Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12373 del 11/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 11/05/2021, (ud. 12/11/2020, dep. 11/05/2021), n.12373

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 18949/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Immobiliare Credit Securitization s.r.l. rappresentata e difesa

dall’Avv. Eugenio Della Valle e anche disgiuntamente dall’avv.

Alessandra Calabrò e avv. Flavio Maria Musto con domicilio eletto

presso quest’ultimo in Roma, via Tembien, 15, giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 104/9/12, depositata il 4.6.2012.

Udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 12.11.2020 dal

Consigliere Rosaria Maria Castorina.

Udito il PG in persona del sostituto Tommaso Basile il quale ha

concluso per l’accoglimento del ricorso.

Udito l’Avvocato dello Stato Carlo Maria Pisani per la ricorrente

Udito l’Avvocato Giuseppe Marini per la controricorrente.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza n. 104/9/2012, depositata in data 4.6.2012, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di Immobiliare Credit Securitization s.r.l. (di seguito ICS) avverso la sentenza n. 305/21/10 della Commissione tributaria provinciale di Roma la quale aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente avverso un avviso di accertamento con cui era stato disconosciuto, ai fini delle imposte dirette e dell’Iva, sia il costo sostenuto per l’acquisto di alcuni immobili della società Rofau s.r.l., sia quello sostenuto per fatture emesse dalla Europa 21 e ricostruito induttivamente il reddito, accertando, ai fini Irpeg e Irap, un maggior reddito da fonte illecita.

L’accertamento traeva origine da una verifica, per gli anni dal 2003 al 2006, all’esito della quale era emerso che la società aveva posto in essere uno schema di frode fiscale nel settore immobiliare caratterizzato dalla cessione di beni immobili a società di fatto “controllate” da un’unica persona fisica, S.M.. In sintesi gli immobili oggetto delle operazioni erano stati acquistati dalla contribuente e nel giro di pochi mesi rivenduti quasi allo stesso prezzo alla società Commerciale Zama (appartenente allo stesso “gruppo informale”), ma nel frattempo locati dalla medesima contribuente alla società Europa 21 (altra collegata) e da questa concessi in comodato gratuito allo S. e ad altri membri della famiglia. In tale contesto i contratti di compravendita, sebbene formalmente registrati dovevano essere considerati meramente cartolari e messi in atto per fare conseguire vantaggi fiscali ai soggetti coinvolti.

La CTR affermava che l’avviso di accertamento non risultava adeguatamente motivato per non essere stato portato a conoscenza del contribuente tutto il materiale raccolto, che l’ufficio non aveva fornito alcuna prova dell’esistenza di società di comodo o di teste di legno e che la contribuente aveva provato la legittimità delle operazioni svolte ivi inclusi il pagamento del prezzo mediante un finanziamento.

Avverso la sentenza del giudice di appello l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidando il suo mezzo a tre motivi.

ICS resiste con controricorso formulando ricorso incidentale condizionato.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso in relazioni a questioni non controverse e comunque coperte da giudicato. Si osservi che dall’atto di appello dell’ufficio, riprodotto dalla stessa resistente, si evince che il gravame, peraltro specifico, attinge la sentenza di primo grado nella sua interezza.

2.Con il primo motivo l’ufficio deduce motivazione insufficiente e contraddittoria in ordine a fatti decisivi e controversi del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

La censura è fondata.

La CTR ha adottato la seguente, stringata, motivazione: “Come rilevato in primo grado con sentenza la cui motivazione è condivisa da questo collegio, l’accertamento è viziato da parziale difetto di motivazione per non essere stato portato a conoscenza del contribuente il materiale raccolto a seguito di indagini della Direzione Regionale della Lombardia che esulano da quelle di cui al PVC noto al contribuente stesso. Inoltre l’Ufficio non ha fornito alcuna prova dell’esistenza di società di comodo o di “teste di legno”, circostanze contraddette dalle visure camerali prodotte dal contribuente. Il contribuente ha, inoltre, provato la legittimità delle operazioni svolte ivi inclusi il pagamento del prezzo mediante un finanziamento, il pagamento dell’iva e l’annotazione in contabilità dei relativi importi. Ne consegue la conferma della sentenza di primo grado”.

