Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12366 del 07/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 07/06/2011, (ud. 28/04/2011, dep. 07/06/2011), n.12366

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

R.H.A. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE di CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dagli avvocati MASSA BOVA TIZIANA, RAMONDINI

GIAN MARIO, MORESSA BARBARA, giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

LIDL ITALIA SRL (OMISSIS), in persona del suo amministratore

delegato e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ARCHIMEDE 112, presso lo studio

dell’avvocato MAGRINI SERGIO, che la rappresenta e difende unitamente

agli avvocati DELL’OMARINO ANDREA, CANTONE LORENZO, giusta procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 609/2009 della CORTE D’APPELLO di TORINO del

12/05/09, depositata il 02/07/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/04/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO IANNIELLO;

è presente l’Avvocato Generale in persona del Dott. DOMENICO

IANNELLI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

La causa è stata chiamata alla odierna adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 c.p.c.:

“Il ricorrente, già dipendente della LIDL Italia s.r.l. inquadrato nel 6 livello C.C.N.L. terziario, con compiti, da ultimo, relativi alla sistemazione della merce nei banchi e negli scaffali del supermercato della società in (OMISSIS), è stato licenziato con lettera del 27 febbraio 2007 sulla base di una contestazione disciplinare, formulata con lettera del 13 febbraio 2007, secondo la quale il giorno precedente, fermato all’uscita dal lavoro dall’ispettore della LIDL sig. Ri. che gli aveva chiesto di seguirlo in direzione per giustificare il fatto di indossare un giubbotto utilizzabile solo all’interno dell’azienda, il R. era fuggito di corsa, subito inseguito dal Ri. che lo aveva visto liberarsi di oggetti estratti dal giubbotto e che al termine dell’inseguimento erano stati recuperati ed erano risultati essere prodotti alimentari commercializzati dalla LIDL, quindi ritenuti da lui sottratti ed occultati sotto il giubbetto.

Promossa dal R. azione giudiziaria per ottenere l’annullamento del licenziamento sulla base dell’assunto che egli si era spaventato di fronte al R. che lo aveva interpellato e pertanto si era allontanato rapidamente da lui, senza liberarsi di alcunchè, la Corte d’appello di Tonino, con sentenza depositata il 2 luglio 2009, riformando la decisione di primo grado, aveva respinto le domande dell’appellato.

Avverso tale sentenza propone ora ricorso per cassazione il R., con quattro motivi, notificandolo alla società, a mezzo del servizio postale, in data 21 aprile 2010.

I motivi attengono a:

– la violazione dell’art. 2697 c.c., della L. n. 604 del 1966, art. 5, e della L. n. 300 del 1970, art. 7, per avere ritenuto il licenziamento giustificato nonostante l’assenza di una prova rigorosa in ordine al fatto addebitato, costituito dalla sottrazione di beni aziendali;

– violazione dell’art. 2729 c.c. laddove la Corte avrebbe ritenuto provata la sottrazione dei beni sulla base della circostanza che questi erano stati reperiti all’esterno dell’azienda;

– erronea e/o omessa motivazione della sentenza in ordine alla valutazione delle prove relativamente al fatto contestato;

– violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 laddove aveva ritenuto il licenziamento misura sanzionatoria proporzionata alla sottrazione di beni aziendali di modico valore.

Resiste alle domande la società con controricorso ritualmente notificato.

Il procedimento, in quanto promosso con ricorso avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 e antecedentemente alla data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69 è regolato dall’art. 360 c.p.c. e segg. con le modifiche e integrazioni apportate dal D.Lgs. citato.

Il ricorso è manifestamente infondato e va pertanto trattato in camera di consiglio per essere respinto.

I primi tre motivi, che è opportuno trattare congiuntamente, investono in realtà la motivazione della sentenza,, in quanto presuppongono un complessivo giudizio di fatto contrastante con quello formulato dalla Corte territoriale (secondo la quale gli indizi raccolti in giudizio siano gravi precisi e concordanti e quindi idonei a rappresentare la piena prova del fatto addebitato, alla stregua del materiale probatorio raccolto in giudizio e da essa valutato nel suo complesso).

Anche dai quesiti di diritto di cui ai primi due motivi, formulati inserendo nel relativo testo circostanze diverse o e di minor rilievo rispetto a quelle valutate dai giudici (per cui l’unico indizio sarebbe stato il reperimento della merce all’esterno dell’azienda) o dando per scontato che il fatto addebitato non era stato pienamente provato, in quanto nessuno aveva riferito di aver visto il ricorrente sottrarre la merce, appare pertanto chiaro il tentativo di trasformare opinioni diverse del ricorrente in materia di valutazione delle prove (che poi verranno sviluppate al massimo nel terzo motivo) in vizi di violazione di legge.

In proposito va poi ricordato che il controllo in sede di legittimità su di un giudizio di fatto del giudice di merito non può spingersi fino alla rielaborazione dello stesso alla ricerca di una soluzione alternativa rispetto a quella ragionevolmente raggiunta, da sovrapporre, quasi a formare un terzo grado di giudizio di merito, a quella operata nei due gradi precedenti, magari perchè ritenuta la migliore possibile, dovendosi viceversa muovere esclusivamente (attraverso il filtro delle censure proposte dalla parte ricorrente) nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c..

