Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12371 del 23/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 23/06/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 23/06/2020), n.12371

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29704/2014 proposto da:

A.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI

n. 180, presso lo studio dell’avvocato MARIO SANINO, rappresentata e

difesa dagli avvocati MAURIZIO FILIACCI e BRUNO MECALI;

– ricorrente –

contro

AZIENDA UNITA SANITARIA LOCALE DI VITERBO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEGLI SCIPIONI n. 265, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO

SARACENO, rappresentata e difesa dall’avvocato ELAINE BOLOGNINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8972/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/12/2013 R.G.N. 807/2011.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Viterbo che aveva accolto il ricorso, ha rigettato la domanda proposta da A.G. nei confronti della Asl di Viterbo volta ad ottenere la disapplicazione della Delib. n. 102 del 2005 e la condanna dell’Azienda al pagamento della somma di Euro 39.538,40, richiesta a titolo di compenso previsto per la partecipazione, nel periodo 1/1/200410/3/2005, alle sedute delle Commissioni mediche di I^ istanza per l’accertamento e la valutazione dell’invalidità civile e delle situazioni di handicap, da liquidare nella misura indicata dalla L.R. Lazio n. 11 del 2004;

2. la Corte territoriale, respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello e ricostruito il quadro normativo, ha rilevato che correttamente il Direttore Generale dell’Azienda sanitaria aveva limitato la corresponsione dei compensi previsti dall’art. 44 della richiamata Legge Regionale alle sole partecipazioni alle sedute svoltesi al di fuori dell’orario di servizio;

3. ha precisato che la normativa regionale deve essere interpretata alla luce del principio di onnicomprensività del trattamento economico corrisposto al personale dirigenziale, sancito dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24, comma 3, principio al quale le parti collettive hanno dato attuazione, quanto alla dirigenza sanitaria del S.S.N., con l’art. 60 del CCNL 5/6/2000, che include espressamente fra le attività per le quali non è consentito alcun compenso aggiuntivo la partecipazione a commissioni di concorso o ad altre commissioni presso enti e ministeri;

4. il giudice d’appello ha aggiunto che la L.R. n. 4 del 2006, con la quale i compensi previsti dalla L.R. n. 11 del 2004, sono stati espressamente limitati alle sole attività svolte al di fuori dell’orario di servizio, non ha innovato la disciplina previgente ma ha solo esplicitato un principio già desumibile dalla normativa legale e contrattuale relativa al trattamento economico spettante ai dirigenti sanitari;

5. per la cassazione della sentenza A.G. ha proposto ricorso affidato ad un’unica censura, alla quale ha opposto difese con tempestivo controricorso l’Azienda Unità Sanitaria Locale di Viterbo;

6. entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con l’unico motivo di ricorso, intitolato ” art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione delle norme di diritto e per omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, la ricorrente addebita alla Corte territoriale di non avere considerato che la L.R. Lazio n. 11 del 2004, si era limitata a modificare la misura del compenso in precedenza fissato dalla L.R. Lazio n. 2 del 1986, ed aveva richiesto per i soli segretari amministrativi della commissione che l’incarico fosse svolto al di fuori dell’orario di servizio;

1.1. per i dirigenti medici, invece, la disciplina era rimasta immutata, fatta eccezione per l’ammontare del corrispettivo, e pertanto, così come avvenuto pacificamente in passato, l’attività doveva essere retribuita a prescindere da ulteriori condizioni, richieste solo per il periodo successivo all’entrata in vigore della L.R. Lazio n. 4 del 2006, alla quale il giudice d’appello aveva finito per attribuire efficacia retroattiva;

1.2. la ricorrente aggiunge che il regolamento adottato dalla ASL di Viterbo per disciplinare, a decorrere dal 1 gennaio 2013, la partecipazione alle sedute della commissione dei medici dipendenti dell’azienda prevede che la durata temporale delle sedute è considerata orario di servizio solo per il 60% ed aggiunge che “il compenso per i componenti delle commissioni si intende per ogni pratica definita”;