Il vizio di motivazione insufficiente o contraddittoria, gli configura in particolare qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione (Cass. 25 ottobre 2013, n. 24148), ovvero il medesimo non abbia tenuto conto alcuno delle inferenze logiche che possano essere desunte degli elementi dimostrativi addotti in giudizio e indicati nel ricorso con autosufficiente ricostruzione, essendosi limitato ad assumere l’insussistenza della prova, senza compiere una analitica considerazione delle risultanze processuali (Cass. 2 marzo 2012, n. 3370), ovvero se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia (Cass. 18 marzo 2011, n. 6288).

2.1. Il giudice di appello, con riferimento al difetto di motivazione dell’atto impositivo, ha affermato che l’Ufficio non aveva portato a conoscenza del contribuente il materiale raccolto a seguito di indagini della Direzione Regionale della Lombardia che esulano da quelle di cui al PVC noto al contribuente stesso. Tale motivazione non permette di comprendere il motivo per cui la CTR abbia ritenuto necessario, ai fini della motivazione dell’avviso, la conoscenza di tale materiale.

La giurisprudenza di questa Corte, che riconosce la legittimità della cd. “motivazione per relationem”, ha definito le condizioni che rendono positiva la verifica del rispetto del diritto del contribuente ad avere contezza delle ragioni della pretesa erariale. Al contempo, ha puntualizzato cosa debba intendersi per “motivazione per relationem” e quali oneri incombano sul contribuente che richieda l’annullamento dell’atto dell’amministrazione finanziaria. Con costante indirizzo si insegna, già con riferimento alla disciplina anteriore alla L. n. 212 del 2000, art. 7 che, in tema di accertamento tributario “per relationem”, la legittimità dell’avviso postula la conoscenza o la conoscibilità da parte del contribuente dell’atto richiamato, purchè il suo contenuto serva ad integrare la motivazione dell’atto impositivo, con esclusione quindi dei casi in cui essa sia già sufficiente e il richiamo ad altri atti abbia pertanto solo valore narrativo o il contenuto di ulteriori atti sia già riportato nell’atto noto. Ai fini dell’annullamento il contribuente deve quindi provare non solo che gli atti ai quali fa riferimento l’atto impositivo o quelli cui esso rinvia sono a lui sconosciuti, ma anche che almeno una parte del contenuto di essi sia necessaria ad integrare direttamente o indirettamente la motivazione del suddetto atto impositivo, e che quest’ultimo non la riporti, per cui non è comunque venuto a sua conoscenza (principio ribadito, da ultimo, proprio in una fattispecie concernente avviso di rettifica per omessa fatturazione di ricavi che rinviava ad un p.v.c. redatto dalla G.d.F. nei confronti di soggetto terzo non allegato al predetto avviso: Sez. 5, Sentenza n. 2614 del 10/02/2016, Rv. 638897). Anche con specifica attinenza al regime instauratosi con l’entrata in vigore del cd. Statuto del contribuente, da applicare nel caso di specie ratione temporis, si è statuito che in tema di motivazione degli avvisi di accertamento l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7) va inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 3: il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perchè ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore “narrativo”), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto. Pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione (Sez. 5, Sentenza n. 26683 del 18/12/2009, Cass. 11866/2018 Rv. 610991).

2.2. Con riferimento al collegamento societario la CTR si è limitata ad affermare che l’Ufficio non avesse fornito alcuna prova dell’esistenza di società di comodo o di “teste di legno”, circostanze contraddette dalle visure camerali prodotte dalla contribuente.

Tale motivazione è insufficiente e contraddittoria.

