Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12368 del 17/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 17/05/2017, (ud. 08/02/2017, dep.17/05/2017),  n. 12368

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12371-2011 proposto da:

C.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GIOVANNI BETTOLO 17, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO

MONTEFALCONE, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., nella sua qualità di

successore della BANCA ANTONVENETA C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA MORGAGNI 22, presso lo studio dell’avvocato MICHELE

SANDULLI, che la rappresenta e difende giusta procura speciale

notarile in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4288/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/05/2010 r.g.n. 9837/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/02/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato DANIELE GUIDONI per delega Avvocato CLAUDIO

MONTEFALCONE;

udito l’Avvocato MICHELE CLEMENTE per delega Avvocato MICHELE

SANDULLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 13.5.2010, la Corte d’appello di Roma confermava la statuizione di primo grado che aveva rigettato la domanda di C.S. di aver corrisposta da Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. la pensione integrativa già a carico del Fondo di Previdenza della Banca Nazionale dell’Agricoltura, presso la quale egli era stato dipendente dal 1967 al 1986.

La, Corte, per quanto qui interessa, riteneva che, non avendo l’appellante proposto reclamo avverso i provvedimenti con cui il giudice delegato del Fallimento Vivani s.a.s. e di C.S. in proprio aveva autorizzato l’acquisizione all’attivo fallimentare della quota in capitale delle somme accantonate in suo favore a titolo di pensione integrativa, disponendo peraltro in suo favore la corresponsione della quota spettantegli a titolo alimentare, la Banca, che a tali provvedimenti aveva ottemperato, non poteva più considerarsi obbligata nei suoi confronti per ciò che concerneva il trattamento pensionistico integrativo, avendo pagato nelle mani del soggetto indicato dall’ordine del giudice.

Contro tali statuizioni ricorre C.S. con tre motivi di censura, illustrati con memoria. Resiste Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 25 e 26, L. fall., nonchè vizio di motivazione, per avere la Corte di merito ritenuto che i provvedimenti del 10.7.2001, del 6.5.2002 e del 21.6.2004, con i quali il giudice delegato del Fallimento Vivani s.a.s. e di C.S. in proprio aveva autorizzato l’acquisizione all’attivo fallimentare della quota in capitale delle somme accantonate in suo favore a titolo di pensione integrativa, disponendo peraltro in suo favore la corresponsione della quota spettantegli a titolo alimentare, fossero impugnabili in sede di reclamo, piuttosto che inesistenti e inidonei a ledere il suo diritto, per non essergli stati, tra l’altro, mai notificati.

Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato. E’ inammissibile nella parte in cui pretende di revocare in dubbio l’accertamento contenuto nella sentenza secondo cui il ricorrente ha avuto piena contezza del contenuto di tali provvedimenti, dato che, ai fini del rispetto del principio di specificità del ricorso, la parte che denunci il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento ha l’onere di indicare specificamente il contenuto del documento trascurato o erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo altresì, se non alla sua trascrizione integrale, quanto meno alla riproduzione delle parti salienti di esso e all’indicazione del luogo (fascicolo di ufficio o di parte) in cui è reperibile, ciò che nel ricorso per cassazione non è dato rinvenire nè con riguardo ai decreti del 6.5.2002 e del 21.6.2004, menzionati a pag. 15 senza alcuna indicazione del loro contenuto, nè relativamente alle lettere del dicembre 2001 e dell’agosto 2004, menzionate a pagg. 16-17, la cui provenienza e il cui preciso contenuto non è dato sapere.

Il motivo è invece infondato nella parte in cui pretende di ravvisare una violazione di legge nel giudizio di diritto compiuto dalla Corte territoriale, giacchè i decreti con cui il giudice delegato ha rispettivamente disposto l’acquisizione alla procedura fallimentare delle somme accantonate dalla Banca per la liquidazione della pensione integrativa del ricorrente, autorizzato la sottoscrizione del verbale di conciliazione con il quale è stata formalizzata la liquidazione in conto capitale dell’importo della pensione accantonata e autorizzato il curatore alla sua acquisizione all’attivo fallimentare, ordinando la consegna al fallito della quota spettantegli a titolo alimentare, rientrano certamente nel novero di quelli di cui all’art. 46, u.c., L. fall., che appunto assegna al giudice delegato il compito di determinare i limiti alimentari di pignorabilità di stipendi e pensioni, e – come correttamente ritenuto dalla Corte di merito andavano conseguentemente impugnati nelle forme e nei termini di cui all’art. 26, L. fall..

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2117 c.c. e artt. 42 e 46 L. fall., per avere la Corte territoriale ritenuto che, corrispondendo alla curatela fallimentare l’importo in capitale della sua pensione integrativa, la Banca controricorrente avrebbe agito in ossequio alle decisioni degli organi della procedura fallimentare, laddove a suo avviso l’art. 2117 c.c., in combinato disposto con l’art. 42 e art. 46, nn. 1 e 5, L. fall., vieterebbe atti di disposizione su tali somme da parte della curatela stessa.

Il motivo può essere congiuntamente esaminato con quello successivo, con cui si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1188 c.c. nonchè vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ritenuto che il pagamento della Banca fosse legittimato dall’ordine del giudice, ed è, al pari di quest’ultimo, infondato.

Fermo restando che l’art. 2117 c.c., nel prevedere che i fondi speciali di previdenza e assistenza predisposti dal datore di lavoro “non possono formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell’imprenditore del prestatore di lavoro”, si riferisce logicamente ai fondi nella loro interezza di patrimonio di destinazione e non già alle prestazioni che essi erogano, giova ricordare che, per costante giurisprudenza di questa Corte, i decreti del giudice delegato e gli effetti che ne discendono, una volta divenuti definitivi per mancata impugnazione o rigetto del reclamo proposto nei loro confronti, raggiungono un grado di definitività (seppure allo stato degli atti) che preclude la rivalutazione della situazione che essi hanno disciplinato, per modo che solo l’intervento di nuovi fatti, che abbiano concorso al mutamento della situazione, rende ammissibile una istanza diretta a modificarne il contenuto (cfr. Cass. nn. 12799 del 2001 e 13212 del 2003).

Segue da quanto sopra che del tutto correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che la Banca si fosse liberata dall’obbligazione contratta nei suoi confronti pagando alla curatela fallimentare l’importo in capitale della sua pensione integrativa: stante la definitività dei provvedimenti del giudice delegato emessi medio tempore e di cui dianzi s’è detto, la curatela altri non era che “la persona autorizzata (…) dal giudice a ricever(e)” il pagamento, con i conseguenti effetti liberatori per il debitore di cui al disposto dell’art. 1188 c.c..

Il ricorso, pertanto, va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2017

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