Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12364 del 17/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 17/05/2017, (ud. 08/02/2017, dep.17/05/2017),  n. 12364

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1867-2012 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS)

in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati SERGIO PREDEN, ALESSANDRO RICCIO, GIUSEPPINA GIANNICO,

ANTONELLA PATTERI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

T.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA 10/B, presso lo studio dell’avvocato

ALESSANDRO PRUDENZANO, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIO

MARRA DE SCISCIOLO, FRANCO D’ACUNTO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

INTESA SAN PAOLO S.P.A. GIA’ SAN PAOLO IMI S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA BARBERINI 47, presso lo studio dell’avvocato ANGELO

PANDOLFO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MARIALUCREZIA TURCO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3014/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 06/05/2011 R.G.N. 653/08;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/02/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione;

udito l’Avvocato SERGIO PREDEN;

udito l’Avvocato SILVIA LUCANTONI per delega verbale Avvocato ANGELO

PANDOLFO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso al Tribunale di Napoli del 27.6.2005 T.G., già dipendente del Banco di Napoli fino al 18.1.1983, titolare di pensione a carico della Assicurazione Generale obbligatoria INPS e di pensione erogata da ente diverso dall’INPS, chiedeva al giudice del lavoro di accertare la infondatezza della pretesa dell’INPS, avanzata nel luglio 2004, alla restituzione della quota di pensione percepita a carico dell’ente per il periodo (dall’anno 1994 a giugno 2003) in cui egli aveva instaurato un nuovo rapporto di lavoro dipendente, per la pretesa incumulabilità tra reddito da lavoro dipendente e trattamento pensionistico.

Chiedeva altresì accertarsi il suo diritto a cumulare la pensione con la retribuzione e condannarsi l’INPS a pagare gli arretrati del supplemento di pensione trattenuti a titolo di compensazione parziale con il preteso indebito.

Il Tribunale di Napoli rigettava la domanda.

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 15 aprile – 6 maggio 2011, accoglieva l’appello del T. e condannava l’INPS al pagamento in favore del pensionato delle somme trattenute sul supplemento di pensione. La Corte territoriale osservava che erroneamente il giudice del primo grado aveva ritenuto applicabile alla fattispecie di causa il D.L. n. 17 del 1983, art. 10, comma 7 norma che prevedeva la estensione del divieto di cumulo tra trattamento pensionistico e retribuzioni per lavoro dipendente ai soggetti che fruivano di pensionamenti anticipati in applicazione delle disposizioni dello stesso art. 10. Si trattava (a tenore dell’art. 10, precedente comma 1) dei soggetti che avevano presentato domanda di pensionamento anticipato a partire dalla data di entrata in vigore del decreto legge.

Il T. aveva usufruito del trattamento pensionistico in epoca anteriore allo stesso decreto legge sicchè non poteva essergli esteso il divieto di cumulo previsto dalla norma.

Per la disciplina applicabile doveva aversi riguardo all’art. 11 dell’allegato T alla L. n. 486 del 1895, art. 39 che aveva previsto che le pensioni dei dipendenti del Banco di Napoli fossero regolate dalle diposizioni vigenti per gli impiegati dello Stato.

La normativa statale non rappresentava la sola fonte del regime pensionistico del personale del Banco ma serviva essenzialmente ad integrare l’apposita disciplina regolamentare interna dell’istituto di credito. Per quanto pacifico in causa, non esisteva alcuna disposizione del regolamento interno del Banco di Napoli che disciplinasse l’ipotesi del cumulo della pensione con il reddito da lavoro dipendente; la applicabilità ai pensionati del banco di Napoli della disciplina pensionistica dei dipendenti dello Stato era confermata dal regolamento interno per il personale del Banco di Napoli, all’art. 100, sicchè sul punto la disciplina era esattamente quella del personale statale.

Tale disciplina (D.P.R. n. 1092 del 1973, art. 130) consentiva il cumulo tra trattamento pensionistico e reddito da lavoro dipendente.

Per la Cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’INPS, articolando un unico motivo.

Ha resistito con controricorso T.G., illustrato con memoria. All’esito della udienza pubblica del 5.10.2016 questa Corte ha disposto la integrazione del contraddittorio nei confronti di INTESA SAN PAOLO spa, che ha depositato controricorso aderendo alle conclusioni dell’INPS.

Il T. ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo l’INPS ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione:

– D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 3;

– L. n. 153 del 1969, art. 22;

– D.Lgs. n. 503 del 1992, artt. 9 e 10.

L’INPS ha ricordato che per effetto della c.d. privatizzazione degli istituti di credito di diritto pubblico, attuata con Legge Delega 30 luglio 1990, n. 218 e D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 357, è stata disposta la iscrizione dei dipendenti degli stessi istituti di credito nella gestione speciale contestualmente istituita presso la assicurazione generale obbligatoria dell’INPS, con decorrenza dal gennaio 1991.

