. 12515/2018);

5. il ricorso è manifestamente infondato perchè la decisione gravata, che ha escluso la possibilità di convertire i contratti a termine in rapporti a tempo indeterminato, è conforme all’orientamento, da tempo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, e del quale è stata fatta specifica applicazione in tema di reclutamento del personale scolastico (punti da 69 a 75 della sentenza n. 22552/2016, ribaditi in numerose successive pronunce dello stesso tenore), secondo cui nell’impiego pubblico contrattualizzato la conversione del rapporto è impedita, senza eccezione alcuna, dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, che, in tutte le versioni succedutesi nel tempo, ha sempre previsto che ” in ogni caso la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione”;

5.1. si tratta di un principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 5072 del 2016 ed in relazione al quale sia la Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 89/2003) che la Corte di Giustizia (sentenza 7.9.2006 causa C-53/04 Marrosu e Sardino) da tempo hanno escluso profili di illegittimità costituzionale e di contrarietà al diritto dell’Unione;

5.2. l’orientamento ha trovato ulteriore avallo nella più recente giurisprudenza del Giudice delle leggi (Corte Cost. n. 248/2018) e della Corte di Lussemburgo (Corte di Giustizia 7.3.2018 in causa C-494/16, Santoro), che, da un lato, ha ribadito l’impossibilità per tutto il settore pubblico di conversione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato; dall’altro ha riaffermato che la clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE non osta ad una normativa nazionale che vieta la trasformazione del rapporto, purchè sia prevista altra misura adeguata ed effettiva, finalizzata ad evitare e se del caso a sanzionare il ricorso abusivo alla reiterazione del contratto a termine;

5.3. nè si può sostenere che il divieto di conversione sarebbe privo di copertura costituzionale nella fattispecie, perchè l’assunto con contratto a termine, nell’ambito scolastico, viene individuato sulla base delle medesime graduatorie permanenti, poi divenute ad esaurimento, delle quali l’amministrazione si avvale per l’instaurazione dei rapporti a tempo indeterminato;

5.4. valgano al riguardo le considerazioni già espresse da questa Corte con la sentenza n. 8671 del 2019, con la quale si è evidenziato che del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5seppure tradizionalmente ricondotto al principio sancito dall’art. 97 Cost., comma 4, si ricollega anche alla necessità di assicurare il buon andamento della Pubblica Amministrazione, che sarebbe pregiudicato qualora si consentisse l’immissione stabile nei ruoli a prescindere dall’effettivo fabbisogno del personale e dalla previa programmazione delle assunzioni, indispensabili per garantire efficienza ed economicità della gestione dell’ente pubblico;

5.5. si è pertanto affermato che la regula iuris dettata dal legislatore ordinario non ammette eccezioni e trova applicazione sia nell’ipotesi in cui per l’assunzione a tempo indeterminato non sia richiesto il concorso pubblico, sia qualora il contratto a termine sia stato stipulato con soggetto selezionato all’esito di procedura concorsuale;

6. l’infondatezza del ricorso rende non necessario, per le ragioni indicate al punto 4.2., disporre la rinnovazione della notifica del ricorso, affetta da nullità (cfr. Cass. n. 11574/2018) perchè eseguita, in violazione del combinato disposto dell’art. 149 bis c.p.c. e del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 ter, ad un indirizzo di posta elettronica del destinatario (roma.mailcert.avvocaturastato.it) diverso da quello inserito nel Registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della Giustizia (ags.rm.mailcert.avvocaturastato.it);

7. la mancata costituzione dell’intimato esime dal provvedere sulle spese del giudizio di legittimità;

8. sussistono le condizioni processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020

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