L’ufficio non ha mai contestato l’esistenza delle società, ma l’esistenza di un collegamento “informale” tra società coinvolte nell’operazione che avevano lo stesso legale rappresentante e identica sede a quella di ICS. Su tali circostanza la CTR nulla ha osservato.

2.3. Quanto al finanziamento la CTR ha affermato che era stata fornita prova del pagamento degli immobili mediante un finanziamento. Tale motivazione è eccentrica rispetto all’operazione contestata in quanto l’Ufficio non ha mai posto in dubbio l’esistenza del finanziamento ma che detto finanziamento non era servito a pagare il prezzo di acquisto degli immobili.

3. Con il secondo motivo l’ufficio deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Evidenzia che la società Europa 21 aveva emesso nei confronti della ICS una fattura (la n. (OMISSIS)) per un imponibile di Euro 8.166.666 oltre Iva per Euro 1.633.333,00 riportando quale causale “maggior prezzo realizzato in sede di vendita dell’immobile di Via Ammannati”. L’Iva portata in detrazione da ICS non veniva versata da Europa 21. Successivamente Europa 21 emetteva una nota di credito, pari all’imponibile della vendita, avente come causale “mancato realizzo del maggior prezzo in sede di vendita” senza Iva.

In definitiva l’Iva relativa alla operazione poi annullata è stata portata in detrazione da ICS, ma non è stata versata da Europa 21, nè ICS ha portato a debito l’Iva detratta.

La censura è fondata.

La CTR si è limitata ad affermare che la contribuente aveva provato la legittimità delle operazioni svolte ivi inclusi il pagamento del prezzo mediante un finanziamento, il pagamento dell’Iva e l’annotazione in contabilità dei relativi importi.

E’ incontestato che l’operazione non ha avuto alcuna realizzazione: l’originario accordo, infatti, è venuto meno sul consenso delle parti, tant’è che Europa 21 ha redatto, nota di credito D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 26 relativa al solo importo capitale di Euro8.166.666,00 e non anche dell’Iva di Euro1.633.333,00. Tale circostanza, invero, comporta, in termini generali, che non spetta il diritto di detrazione. Come recentemente ribadito dalla stessa Corte di Giustizia, infatti, “L’art. 17, paragrafo 1, della sesta direttiva prevede che il diritto a detrazione nasce quando l’imposta detraibile diventa esigibile. Ciò avviene, in forza dell’art. 10, paragrafo 2, di tale direttiva, all’atto della cessione di beni o della prestazione di servizi. Ne consegue che, nel sistema dell’IVA, il diritto a detrazione è legato alla realizzazione effettiva della cessione di beni o della prestazione di servizi di cui trattasi. Viceversa, quando manca la realizzazione effettiva della cessione di beni o della prestazione di servizi, non può sorgere alcun diritto a detrazione” (Corte di Giustizia, sentenza 27 giugno 2018, nelle cause riunite C-459/17, SGI, e C-460/17, Valeriane SNC, par. 34-36; 4 luglio 2013, in C572/11, Menidzherski biznes reshenia, par. 19 e ss). In termini del tutto coerenti, poi, si è espressa questa Corte, secondo la quale il destinatario della fattura non è legittimato a portare in detrazione l’Iva indebitamente fatturata, laddove non sussista – o non venga ripristinata con procedura di variazione o ancora non sia possibile ripristinare – la corrispondenza tra rappresentazione cartolare e reale operazione economica, fatta salva in ogni caso la “buona fede” del destinatario in caso di frode (Cass. n. 10939 del 27/05/2015).