2. il ricorso è infondato e deve essere rigettato perchè la pronuncia gravata è conforme all’orientamento espresso da questa Corte, in fattispecie sovrapponibile a quella oggetto di causa, secondo cui ” il principio di omnicomprensività della retribuzione, affermato del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24, comma 3 e art. 27, comma 1, nonchè art. 60, comma 3, del c.c.n.l. comparto dirigenza sanitaria dell’8 giugno 2000, opera inderogabilmente in tutti i casi in cui l’attività svolta sia riconducibile a funzioni e poteri connessi all’ufficio ricoperto, ed a mansioni cui il dirigente è obbligato rientrando nei normali compiti di servizio, salvi i soli incarichi retribuiti a titolo professionale dall’Amministrazione sulla base di una norma espressa che gliene attribuisca il potere, sempre che ciò non costituisca comunque espletamento di compiti di istituto; ne consegue che l’incarico di componente delle commissioni invalidi civili, in quanto conferito al dirigente in ragione del ruolo rivestito, non comporta alcun diritto a compensi aggiuntivi” (Cass. n. 8261/2017);

3. il richiamato principio di diritto, condiviso dal Collegio, deve essere ribadito poichè gli argomenti sui quali la ricorrente ha fatto leva, nel ricorso e nella memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c., non valgono a scalfire le ragioni indicate nella motivazione della decisione, alla quale si rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c., nè possono indurre a rimeditare l’orientamento già espresso;

4. in particolare, quanto all’interpretazione della L.R. n. 11 del 2004, occorre rammentare che secondo il costante insegnamento del Giudice delle leggi “la disciplina del rapporto lavorativo dell’impiego pubblico privatizzato è rimessa alla competenza legislativa statale di cui all’art. 117 Cost., comma 2, lett. l), in quanto riconducibile alla materia “ordinamento civile”, che vincola anche gli enti ad autonomia differenziata” (Corte Cost. n. 180/2015; negli stessi termini Corte Cost. nn. 186/2016; 251/2016; n. 81/2017; 32/2017; 160/2017) e ciò anche qualora vengano in rilievo professioni sanitarie, perchè la misura del trattamento retributivo riservato ai dirigenti medici non involge in alcun modo l’organizzazione del servizio sanitario o delle sue strutture e, pertanto, non può essere ricondotta alla tutela della salute oggetto di legislazione concorrente ex art. 117 Cost., comma 3 (Corte Cost. n. 186/2016 in tema di rapporti parasubordinati con il S.S.N.);

4.1. della legislazione regionale deve essere fornita un’interpretazione costituzionalmente orientata al rispetto del principio di onnicomprensività, fissato dalla normativa statale e recepito dalla disciplina contrattuale, alla luce del quale va escluso che possa essere previsto, in aggiunta al trattamento accessorio stabilito dalle parti collettive, un compenso ulteriore per attività da rendere, in ragione del rapporto di impiego pubblico, nell’ambito del normale orario di servizio;

4.2. l’esegesi della L.R. n. 11 del 2004, art. 44, sollecitata dalla ricorrente esporrebbe la norma alla censura di incostituzionalità e, pertanto, deve essere disattesa atteso che il giudice ha l’obbligo di optare per l’interpretazione che rende armonica la norma rispetto all’ordinamento costituzionale (cfr. fra le tante Corte Cost. n. 36/2016);

5. nessun rilievo può essere attribuito al regolamento adottato dalla ASL di Viterbo volto a disciplinare il funzionamento delle commissioni a decorrere dal 1 gennaio 2013, trattandosi, appunto, di provvedimento amministrativo intervenuto in corso di causa, che, a prescindere da ogni considerazione sulla legittimità dello stesso, può spiegare effetti solo per il futuro e non può essere applicato a situazioni sorte in data antecedente l’adozione dell’atto;

6. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

7. occorre dare atto della sussistenza delle condizioni processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese generali del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020

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