Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12367 del 23/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 23/06/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 23/06/2020), n.12367

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3533/2015 proposto da:

S.F., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato BIAGIO GRASSO;

– ricorrente –

contro

ASL NA (OMISSIS) (già ASL NA(OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ISONZO 42, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA PUOTI,

rappresentata e difesa dall’avvocato CARLO PUOTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8799/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/02/2014 R.G.N. 10232/2009.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 12 febbraio 2014 la Corte d’appello di Napoli respinge l’appello di S.F. avverso la sentenza n. 30152/2008 del locale Tribunale, di rigetto della domanda della S. diretta ad ottenere la condanna della ASL Napoli (OMISSIS) (sua datrice di lavoro) a calcolare il trattamento retributivo corrispondente del superiore livello conseguito (D/S) in modo tale da computare l’intero importo già maturato nella fascia economica nel livello di provenienza (D/4).

che avverso tale sentenza S.F. propone ricorso affidato a due motivi e illustrato da memoria;

che la ASL Napoli (OMISSIS) resiste, con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è articolato in due motivi;

che con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., per omesso esame del secondo motivo di appello relativo alla domanda della ricorrente volta ad ottenere l’indennità di funzione;

che con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., per omesso esame del terzo capo dell’atto d’appello relativo alla domanda di differenze retributive derivanti dalle superiori mansioni svolte;

che l’esame delle censure – da effettuare congiuntamente per ragioni logico-giuridiche – porta alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso;

che in entrambi i motivi si denunciano omesse pronunce – più che omessi esami od omesse motivazioni visto che si richiama la violazione dell’art. 112 c.p.c. – su alcune censure che si sostiene sarebbero state proposte in appello;

che deve essere ricordato che, per costanti orientamenti di questa Corte ai quali il Collegio intende dare continuità:

a) la parte che impugna una sentenza con ricorso per cassazione per omessa pronuncia su una domanda o eccezione ha l’onere, per il principio di specificità dei motivi del ricorso, a pena di inammissibilità, di precisare in quale atto difensivo o verbale di udienza l’ha formulata, per consentire al giudice di verificarne la ritualità e tempestività, e quindi la decisività della questione, e perchè, pur configurando la violazione dell’art. 112 c.p.c., un error in procedendo, per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, non essendo tale vizio rilevabile d’ufficio, il potere-dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte indicarli (Cass. SU 28 luglio 2005, n. 15781; Cass. 17 gennaio 2007, n. 978; Cass. SU 14 maggio 2010, n. 11730).

b) in particolare, nella suddetta ipotesi, il giudice di legittimità è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) nelle quali si sostanzia il principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione (vedi, per tutte: Cass. SU 22 maggio 2012, n. 8077);

c) in base a tale ultimo principio il ricorrente per cassazione qualora proponga delle censure che comportano l’esame o la valutazione di documenti o atti processuali, è tenuto a trascriverne nel ricorso il contenuto essenziale e nel contempo a fornire alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, nonchè per valutarne la corretta allegazione agli atti (di recente: Cass. SU 23 settembre 2019, n. 23552 e n. 23553);

che, nella specie, nella formulazione di entrambi i motivi i suddetti indirizzi non sono stati seguiti;

che, infatti, il ricorrente non ha trascritto nel ricorso le parti dell’atto di appello relative all’avvenuta formulazione delle domande di cui lamenta l’omessa considerazione da parte della Corte d’appello, onde consentire a questa Corte di verificarne la ritualità e tempestività, nonchè la decisività delle questioni proposte e neppure ha provveduto alla allegazione al ricorso dell’atto di appello medesimo;

che a ciò può aggiungersi che il ricorrente, pur avendo depositato memoria, non ha replicato all’assunto della controricorrente secondo cui la questione relativa alle differenze retributive derivanti dalle superiori mansioni svolte (di cui al secondo motivo) sarebbe nuova e, come tale, inammissibile di per sè;

che, infatti, per costanti indirizzi di questa Corte:

a) nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (vedi, per tutte: Cass. 16 aprile 2014, n. 2190; Cass. 26 marzo 2012, n. 4787; Cass. 30 marzo 2000, n. 3881; Cass. 9 maggio 2000, n. 5845; Cass. 5 giugno 2003, n. 8993; Cass. 21 novembre 1995, n. 12020);

b) pertanto, qualora una determinata questione giuridica che implichi un accertamento in fatto e che non risulti in alcun modo trattata nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, deve denunciarne l’omessa pronuncia indicando, in conformità con il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in quale atto del giudizio di merito abbia già dedotto tale questione, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità e la ritualità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la relativa censura (tra le tante: Cass. 29 gennaio 2003, n. 1273; Cass. 2 aprile 2004 n. 6542, Cass. 21 febbraio 2006 n. 3664 e Cass. 28 luglio 2008 n. 20518; Cass. 16 aprile 2014, n. 2190; Cass. 23 settembre 2016, n. 18719; Cass. SU 26 luglio 2018, n. 19874; Cass. 24 gennaio 2019, n. 2038);

che, in sintesi, il ricorso è inammissibile, per le anzidette ragioni;

che le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;

che si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, ove il versamento ivi previsto risulti dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5000,00 (cinquemila/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020

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