Tale controllo riguarda viceversa (attraverso il filtro delle censure mosse con il ricorso) unicamente il profilo della coerenza logico- formale e della correttezza giuridica delle argomentazioni svolte, in base all’individuazione, che compete esclusivamente al giudice di merito, delle fonti del proprio convincimento, raggiunto attraverso la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, scegliendo tra di esse quelle ritenute idonee a sostenerlo all’interno di un quadro valutativo complessivo privo di errori, di contraddizioni e di evidenti fratture sul piano logico, nel suo interno tessuto ricostruttivo della vicenda (cfr., per tutte, Cass. S.U. 11 giugno 1998 n. 5802 e, più recentemente, ex ceteris, Cass., nn. 27162/09, 26825/09 e 15604/07).

Nè appare sufficiente, sul piano considerato, a contrastare le valutazioni del giudice di merito il fatto che alcuni elementi emergenti nel processo e invocati dal ricorrente siano in contrasto con alcuni accertamenti e valutazioni del giudice o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti.

Ogni giudizio implica infatti l’analisi di una più o meno ampia mole di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra di loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, compete al giudice nei due gradi di merito in cui si articola la giurisdizione.

Occorre quindi che i fatti della controversia dedotti per invalidare la motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione (in quanto da essa ignorati o insufficientemente o contraddittoriamente valutati), siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante o determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (in proposito, cfr., ad es. Cass. nn. 24744/06 e 14973/06).

Nel caso in esame, la Corte territoriale ha ritenuto pienamente accertati i fatti contestati, sulla base della prova testimoniale svolta – ritenuta attendibile e non sminuita da importanti differenze nelle dichiarazioni dei due testi fondamentali -, che del resto aveva fornito della vicenda rappresentata l’unica credibile e razionale spiegazione della vicenda. Il fatto di fuggire e soprattutto di abbandonare nella corsa i prodotti alimentari poi rinvenuti dal Ri. nel contesto descritto e accertato anche dal giudice di primo grado è stato infatti ritenuto trovare unica ragionevole spiegazione nell’intento di scongiurare la scoperta dell’avvenuta sottrazione e dell’occultamento sotto il giubbotto dei beni aziendali.

Il ricorrente investe tale motivazione con considerazioni spesso meramente assertive, qualche volta gratuite o anche non pertinenti rispetto alla linea difensiva adottata, per cui (anche in assenza di precise, autonome, chiare indicazioni del fatto o dei fatti controversi in relazione ai quali la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione: cfr. art. 366-bis c.p.c. applicabile ratione temporis al ricorso del R.) il ricorso appare piuttosto finalizzato a proporre in questa sede di legittimità una ricostruzione dei fatti alternativa nel suo complesso a quella assunta dai giudici dell’appello, sulla base del medesimo materiale istruttorio rielaborato al fine di delineare una vicenda ritenuta poco credibile dalla Corte territoriale con adeguata motivazione.

In tal modo il ricorrente sostanzialmente chiede a questa Corte un nuovo giudizio di merito in ordine ai fatti rappresentato in giudizio, come non appare consentito dal nostro Ordinamento processuale.

Anche il quarto motivo, che fonda unicamente sulla citazione della massima di una decisione di questa Corte (non riportando il reale principio di diritto affermato e elevando a principio di diritto l’accertamento in concreto compiuto dai giudici di merito, ritenuto incensurabile dalla Corte ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e sulla considerazione del modesto valore della merce sottratta e dell’assenza di precedenti disciplinari a carico del ricorrente nei quattro anni di attività lavorativa, non è fondato.

In proposito, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza prevalente di questa Corte in materia di proporzionalità del licenziamento disciplinare rispetto alla mancanza contestata e secondo la quale il giudizio di proporzionalità (demandato al giudice di merito e non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo del difetto di motivazione) deve essere volto ad accertare se i fatti ascritti al dipendente sono di gravità tale, tenuto conto della natura dell’impresa, dell’attività all’interno di essa svolta e delle mansioni del dipendente, da compromettere irrimediabilmente il necessario rapporto di fiducia, laddove l’assenza di nocumento o di serio pericolo di nocumento alla sfera patrimoniale del datore di lavoro non è elemento decisivo per escludere il venir meno del rapporto di fiducia (cfr., per tutte, Cass. sentt. nn. 9410/01, 7724/04, 15491/06, 20221/07 e 17514/10).

Ed invero, i giudici di appello, ribadendo che il valore modesto della merce asportata non rende per ciò stesso illegittimo il licenziamento conseguente, hanno viceversa valorizzato, sul piano della fiducia oggettiva relativamente alla correttezza futura del rapporto, il contesto operativo in cui il ricorrente aveva compiuto il fatto, agevolato dalle mansioni affidategli e in un ambiente esposto facilmente alla sottrazione di merce esposta alla fiducia dei cittadini e dei dipendenti, nell’occasione in cui era stato comandato a prestare servizio in un magazzino diverso da quello usuale nonchè il comportamento complessivo tenuto nell’occasione dal dipendente.

Ancora una volta questa valutazione viene investita unicamente nel merito, con l’evidenziare altri elementi di valutazione che la Corte ha ritenuto minori.

Concludendo, si chiede che il Presidente della sezione voglia fissare la data dell’adunanza in camera di consiglio”.

E’ seguita la rituale notifica della suddetta relazione, unitamente all’avviso della data della presente udienza in camera di consiglio.

Il ricorrente ha depositato una memoria difensiva, ribadendo, contro la valutazione del relatore, le proprie difese.

Il Collegio condivide il contenuto della relazione, in alcun modo messo validamente in discussione dalla memoria difensiva del ricorrente, sostanzialmente di contenuto meramente assertivo.

Il ricorso va pertanto respinto, con le normali conseguenze in ordine al regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, secondo la liquidazione fattane in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla società le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 30,00 per esborsi ed Euro 3.000,00, oltre 12,50%, IVA e CPA, per onorari.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2011

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