Il D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 3 era dedicato al regime pensionistico degli iscritti già pensionati al 31.12.1990; la norma prevedeva che la gestione speciale INPS assumesse a proprio carico una quota del trattamento pensionistico.

La quota di pensione posta a carico della gestione speciale dell’INPS non era cumulabile con il reddito per il lavoro dipendente perchè veniva disciplinata dalle norme sulla assicurazione generale obbligatoria; a tale quota doveva applicarsi pertanto il generale divieto di cumulo della pensione con il reddito da lavoro dipendente L. n. 153 del 1969, ex art. 22.

A tale conclusione non era di ostacolo la previsione del D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 4 sulla salvezza del diritto al trattamento previdenziale di complessivo miglior favore previsto dalla forme – esclusive o esonerative – di precedente iscrizione in favore dei lavoratori in servizio (art. 2) o pensionati (art. 3) alla data del 31.12.1990.

La clausola di salvezza garantiva, ha dedotto l’INPS, la sola misura della pensione, il cui quantum non doveva subire alcuna riduzione in conseguenza del passaggio alla assicurazione generale; il maggiore importo garantito dal precedente regime rispetto alla misura a carico della gestione speciale era posto a carico dei precedenti fondi o casse, che assumevano funzione integrativa della pensione INPS.

La clausola di salvaguardia non poteva essere invocata invece, ha assunto l’INPS, per estendere alla gestione speciale INPS il regime di piena cumulabilità con il reddito da lavoro dipendente vigente presso i regimi soppressi.

Tale interpretazione trovava conferma – ha sostenuto l’INPS – nella disciplina introdotta in epoca successiva dal D.Lgs. n. 503 del 1992, il cui art. 9 estendeva agli iscritti alla gestione speciale INPS di cui alla riforma del 1990 (D.Lgs. n. 357 del 1990), la applicazione dei titoli Primo e Terzo dello stesso D.Lgs..

L’art. 10, norma di apertura del titolo 3^, aveva innovato ed irrigidito la precedente disciplina del cumulo quanto alle pensioni di vecchiaia e di invalidità; per le pensioni di anzianità nulla aveva innovato quanto al reddito da lavoro dipendente (limitandosi a ribadire la totale incumulabilità ai sensi della L. n. 153 del 1969, art. 22) mentre per il reddito da lavoro autonomo aveva disposto la cumulabilità con la pensione in misura del 50%.

In questo contesto il comma 8, art. 10 escludeva dalle modifiche peggiorative della nuova disciplina del cumulo coloro i quali alla data del 31.12.1994 fossero già titolari di pensione (ovvero avessero maturato i relativi requisiti contributivi minimi).

Dalla disposizione non poteva ricavarsi che il ricorrente fosse stato esentato dal divieto di cumulo con il reddito da lavoro dipendente giacchè la salvezza della precedente disciplina era prevista per i soli aspetti più favorevoli (ad esempio la precedente totale cumulabilità del reddito da lavoro autonomo) laddove per le pensioni di anzianità il divieto di cumulo della pensione con il reddito da lavoro dipendente preesisteva al D.Lgs. n. 503 del 1992, che non aveva dunque irrigidito la disciplina.

Preliminarmente deve essere disattesa la eccezione di inammissibilità del motivo sollevata dalla difesa del controricorrente T.G..

Il vizio denunziato è stato correttamente qualificato dall’INPS come falsa applicazione di norme di diritto giacchè concerne la individuazione della regola iuris applicabile nella fattispecie di causa.

Il vizio della motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 concerne, invece, l’accertamento dei fatti storici operato nella sentenza di merito, che non è stato investito dalle ragioni del ricorso dell’INPS.

Il ricorso è fondato, per quanto di seguito si osserva.

Per effetto della c.d. privatizzazione degli istituti di credito di diritto pubblico, attuata con Legge Delega 30 luglio 1990, n. 218 e D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 357, è stata disposta la iscrizione dei dipendenti degli stessi istituti di credito nella gestione speciale contestualmente istituita presso la assicurazione generale obbligatoria dell’INPS, con decorrenza “dal periodo di paga in corso al 1 gennaio 1991” (D.Lgs. cit., art. 1, comma 1).

Nel regime precedente il Banco di Napoli ed il Banco di Sicilia erogavano una pensione esclusiva dell’AGO: il trattamento pensionistico veniva corrisposto direttamente dagli enti datori di lavoro, secondo regole fissate in sede di contrattazione collettiva; la previdenza presso le altre banche di diritto pubblico era invece esonerativa dall’AGO ed il trattamento pensionistico era corrisposto da appositi Fondi o Casse di previdenza, creati dai datori di lavoro.

