Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1237 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. I, 21/01/2021, (ud. 13/10/2020, dep. 21/01/2021), n.1237

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11902/2019 proposto da:

K.P., difeso dall’avv. Mario Novelli, domiciliato presso la I

sezione civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 05/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/10/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Ancona, con decreto depositato in data 5.03.2019, ha rigettato la domanda di K.P., cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero in capo al ricorrente i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, non essendo riconducibili i fatti narrati agli atti persecutori previsti dalla Convenzione di Ginevra (il ricorrente aveva riferito di essersi allontanato dal Bangladesh per motivi economici, dovendo mantenere la sua famiglia e pagare le costose cure per la madre, ammalatasi gravemente, ed in ragione dello stato di povertà del suo paese d’origine).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo per il ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel suo paese di provenienza.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione K.P. affidandolo a quattro motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale, nel ritenere non fondato il rischio di danno grave in caso di rientro nel paese d’origine, non ha osservato i criteri legali nella valutazione della credibilità delle sue dichiarazioni, ritenendo sbrigativamente il suo racconto generico e non attendibile e rendendo una motivazione apparente ed apodittica.

2. Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente non ha colto la ratio decidendi del decreto impugnato sul punto oggetto di doglianza, non avendo il Tribunale ritenuto inattendibile il suo racconto, ma solo che il suo allontanamento dal paese d’origine era riconducibile ad una vicenda privata e di miglioramento socio-economico.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Lamenta il ricorrente che il giudice di primo grado ha sottovalutato la sua vicenda, non tenendo conto che, in caso di ritorno nel paese d’origine, correrebbe il rischio di subire danno “grave” a causa della violenza indiscriminata ivi presente, sussistendo così i presupposti per la protezione D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c).

4. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

Lamenta il ricorrente che l’esame della situazione del Bangladesh non è stato effettuato o comunque in modo sufficientemente adeguato, omettendo la consultazione di informazioni precise e adeguate.

Si duole, inoltre, che non è stata considerata la situazione del paese di transito, tenuto conto che lo stesso si era effettivamente radicato in Libia, vivendo per un periodo apprezzabile e molto probabilmente si sarebbe ivi fermato se non fosse stato costretto a partire a causa della guerra e della violenza indiscriminata.

5. Il secondo ed il terzo motivo, da esaminare unitariamente, avendo ad oggetto questioni connesse, presentano profili di infondatezza ed inammissibilità.

Il giudice di merito, ha consultato report internazionali aggiornati (Rapporto EASO del dicembre 2017, disponibile sul sito dell’Ufficio Europeo dal 29.8.2018), alla luce dei quali ha ritenuto insussistente in Bangladesh la dedotta situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato e tale valutazione di fatto, in quanto di esclusiva competenza del giudice di merito, non è censurabile in sede di legittimità (Cass. del 12/12/2018 n. 32064). Ne consegue che le censure del ricorrente si appalesano come di merito, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa valutazione del materiale probatorio esaminato dal giudice di merito.

Va, inoltre, osservato che, in ragione della brevità della permanenza (poco più di un anno tra il 2016 ed il 2017), non può neppure ritenersi significativo il soggiorno del richiedente nel paese di transito (Libia).

In proposito, questa Corte ha gìà statuito che, in tema di protezione umanitaria, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, impone al giudice del merito di valutare la domanda alla luce di informazioni precise ed aggiornate circa la situazione esistente nel Paese di origine del richiedente e “ove occorra” nel Paese in cui è transitato, allorchè l’esperienza vissuta in quest’ultimo presenti un certo grado di significatività in relazione ad indici specifici quali la durata in concreto del soggiorno, in comparazione con il tempo trascorso nel paese di origine. (Cass. n. 13758 del 03/07/2020).

Peraltro, il ricorrente non ha neppure dedotto di aver subito nel Paese di transito, e di temporanea permanenza, violenze potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (Cass. n. 13565 del 02/07/2020).

6. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Evidenzia il ricorrente di essere meritevole della protezione umanitaria in ragione dello stato di insicurezza nonchè di precarietà, sotto il profilo economico, del suo paese di origine. Rileva, altresì, di aver documentato il proprio proficuo inserimento nel contesto socio-culturale del paese di accoglienza, essendo stabilmente occupato in una ditta.

7. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ha già affermato che pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità del richiedente, dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale, atteso che, diversamente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini sez. 1 n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente, non ha minimamente correlato la dedotta esistenza di una situazione di insicurezza e di precarietà economica nel paese d’origine alla propria condizione personale, se non deducendo genericamente che non ha attualmente più un lavoro nel paese d’origine (non negando quindi che lo aveva prima della sua partenza), ed ha svolto mere censure di merito alla precisa affermazione del Tribunale di Ancona secondo cui lo stesso sarebbe comunque in grado, in caso di rimpatrio, di soddisfare i bisogni e le ineludibili esigenze di vita personale.

Infine, il richiedente si duole che non si è tenuto conto del suo percorso di integrazione, non considerando che tale elemento, secondo il costante insegnamento di questa Corte, può essere sì considerato in una valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza della situazione di vulnerabilità, ma non può, tuttavia, da solo esaurirne il contenuto (vedi Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendosi il Ministero costituito in giudizio.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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