Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12364 del 15/06/2016

Cassazione civile sez. VI, 15/06/2016, (ud. 09/05/2016, dep. 15/06/2016), n.12364

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9421-2015 proposto da:

L.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI RIPETTA

22, presso lo studio dell’avvocato GERARDO VESCI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FULVIO ROSARI, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

SFE FINANCIERE ET D’ENCAISSEMENT SOCIETE’, in persona del

Presidente Delegato e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUCRINO 5, presso lo studio

dell’avvocato LUCIO TAMBURRO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIUSEPPE NICOTRA, giusta procura in calce

al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2056/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del

23/09/2014, depositata il 30/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO ANTONIO GENOVESE;

udito l’Avvocato VINCENZO ALIBERTI, giusta delega allegata al

verbale dell’Avvocato VESCI, difensore del ricorrente, che si

riporta ai motivi;

udito l’Avvocato LUCIO TAMBURRO, difensore del controricorrente,

che si riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 20 luglio 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.:

“Con sentenza in data 30 settembre 2014, la Corte d’Appello di Bologna, ha accolto la domanda proposta da SPE societè financiere et d’encaissement per il riconoscimento delle sentenze straniere pronunciate dalla Corte d’Appello del Principato di Monaco il 29/6/2010 e dalla Corte di revisione del Principato di Monaco il 30/3/2011, respingendo le eccezioni sollevate dal signor L. D. in ordine a tale riconoscimento, che ha condannato al pagamento delle spese processuali Secondo la Corte territoriale, per quello che ancora interessa e rileva in questa sede, nell’ordinamento italiano non esisterebbe un disfavore nei confronti del gioco d’azzardo in quanto tale, ove esso non sfugga al controllo degli organismi statuali e non si esponga alle infiltrazioni criminali. Nè la consapevolezza da parte della società mutuante del fatto che la somma prestata sarà impiegata nel gioco assimilerebbe il patto ai debiti di gioco e l’azione recuperatoria non fuoriuscirebbe da quella tipica di recupero di quanto dato a mutuo, ove – come nella specie –

non sussista un interesse diretto del mutuante alla partecipazione al gioco del mutuatario.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso il L., con atto notificato il 30 marzo 2015, sulla base di un unico e articolato motivo, con il quale si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1933 c.c. e L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. g).

La SFE resiste con controricorso.

Il ricorso appare in gran parte inammissibile poichè è tale “per violazione del criterio dell’autosulfitienza, il ricorso per cassazione confezionato mediante l’assemblaggio di parti eterogenee del materiale di causa (nella specie, l’inserimento, tra virgolette, della sentenza impugnala e di oltre cinquanta tra alti e documenti dei pregressi gradi di giudizio, tra di loro giustapposti con mere proposizioni di collegamento) quando ciò renda incomprensibile il metto processuale, perchè privo di una corretta ed essenziale narrazione dei fatti processuali (ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), della sintetica esposizione della soluzione accolta dal giudice di merito, nonchè dell’illustrazione dell’errore da quest’ultimo commesso e delle ragioni che lo facciano considerare tale, addossando in tal modo alla S.C. il compito, ad essa non spettante, di sceverare da una pluralità di elementi quelli rilevanti ai fini del decidere.” (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22185 del 2015), giacchè fa consistere l’esposizione in fatto in un confuso assemblaggio di documenti di varia natura (provvedimenti giudiziali, documenti più vari, per oltre sessanta pagine) senza adempiere all’onere della chiara e sintetica esposizione dei fatti, utili a comprendere l’esatto tenore e la decisività delle doglianze da esporre.

Nella parte restante (motivi di ricorso), esso appare manifestamente infondato in quanto contrasta con i principi giuridici già posti da questa Corte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16511 del 2012) e secondo cui: “Non produce effetti contrari all’ordine pubblico e, quindi, può essere riconosciuta in Italia, ai sensi della L. n. 218 del 1995, artt. 64 e 67 la sentenza straniera (nella specie, emessa dalla Corte Suprema delle Bahamas) recante condanna per un debito attinente al gioco d’azzardo legalmente esercitato (nella specie, debito contratto presso la direzione del (OMISSIS) per l’acquisto delle “fiches”), atteso che, in ambito nazionale e in ambito comunitario, non esiste un disfavore dell’ordinamento giuridico nei confronti del gioco d’azzardo in quanto tale, ove esso non sfugga al controllo degli organismi statuali e non si esponga, pertanto, alle infiltrazioni criminali.”.

In conclusione, si deve disporre il giudizio camerale ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., n. 5.”.

Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione della controversia contenuta nella relazione di cui sopra, alla quale risultano essere state mosse osservazioni critiche della parte ricorrente;

che, peraltro, tali osservazioni se non scalfiscono la prima parte della riportata relazione, in ordine ai profili di inammissibilità già rilevati (e abbondantemente evidenziabili da una consultazione del ricorso e dal riscontro del suo tenore testuale), sono altresì infondati nella parte restante, nonostante il richiamo al sopravvenuto principio di diritto espresso da questa Corte con la sentenza n. 21712 del 2015, a termini della quale “l’art. 1965 c.c. francese, analogamente all’art. 1933 c.c., prevede espressamente che il debito di gioco o il pagamento di una scommessa non siano azionabili in giudizio; tale disposizione, pur non essendo applicabile al pagamento di assegni rilasciati in favore di un casinò la cui tenuta è autorizzata dalla legge e regolamentata dai pubblici poteri, trova invece applicazione nel caso in cui il rilascio di assegni alla casa da gioco si riferisca ad un contratto di mutuo concesso dal casinò per alimentare il gioco.”;

che, infatti, il caso esaminato dalla Corte, con la detta decisione, ha riguardato l’interpretazione, come vivente nella giurisprudenza francese di legittimità, della legge di quella Nazione (l’art. 1965 code civil), palesemente non richiamata nè applicabile al caso dello Stato monegasco (di cui qui si discute);

che, in tale occasione, questa Corte ha richiamato l’interpretazione della legge straniera a parte della Cour de Cassation, ponendola a base della sua validazione “L’interpretazione della legge straniera, al pari di quella nazionale, rientra alla competenza istituzionale della Corte di cassazione nell’esercizio della funzione di nomofilachia, sicchè, ove essa (nella specie, l’art. 1965 c.c. francese) si applichi al rapporto controverso (nella specie, per il combinato disposto della L. n. 218 del 1995, art. 57 secondo cui le obbligazioni contrattuali sono in ogni caso regolate dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980, e dell’art. 4 di detta Convenzione, laddove dispone che in mancanza di una scelta delle parti il contratto è regolato dalla legge del Paese col quale presenta il collegamento più stretto), è ammissibile il ricorso per cassazione per violazione di legge” con un dictum che, pertanto, non può riguardare il diritto monegasco, di cui non è stato allegato alcun profilo comune (se si esclude la lingua nella quale esso è espresso) o assimilabile a quello francese, neppure nella memoria illustrativa delle proprie posizioni; che, perciò, il ricorso, manifestamente infondato, deve essere respinto, in applicazione dei richiamati ed enunciati principi di diritto; che, alla reiezione del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questa fase, che si liquidano come da dispositivo, e al raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte, Respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, che liquida in complessivi 10.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 1 della Corte di cassazione, dai magistrati sopra indicati, il 9 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2016

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