Il D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 3 disciplinò il regime pensionistico dei dipendenti già pensionati alla data del 31.12.1990 (è questa la ipotesi di causa).

La norma prevedeva che la gestione speciale INPS assumesse a proprio carico una quota del trattamento pensionistico che:

a) per le pensioni in corso alla data di entrata in vigore della Legge-Delega n. 218 del 1990 (id est: al 21.8.1990) era determinata in misura percentuale del trattamento in essere, secondo apposita tabella (per il Banco di Napoli: 85% del trattamento in essere);

b) per le pensioni decorrenti tra la data di entrata in vigore della legge delega ed il 31.12.1990 era determinata secondo la disciplina dell’AGO, relativamente tanto al diritto che all’ammontare del trattamento di pensione.

Il successivo art. 4 prevedeva la garanzia della conservazione del trattamento complessivo di miglior favore risultante dalle disposizioni dei regimi soppressi (salvaguardia estesa, peraltro, non solo ai pensionati ma anche ai dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1990).

La differenza rispetto alla pensione o quota di pensione a carico della gestione speciale veniva posta a carico:

– dei fondi o casse precedenti (regimi esonerativi), che così si trasformavano in fondi integrativi dell’AGO (si veda l’art. 5, comma 2);

– ovvero direttamente dei datori di lavoro (regimi esclusivi).

Ne è dunque risultato un sistema complesso, nel quale nel trattamento pensionistico convivono due quote:

1) la quota a carico dell’AGO-gestione speciale;

2) la quota a carico del datore di lavoro ovvero dei precedenti fondi e casse.

La questione di causa consiste nello stabilire:

– se la quota a carico dell’AGO seguisse il regime giuridico generale della assicurazione obbligatoria ovvero:

– se le disposizioni più favorevoli dei precedenti regimi continuassero a trovare applicazione anche per la quota AGO.

La soluzione è nel primo dei sensi prospettati.

Essa è coerente con il principio dell’assoggettamento delle pensioni AGO al regime giuridico generale, salvo diverse disposizioni, nella specie non rinvenibili.

Tale deroga, in particolare, non può essere ravvisata nel D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 4.

La norma, al comma 1, prevede la salvezza del trattamento previdenziale di miglior favore secondo il regime delle precedenti forme di previdenza esclusive o esonerative ma stabilisce, con il comma due, che la differenza tra il suddetto trattamento complessivo “tempo per tempo determinato” e la pensione o quota di pensione a carico della gestione speciale dell’INPS è posta a carico (interamente) del datore di lavoro o dei precedenti fondi o casse.

Il regime della quota di pensione a carico della gestione INPS per i pensionati al 31.12.19990 è dunque interamente rinvenibile nel precedente art. 3.

Si è già detto che tale art. determina diversamente la quota di pensione per i pensionati al 21.8.1990 (data di entrata in vigore della legge delega), da un canto, ed i pensionati con decorrenza dal 22.8.1990 al 31.12.1990, dall’altro; per i primi la quota a carico dell’INPS non è stata determinata secondo le regole AGO ma in misura percentuale del trattamento in essere (secondo apposta tabella: per il Banco di Napoli, 85% del trattamento in essere).

La apparente distonia trova tuttavia agevole spiegazione nella esigenza di consentire una pronta liquidazione della quota INPS per la ampia platea dei pensionati di vecchia data; già per i pensionati dal 22.8 al 31.12.1990 è invece previsto che la quota a carico dell’AGO è determinata “secondo la disciplina in vigore per la assicurazione generale obbligatoria” non solo in relazione all’ammontare del trattamento ma anche quanto alla disciplina del diritto a pensione (“ai fini del diritto e dell’ammontare del trattamento stesso”).

Anzi, lo stesso art. 3, al successivo comma 3, si preoccupa di stabilire che le quote di pensione a carico della gestione speciale sono assoggettate alla disciplina per la perequazione automatica prevista nella assicurazione generale obbligatoria.

Con ciò si è voluto chiarire che la dinamica della quota INPS, una volta determinata la sua misura iniziale, avrebbe seguito le regole AGO e non il previgente regime aziendale.

In estrema sintesi cioè:

– la quota INPS, una volta determinata all’1 gennaio 1991, seguiva le regole AGO quanto al regime giuridico ed agli adeguamenti;

– la quota integrativa continuava a seguire il regime (già esonerativo od esclusivo) più favorevole ma le differenze che ne derivavano cadevano a carico del datore di lavoro ovvero dei fondi e casse (trasformati in regimi integrativi).

La interpretazione qui accolta è peraltro presupposta, seppure in

controversie con oggetto diverso, nella giurisprudenza di questa Corte.