Occorre poi rilevare che in virtù del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, sul punto corrispondente all’art. 21, n. 1, lett. c) della sesta direttiva, chiunque esponga l’Iva in una fattura o in ogni altro documento che ne fa le veci è debitore di tale imposta. La previsione mira ad eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale, che può derivare dall’esercizio del diritto di detrazione; rischio che, secondo la Corte di giustizia, sussiste “fintantochè il destinatario di una fattura che espone l’Iva non dovuta possa utilizzarla al fine di siffatto esercizio” (Corte di Giustizia, sentenza 19 settembre 2000, in C-454/08, Schmeink & Cofreth e Strobel, punto 57). In caso di eventi successivi al compimento dell’operazione imponibile, il cessionario, per poter esercitare il diritto di detrazione, deve applicare il meccanismo previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26: il cessionario che detragga l’Iva di rivalsa annotando la fattura nel registro degli acquisti deve registrare la variazione (annotando la nota nel registro delle vendite), al fine di evidenziare un debito pari alla detrazione in precedenza operata, che è così neutralizzata; la registrazione della variazione da parte del cessionario è idonea ad escludere il rischio di perdita di gettito fiscale, poichè esplicita che egli non ha diritto alla detrazione dell’Iva (v. Cass. n. 11/12/2013, n. 27698; Cass. n. 27/05/2015, n. 10939; Cass. n. 9845 del 13/05/2016). Il sistema, del resto, prevede come rimedio per il cessionario il diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa, per cui l’Iva pagata va retrocessa al titolare del diritto al rimborso, comprendendo tale diritto l’intera prestazione ricevuta e divenuta indebita.

Il meccanismo così elaborato, invero, mira a garantire il principio di neutralità dell’Iva e, al contempo, ad evitare il rischio di perdita di gettito fiscale per l’erario. In una fattispecie in tutto analoga a quella in esame, la Corte di giustizia (sentenza 3 marzo 2014, in C-107/13, Firin 00D), ha stabilito che “gli artt. 65, 90, par. 1, 168, lett. a), 185, par. 1, e 193 direttiva 2006/112/CE del consiglio 28 novembre 2006 devono essere interpretati nel senso che impongono che la detrazione dell’imposta sul valore aggiunto, operata dal destinatario di una fattura redatta ai fini del pagamento di un acconto concernente la cessione di beni, sia rettificata nel caso in cui, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, tale cessione, in definitiva, non sia stata effettuata, anche qualora il fornitore resti debitore di tale imposta e non abbia rimborsato l’acconto”. Il meccanismo della rettifica, ha rimarcato la Corte, è parte integrante del sistema di detrazione dell’Iva poichè esso, nel favorire la precisione delle detrazioni, garantisce la neutralità dell’Iva, così da assicurare che le operazioni compiute a monte seguitino a consentire l’esercizio del diritto di detrazione soltanto nei limiti in cui servano a fornire prestazioni – o concretino cessioni – soggette a tale imposta. Nè sull’obbligo di rettifica gravante sul cessionario o sul committente, ha aggiunto la Corte di giustizia, può incidere la circostanza che l’Iva dovuta dal fornitore non sia stata essa stessa rettificata. L’emittente della fattura, difatti, è debitore dell’Iva indicata in fattura anche in mancanza di un’operazione imponibile, a norma dell’art. 203 della direttiva 2006/112/CE (e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7) (Cass. 13091/2020).

3. Il terzo motivo, formulato in subordine, con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 e dell’art. 53 Cost. e dei principi in materia di abuso del diritto, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, deve ritenersi assorbito.

4.Con il ricorso incidentale condizionato la ICS deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62.

Lamenta che l’appello dell’amministrazione finanziaria doveva essere dichiarato inammissibile per difetto di specificità, con conseguente passaggio in giudicato della statuizione del giudice di primo grado.

La censura non è fondata.

Nel processo tributario dove l’Amministrazione finanziaria ribadisca e riproponga in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dall’art. 53 cit. (Cass. n. 7369/2017), atteso il carattere devolutivo pieno dell’appello, mezzo quest’ultimo non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass. 27579/2018 e giur. ivi cit.).

I primi due motivi di ricorso devono essere, pertanto accolti,

assorbito il terzo e rigettato il ricorso incidentale condizionato e la sentenza cassata con rinvio alla CTR del Lazio anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo; rigetta il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Lazio anche per le spese del presente giudizio di legittimità. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del c.u. a carico del ricorrente incidentale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2021

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