Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1237 del 21/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2020, (ud. 18/09/2019, dep. 21/01/2020), n.1237

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16754/16 R.G. proposto da:

BANCA POPOLARE DI VICENZA S.P.A., in persona del legale

rappresentante, rappresentata e difesa, giusta delega in calce al

ricorso, dall’avv. Paola Lumini e dall’avv. Luigi Cardascia, con

domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Attilio Pelosi, in Roma

alla via Po, n. 28;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è elettivamente

domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale del Veneto

n. 36/29/16 depositata in data 11 gennaio 2016;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 18 settembre

2019 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

Fatto

RILEVATO

che:

In data 25 ottobre 2002 la Banca Popolare di Treviso s.p.a. presentava dichiarazione dei redditi Mod. Unico 2002, relativa all’anno 2001, dalla quale emergeva un credito d’imposta, pari ad Euro 740.980,85, di cui chiedeva il rimborso; in data 20 dicembre 2002, presentava dichiarazione dei redditi Mod. Unico 2002, relativa al periodo antecedente la liquidazione, compreso tra il 1 gennaio 2002 ed il 14 novembre 2002, evidenziando ulteriori crediti, di cui Euro 92.187,00 a titolo di IRAP e Euro 135.415,00 a titolo di ritenute su interessi di conto corrente versate in eccedenza.

Con atto notarile del (OMISSIS) cedeva i crediti alla Banca Popolare di Vicenza s.p.a., previa notifica all’Agenzia delle Entrate che aveva provveduto soltanto al rimborso parziale del secondo dei tre crediti indicati, nella misura di Euro 90.846,19 a titolo di capitale.

Proposto ricorso dalla cessionaria avverso il diniego di rimborso, l’Agenzia delle Entrate, tempestivamente costituitasi in data 17 dicembre 2012, chiedeva il rigetto del ricorso e con memoria ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 32, depositata il 18 luglio 2013, eccepiva la inefficacia della cessione per violazione del D.M. n. 384 del 1997, art. 1, comma 4, per omessa notifica della stessa al Concessionario del servizio di riscossione.

I giudici di primo grado rigettavano il ricorso, ritenendo che, in mancanza di notificazione al Concessionario, la cessione dei crediti fosse inefficace nei confronti dell’Amministrazione.

In esito all’appello della contribuente, la Commissione regionale del Veneto, confermava la sentenza impugnata.

In particolare, rigettava le eccezioni preliminari di tardività delle controdeduzioni contenute nella memoria ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 32, sollevate dalla contribuente, e, nel merito, rilevava la inefficacia della cessione di credito nei confronti dell’Amministrazione ed il conseguente difetto di legittimazione passiva della ricorrente.

Avverso la suddetta decisione ricorre per la cassazione la Banca Popolare di Vicenza s.p.a., con quattro motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso, la contribuente censura la decisione impugnata per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 23, ribadendo che la eccepita inopponibilità della cessione di crediti è stata sollevata dall’Agenzia delle Entrate solo con la memoria ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 32, depositata il 18 luglio 2013 e che la Commissione regionale non ha rilevato la tardività, pur trattandosi di eccezione di merito mai fatta valere dall’Ufficio nelle controdeduzioni depositate all’atto della costituzione in giudizio e non rilevabile d’ufficio.

Evidenzia che, sebbene il termine per la costituzione in giudizio di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23, abbia natura ordinatoria, il mancato rispetto dello stesso determina preclusioni processuali a carico della parte resistente, ossia la decadenza dal potere di proporre le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, nonchè quello di chiamare terzi in causa.

2. Con il secondo motivo, deduce nullità della sentenza impugnata, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23, nella parte in cui i giudici d’appello, non respingendo il motivo di doglianza afferente alla tardività della eccezione di inefficacia dell’atto di cessione dei crediti, hanno accolto l’eccezione dell’Ufficio, ritenendo inefficace o, comunque, inopponibile l’atto di cessione dei crediti del (OMISSIS).

3. I primi due motivi, in quanto vertenti sulla medesima questione, possono essere trattati congiuntamente e sono infondati.

3.1. Va osservato, preliminarmente, che la struttura del giudizio tributario inerente all’impugnazione del rigetto di una domanda di rimborso è diversa dall’ordinario giudizio tributario, di tipo impugnatorio, concernente atti aventi contenuto impositivo.

Infatti, in tema di rimborsi, il contribuente riveste la qualità di attore non solo in senso formale – come nei giudizi di impugnazione di un atto impositivo – ma anche sostanziale (Cass. n. 23587 del 21/11/2016; Cass. n. 10797 del 5/5/2010; Cass. n. 29613 del 29/12/2011; Cass. n. 22567 del 1/12/2004).