Le Sezioni Unite di questa Corte (sent. 03/07/2001, n. 9023) nell’esaminare la questione della sopravvivenza dei più favorevoli regimi aziendali di perequazione delle pensioni a seguito delle leggi di riforma successive al 1990, hanno premesso, in motivazione (par. 6): “tutto il personale dipendente dal Banco di Napoli, in attività di servizio o in pensione, che in precedenza usufruiva di un regime esclusivo, è stato iscritto, per la prima volta, in una gestione speciale costituita presso l’assicurazione generale obbligatoria, con la conseguenza che l’onere del pagamento di tutte le prestazioni pensionistiche è stato posto su tale gestione speciale secondo le regole proprie di questa”.

Si legge in Cass. sez. lav 21.2.2007 nr, 4005, in controversia relativa ai requisiti richiesti per il conseguimento della pensione di anzianità:

“La disciplina è mutata a seguito delle leggi restrittive degli anni 1992 e seguenti emanate ai fini di contenere la spesa pubblica, allorquando, prima con la Legge Delega 25 ottobre 1992, n. 421, art. 3, lett. p) e quindi con il Decreto Delegato 30 dicembre 1992, n. 503, art. 9, si incise anche sul trattamento previdenziale spettante al personale degli enti pubblici creditizi, attraverso la parificazione delle regole vigenti presso i fondi con le regole vigenti presso l’AGO. Più precisamente, le modifiche introdotte non si incentrarono sulla quota che doveva essere erogata dalla gestione speciale Inps, perchè questa era già conforme in tutto e per tutto alla disciplina AGO, ma si incentrarono sulla pensione che doveva essere erogata dal fondo integrativo”.

Da quanto esposto deriva che la quota di pensione erogata dalla gestione speciale INPS ricadeva nel divieto di cumulo con il reddito da lavoro dipendente vigente nella assicurazione generale obbligatoria ai sensi della L. n. 153 del 1969, art. 22.

Le successive disposizioni della riforma del 1992 (Legge delega 23 ottobre 1992, n. 421 e D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503) non contraddicono tale interpretazione.

La disciplina applicabile alla fattispecie di causa si rinviene nel D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 9 intitolato “Trattamenti di pensione ai lavoratori di cui al D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 357”, così articolato:

“Le disposizioni di cui ai titoli 1 e 3 del presente decreto riferite ai lavoratori dipendenti dell’assicurazione generale obbligatoria trovano applicazione anche per gli iscritti alla gestione speciale di cui al D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 357, relativamente alle pensioni o quote di esse a carico della gestione medesima.

2. Gli artt. 2, 3, 8, 10, 11, 12 e 13 trovano applicazione nei confronti dei regimi aziendali integrativi ai quali è iscritto il personale di cui al D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 357, art. 2.

3. Le variazioni derivanti ai trattamenti pensionistici per effetto di quanto disposto al comma 2 rispetto alla previgente disciplina incidono sul trattamento complessivo di cui al D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 357, art. 4 salvo che non sia diversamente disposto in sede di contrattazione collettiva”.

La disciplina della quota di pensione a carico dell’INPS veniva dunque diversificata rispetto a quella della quota integrativa a carico dei regimi aziendali:

– alla prima, disciplinata dal comma 1, si applicavano tutte le disposizioni del regime AGO (titoli 1 e 3);

– alla quota aziendale integrativa, di cui al comma due, si estendevano le sole norme specificamente previste ed in relazione alla sola platea dei dipendenti in servizio al 31.12.1990 (D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 2) con esclusione, cioè, dei già pensionati alla stessa data (categoria contemplata dal D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 3).

La esigenza di una specifica salvaguardia dei pensionati del Banco di Napoli al 31.12.1990 si poneva, dunque, soltanto in riferimento alle variazioni del regime della quota aziendale, proprio perchè la quota a carico dell’INPS era già soggetta, sin dalla istituzione della gestione speciale INPS, alla disciplina dell’AGO.

La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata per non avere applicato le disposizioni del D.Lgs. n. 357 del 1990, artt. 1 e 3 i cui effetti sulle questioni di fatto prospettate neppure ha esaminato, dovendo affermarsi il seguente principio di diritto: “la quota del trattamento pensionistico assunta a proprio carico dalla gestione speciale dell’INPS ai sensi del D.Lgs. n. 357 del 1990, artt. 1 e 3 è assoggettata al regime dell’Assicurazione Generale Obbligatoria in punto di incompatibilità tra trattamento pensionistico e reddito da lavoro dipendente”.

La sentenza va pertanto cassata e gli atti rinviati ad altro giudice, che si individua nella Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, perchè decida la controversia sulla base dell’indicato principio di diritto e per l’esame delle domande subordinate rimaste assorbite.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla disciplina delle spese.

PQM

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia – anche per le spese – alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2017

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