Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12361 del 17/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 17/05/2017, (ud. 02/02/2017, dep.17/05/2017),  n. 12361

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18312-2011 proposto da:

B.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CORRADO VECCHIO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

e contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE LECCE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 272/2011 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 09/02/2011, R.G. N. 3314/2009;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/02/2017 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETIC.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 9/2/2011 la Corte di appello di Lecce, a conferma della sentenza resa dal Tribunale della medesima sede, ha escluso la sussistenza di una dequalificazione professionale nonchè di una condotta dolosamente preordinata ad estromettere il dott. B.A., dirigente medico, quale referente dell’articolazione del servizio Day Surgery di Campi Salentina ed ha respinto tutte le domande risarcitorie consequenziali.

La Corte territoriale, escluso che la violazione del procedimento previsto dal D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 7 rappresentasse condotta vessatoria a fronte della natura privatistica degli atti di gestione assunti dalle Aziende sanitarie, ha rilevato – anche sulla scorta della relazione elaborata dal consulente tecnico d’ufficio – che l’allontanamento temporaneo dall’attività chirurgica per circa quattro mesi ha rappresentato un comportamento di cautela della ASL alla luce della valutazione di esposizione a rischio effettuata dal medico competente con riguardo all’uso di gas alogenati – anestetico utilizzato in camera operatoria – da parte di operatore sanitario cardiopatico quale il dott. B.. La Corte ha, inoltre, escluso profili di danno professionale, biologico, esistenziale, anche in considerazione della storia clinica del medico già segnata da patologia depressiva, trattata con farmaci, insorta in passato per eventi extralavorativi.

Avverso la sentenza, il dott. B. propone ricorso per Cassazione, affidato a quattro motivi, illustrati da memoria ex art. 378 cod. proc. civ.. La A.S.L. di Lecce è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 7 e ss. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte di merito, trascurato che il provvedimento del medico competente del 22/12/2006, fatto proprio dalla A.S.L. (con nota del 20/1/2007), era abnorme, immotivato ed estemporaneo concretandosi in un vero e proprio attacco mirato alla persona del dott. B. e alla sua professionalità. Il medico competente ha totalmente violato il giusto procedimento senza coinvolgere nè informare il dott. B., giungendo ad un giudizio negativo sullo svolgimento di attività chirurgica del medico nei locali della Day Surgery nonostante il giudizio di idoneità espresso dal Collegio medico della A.S.L..

2. – Con il secondo motivo si denunzia violazione degli artt. 2087 e 2103 cod. civ. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte di merito, trascurato che i provvedimenti adottati dal medico competente e dalla A.S.L. hanno provocato gravi pregiudizi alla professionalità e alla condizione psico-fisica del medico.

3. – Con il terzo motivo si deduce vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) non avendo, la Corte di merito, esattamente valutato la relazione del consulente tecnico d’ufficio che ha evidenziato la procedura assolutamente extra ordinem seguita dal medico competente.

4. – Con il quarto motivo si deduce violazione degli artt. 2043, 2056, 1218, 1223 e 1226 cod. civ. nonchè vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) essendo emerso con chiarezza, dagli atti del giudizio, il comportamento illecito, doloso o quantomeno gravemente colposo tenuto dall’Azienda e non essendo, peraltro, stato riconosciuto alcun danno da demansionamento professionale, nè danni biologici, esistenziali, economici.

5. I motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, appaiono inammissibilmente formulati, per avere ricondotto sotto l’archetipo della violazione di legge censure che, invece, attengono alla tipologia del difetto di motivazione ovvero al gravame contro la decisione di merito mediante una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale.

Invero, è principio più volte espresso da questa Corte (per tutte Cass. n. 16698/2010) quello secondo cui: “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa”.

Invero, le censure si traducono in critiche ed obiezioni avverso la valutazione delle risultanze istruttorie (nella specie, documentali) quale operata dal giudice del merito nell’esercizio del potere di libero e prudente apprezzamento delle prove a lui demandato dall’art. 116 cod. proc. civ. e si risolvono altresì nella prospettazione del risultato interpretativo degli elementi probatori acquisiti, ritenuto dallo stesso ricorrente corretto ed aderente alle suddette risultanze, coinvolgimento, così, di un sindacato nel merito della causa non consentito in sede di legittimità (cfr. in motivazione, ex plurimis, Cass. 21 ottobre 2014 n.22283).

Inoltre, le censure sono prospettate con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto di tutti i documenti citati (il parere del Collegio medico, il verbale n. 771 dell’11/4/2006, la documentazione sanitaria, la relazione del consulente medico d’ufficio), fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6 e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. 12 febbraio 2014, n. 3224; Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).

In ordine alla lamentata incongruità della motivazione della sentenza impugnata, è stato più volte ribadito che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva (cfr. Cass. SS.UU. n. 24148/2013, Cass. n. 8008/2014).

Il merito della causa è stato adeguatamente valutato dalla Corte territoriale con motivazione esente da rilievi di ordine logico-giuridico, avendo la Corte rilevato – alla luce della perizia effettuata dal consulente tecnico d’ufficio – che sussisteva per il dott. B. (avente una patologia cardiaca definita “importante”) il rischio di aritmia in caso di inalazione di gas alogenati durante gli interventi chirurgici ma che, in relazione al numero (contenuto) e alla durata degli interventi, doveva ritenersi altamente improbabile l’effetto nocivo. La Corte, quindi, ha ritenuto di escludere la sussistenza di una condotta illecita colposa della A.S.L. che aveva disposto l’allontanamento del medico dall’ambiente definito nocivo dal medico competente, essendosi potuto riscontrare solamente un “comportamento ispirato alla massima prudenza e diligenza”, non produttivo di alcun danno in considerazione del breve arco di tempo in cui si era realizzato (quattro mesi) e del mantenimento della posizione di referente del B. presso l’Azienda, mancando altresì la prova di altre illecite finalità che avrebbero ispirato detta cautela.

La Corte distrettuale ha, quindi, con motivazione coerente e logicamente congrua, escluso qualsiasi profilo di colpa dell’Azienda sanitaria, aspetto che non è stato specificamente nè adeguatamente censurato dal ricorrente.

Infine, con riguardo alla violazione del procedimento dettato dal D.Lgs. n. 277 del 1991 (recante protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro, successivamente abrogato dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 304) e, in particolare, alla carenza di informazioni fornite dal medico competente al B. con riguardo all’esito dei controlli sanitari e alla ritenuta nocività dell’ambiente, non sono state specificamente censurate le argomentazioni della Corte di merito che ha ritenuto non abbiano assunto – tali omissioni – “natura di condotta vessatoria prodromica alla dequalificazione, avendo gli atti di gestione dei dipendenti della P.A. natura privatistica e non pubblicistica”.

6. In conclusione, il ricorso va rigettato. Nulla sulle spese di lite a fronte dell’assenza di controparte.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso. Nulla spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2017

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