Da tale rilievo discende, da un lato, che il contribuente in tali casi ha l’onere di allegare e provare i fatti posti a sostegno della domanda di rimborso e, dall’altro, che le argomentazioni difensive con le quali l’Amministrazione – che non ha, in questo caso, esplicitato una pretesa (impugnata dal contribuente), quale l’avviso di accertamento o di liquidazione, o la irrogazione di una sanzione – nega la sussistenza dei fatti nei termini dedotti dal contribuente costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salva l’ipotesi della formazione del giudicato interno o, ove ne ricorrano i presupposti, l’applicazione del principio di non contestazione.

3.2. Questa Corte si è, quindi, ormai costantemente orientata nel ritenere che nel processo tributario, quando il contribuente impugni il silenzio-rifiuto formatosi su una istanza di rimborso, deve dimostrare che, in punto di fatto, non sussiste alcuna delle ipotesi che legittimano il rifiuto, e l’Amministrazione finanziaria può, dal canto suo, difendersi “a tutto campo”, non essendo vincolata ad una specifica motivazione di rigetto, con la conseguenza che le eventuali “falle” del ricorso introduttivo possono essere eccepite, anche in appello, dall’Amministrazione, a prescindere dalla preclusione posta dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in quanto, comunque, attengono all’originario thema decidendum (sussistenza o insussistenza dei presupposti che legittimano il rifiuto del rimborso), fatto salvo il limite del giudicato (Cass., sez. 5 -, ordinanza n. 31626 del 06/12/2018).

3.3. Alla stregua di tale giurisprudenza, nella fattispecie deve ritenersi che la questione relativa alla necessità, ai fini dell’efficacia della cessione del credito, della sua notificazione anche al Concessionario della riscossione introdotta dall’Agenzia delle Entrate con la memoria ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 32, – debba essere qualificata come mera difesa, in quanto volta a contestare la sussistenza, in tutti i suoi elementi, del fatto costitutivo del diritto al rimborso del credito ceduto e, come tale, non soggetta ad alcuna preclusione processuale (Cass. n. 15026 del 2/7/2014).

La Commissione regionale, affermando che la costituzione in giudizio dell’Ufficio è stata tempestiva e disattendendo l’eccezione di tardività delle controdeduzioni articolate dall’Ufficio nella memoria depositata entro il termine di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, non è incorsa nel vizio denunciato.

4. Con il terzo motivo, la contribuente, deducendo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1264 c.c. e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 43-bis, sostiene che i giudici regionali hanno errato laddove hanno ritenuto non sufficiente la notifica dell’atto di cessione di crediti all’Ente impositore, atteso che tale adempimento soddisfa pienamente le garanzie imposte dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 43-bis.

Aggiunge che, seppure il D.M. 30 settembre 1997, n. 384, art. 1, comma 4 e lo stesso art. 43-bis cit., richiamati in sentenza, facciano espresso riferimento alla notifica al Concessionario per la riscossione per le cessioni di crediti tributari, la ratio del riferimento contenuto nelle norme in esame consiste nel rendere edotto anche tale soggetto, terzo rispetto al rapporto creditorio, dell’intervenuta cessione, affinchè ne possa tenere conto nell’ambito di procedure di riscossione eventualmente instaurate nei confronti dei soggetti interessati, con la conseguenza che l’omessa notifica a tale soggetto non può assolutamente condurre, di per sè, all’inefficacia della cessione nei confronti del debitore al quale tale cessione è stata notificata.

Ad avviso della ricorrente, peraltro, la piena efficacia della cessione dei crediti nel caso di specie è stata riconosciuta dall’Ufficio che, in data 23 ottobre 2008, ha disposto il parziale pagamento di uno dei crediti oggetto di cessione con l’atto del (OMISSIS).

5. Con il quarto motivo, deduce nullità della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 112 c.p.c., nella parte in cui i giudici di secondo grado hanno omesso di pronunciarsi sulla doglianza afferente alla irrilevanza, nel caso di specie, della notifica dell’atto di cessione al Concessionario, considerato che, rivestendo la qualità di ultimo socio della estinta Banca Popolare di Treviso s.p.a., orginaria titolare dei crediti di cui si discute, sarebbe comunque subentrata nella titolarità di detti crediti all’atto della predisposizione del bilancio finale di liquidazione e sarebbe, quindi, legittimata ad agire per il loro rimborso.

6. Il quarto motivo, che va esaminato con priorità in quanto concerne un error in procedendo, è infondato.

6.1. Il giudice di appello ha espressamente escluso la legittimazione della società ricorrente ad agire per ottenere la restituzone dei crediti oggetto dell’atto di cessione e, di conseguenza, la decisione adottata ha comportato un implicito rigetto della doglianza che si assume non sia stata esaminata, per cui deve escludersi la sussistenza del vizio dedotto.

Infatti, per costante orientamento di questa Corte, il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., non ricorre quando, pur in assenza di una espressa statuizione del giudice, la pretesa avanzata col capo di domanda che si assume non esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia, giacchè, in tal caso, se ne deve ravvisare il rigetto implicito (Cass. n. 20311 del 2011; Cass. n. 17580 del 2014; Cass. 8966 del 12/4/2013; Cass. ord. n. 24155 del 13/10/2017; Cass. n. 29191 del 6/12/2017; Cass. n. 20718 del 13/8/2018).

7. Anche il terzo motivo è infondato.

7.1. Il R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 69 e 70, sull’Amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato, prevedono che i crediti verso lo Stato siano ceduti con atto pubblico o scrittura privata autenticata dal Notaio e che la cessione sia notificata all’Amministrazione centrale ovvero all’ente o ufficio cui spetta ordinare il pagamento.

7.2. Lo stesso regime di forma opera in materia tributaria, in quanto il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 43-bis, comma 1, che richiama l’art. 69 cit. e il D.M. 30 settembre 1997, n. 384, art. 1, comma 2, riconoscendo la trasferibilità dei crediti per imposte dirette, prevedono che possono formare oggetto di cessione i crediti, emergenti dalle dichiarazioni dei redditi per IRPEG, IRPEF e ILOR, e che deve essere rispettata la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata dal Notaio.

Il D.M. n. 384 del 1997, art. 1, comma 4, (avente natura di Regolamento) prevede espressamente quale condizione di efficacia della cessione del credito rispetto all’Ente impositore la doppia notifica all’Ufficio delle Entrate o al Centro di servizio, che hanno ricevuto la dichiarazione originaria, ed al Concessionario della riscossione competente alla data di cessione del credito.

7.3. Premesso ciò, si impone di verificare se la violazione di tali norme renda nulla o radicalmente inefficace la cessione dei crediti tributari, oppure se configuri mera inefficacia relativa della cessione, con conseguente inopponibilità all’Amministrazione finanziaria.

Il tenore letterale delle disposizioni normative in esame lascia ritenere che la inosservanza dei prescritti requisiti di forma e di notifica comporti la inefficacia relativa dell’atto di cessione di crediti e, dunque, la inopponibilità all’Amministrazione finanziaria.

In sostanza, l’atto avente ad oggetto la cessione di un credito tributario, in mancanza della doppia notifica, pur essendo valido tra le parti, non produce effetto nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, sicchè si produce una divaricazione nella posizione del creditore, che nel rapporto d’imposta continua ad essere il contribuente-cedente, sebbene in forza dell’atto di cessione titolare del diritto risulti il cessionario.

7.4. Dalla omessa notifica al Concessionario della riscossione non deriva dunque la nullità del contrato di cessione, ma la sola inefficacia della cessione nei confronti dell’Ufficio, risultando evidente che le norme in esame sono volte a salvaguardare il buon andamento dell’azione impositiva e la certezza e linearità dei rapporti tra Fisco e contribuente.

Diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, la sola notifica all’Agenzia delle Entrate non è di per sè sufficiente a salvaguardare la ratio delle norme in oggetto, dovendosi al contrario ritenere che la necessità della notifica anche al Concessionario trovi giustificazione proprio nella tutela degli interessi erariali, essendo ben possibile che, al momento della notifica della cessione, il cedente sia interessato da iscrizioni a ruolo relative ai tributi oggetto di cessione o che si sia proceduto ad un’eventuale compensazione del credito ceduto operata dal cessionario.

Al riguardo, il D.M. n. 384 del 1997, art. 1, comma 7, lett. c), prevede che, qualora, al momento della notifica della cessione risultino iscrizioni a ruolo relative ai tributi erariali nei confronti del cedente, la cessione del credito nei confronti dell’Amministrazione finanziaria ha effetto solo per “gli importi eccedenti quelli oggetto delle iscrizioni a ruolo”.

Tale previsione chiarisce e giustifica l’adempimento della notifica nei confronti del Concessionario della riscossione, che, non integrando mero adempimento formale, assolve alla funzione di tutelare un primario interesse di natura pubblicistica.

7.5. Neppure, d’altro canto, la piena efficacia della cessione dei crediti può farsi discendere dal fatto che l’Amministrazione ha provveduto al parziale pagamento di uno dei crediti oggetto di cessione, atteso che, a fronte delle contestazioni sollevate, non può attribuirsi al parziale pagamento il valore di accettazione della cessione dei crediti, ai sensi dell’art. 1264 c.c..

8. Deve, quindi, formularsi il seguente principio di diritto: ” In materia tributaria, la cessione dei crediti richiesti a rimborso, per essere efficace, presuppone, ai sensi del D.M. 30 settembre 1997, n. 384, art. 1, comma 4, la notifica all’Ufficio delle Entrate o al Centro di Servizio, presso il quale è stata presentata la dichiarazione dei redditi del cedente, nonchè al Concessionario del Servizio della riscossione competente in ragione del domicilio fiscale del cedente alla data di cessione del credito; la omessa notifica al Concessionario del Servizio di Riscossione determina l’inefficacia relativa dell’atto di cessione di crediti e, dunque, la inopponibilità della cessione all’Amministrazione finanziaria”.

9. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono i criteri della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2020

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