Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12358 del 23/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 23/06/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 23/06/2020), n.12358

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23422/2014 proposto da:

P.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA BUCCELLATO (STUDIO

AIELLO-PASTORE-AMERICO), rappresentata e difesa dall’avvocato LUCA

MARCHI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 192/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 15/04/2014 R.G.N. 1279/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’Appello di Firenze ha respinto l’appello proposto da P.P. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato il ricorso volto ad ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al risarcimento dei danni subiti a seguito del mancato completamento della procedura per la riqualificazione ed il passaggio alla posizione economica di Direttore di cancelleria C3;

2. la Corte territoriale, attraverso il rinvio per relationem a precedenti conformi della stessa Corte, ha escluso che ricorresse nella fattispecie un colpevole inadempimento imputabile all’amministrazione ed ha posto l’accento, da un lato, sulla natura programmatica dell’art. 15 del CCNL 1998 per il personale del comparto Ministeri, dall’altro sulla circostanza che il Ministero non era rimasto inerte bensì, previa negoziazione con le organizzazioni sindacali, aveva avviato le procedure, dichiarate poi illegittime per ragioni che non potevano essere imputate all’amministrazione, in quanto le ritenute illegittimità discendevano dai criteri concordati e non da disposizioni assunte unilateralmente;

3. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso P.P. sulla base di tre motivi, ai quali ha opposto difese il Ministero della Giustizia.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia “violazione ed erronea applicazione dell’art. 15 del CCNL 1998/2001, degli artt. 16-18 del CCNI 5/4/2000 e del relativo protocollo di intesa n. 2, degli accordi integrativi nazionali stipulati il 5/4/2000, il 25/3/2002 e il 14/10/2003; errata valutazione e violazione del protocollo di intesa del 9/11/2006; omessa motivazione su un punto decisivo della controversia” e sostiene che ha errato la Corte territoriale nel ritenere la natura meramente programmatica delle disposizioni della contrattazione nazionale che, invece, ponevano a carico dell’amministrazione l’obbligo di attivare i percorsi di riqualificazione;

1.1. aggiunge che l’impegno era stato espressamente assunto in sede di contrattazione integrativa e pertanto non poteva essere escluso l’inadempimento ministeriale;

2. la seconda censura addebita alla Corte territoriale la “erronea valutazione delle circostanze di fatto con riferimento al comportamento del Ministero; violazione delle norme contrattuali e del principio dell’onere probatorio; difetto di motivazione con riferimento all’art. 118 disp. att. c.p.c.; violazione degli artt. 1218,1223 e/o 2043 c.c.”;

2.1. la ricorrente assume che non tutte le procedure di riqualificazione sono state dichiarate illegittime bensì solo alcune, fra le quali non era ricompresa quella qui in rilievo, sono state investite da decisioni giurisdizionali riguardanti i criteri fissati nei bandi di selezione;

2.2. ribadisce che dell’inadempimento doveva rispondere il Ministero il quale non aveva assolto all’onere della prova sullo stesso gravante, perchè non aveva dimostrato di avere esattamente adempiuto l’obbligo di espletare procedure di riqualificazione legittime;

3. infine con il terzo motivo la P. denuncia “violazione di legge; omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio” e rileva che il giudice d’appello non ha considerato che al momento della sospensione ella aveva sostanzialmente completato l’intero percorso formativo perchè mancava solo la prova finale, non determinante per ottenere l’idoneità;

3.1. tenuto conto del punteggio attribuito al momento dell’ammissione e degli ulteriori criteri previsti dal bando sicuramente, o comunque con un margine di probabilità non inferiore al 90%, sarebbe risultata vincitrice qualora la procedura fosse stata ultimata e, pertanto, doveva essere riconosciuto il domandato danno da perdita di chances;

4. i motivi, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logico-giuridica, sono inammissibili nella parte in cui censurano l’accertamento di fatto compiuto dalla Corte territoriale e denunciano, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del CCNI nonchè delle intese raggiunte con le organizzazioni sindacali;

4.1. i contratti integrativi, attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e nei limiti stabiliti dal contratto nazionale, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto al comparto, con la conseguenza che la loro interpretazione è riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione, ma nei limiti fissati dall’art. 360 c.p.c., n. 5 nel testo applicabile ratione temporis (Cass. 19.3.2004 n. 5565; Cass. 22.9.2006 n. 20599; Cass. 5.12.2008 n. 28859; Cass. 19.3.2010 n. 6748; Cass. 25.6.2013 n. 15934; Cass. 14.3.2016 n. 4921);

4.2. è noto che a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, operata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, il vizio motivazionale rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, “in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. S.U. n. 8053/2014);

4.3. al di fuori di detta ipotesi, che non ricorre nella fattispecie perchè la Corte territoriale, sia pure con motivazione sintetica, ha dato conto delle ragioni della decisione, è censurabile in sede di legittimità, ex art. 360 c.p.c., n. 5, solo l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, vizio, questo, che non può essere prospettato per i giudizi di appello instaurati decorsi trenta giorni dalla pubblicazione della legge di conversione (del richiamato D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2), qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter c.p.c., u.c.);

4.4. nel caso di specie, pertanto, poichè la sentenza impugnata ha confermato la pronuncia di rigetto della domanda, gli accertamenti di fatto presupposti dalla decisione, ai quali va ricondotta anche la ricostruzione della volontà espressa nella contrattazione integrativa, non potevano essere censurati in questa sede per vizio di motivazione, in assoluto per il divieto richiamato nel punto che precede (l’appello è stato proposto con ricorso depositato il 29.12.2012) e, perchè, in ogni caso le censure esorbitano dai limiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come precisati dalla ricordata sentenza n. 8053/2014;

5. per il resto il ricorso è infondato, in quanto correttamente la Corte territoriale, evidenziato il carattere programmatico dell’art. 15 del CCNL 1998/2001 per il personale non dirigenziale del comparto Ministeri, ed accertato che il Ministero non era rimasto inerte, bensì aveva avviato le procedure, non concluse perchè ritenute dall’autorità giudiziaria illegittime quanto alla individuazione dei criteri di selezione concordati con le organizzazioni sindacali, ha escluso che potesse essere ravvisato un inadempimento contrattuale o extracontrattuale, fonte di danno risarcibile;

5.1. su analoghe domande avanzate da dipendenti del Ministero della Giustizia, che fondavano la pretesa risarcitoria sulla mancata conclusione dei passaggi disciplinati dall’art. 15 del CCNL 16.2.1999 per il personale non dirigenziale del comparto Ministeri, questa Corte ha avuto modo di pronunciarsi a Sezioni Unite con la sentenza n. 21678 del 2013 e, successivamente, con le sentenze nn. 10950 e 21902 del 2018 che, al pari dell’ordinanza n. 30872/2017, hanno rigettato ricorsi proposti avverso pronunce con le quali erano state respinte le domande di risarcimento, sul presupposto che dovesse essere escluso l’inadempimento del Ministero o che non fosse stata data prova del danno lamentato;

5.2. in nessuna di dette pronunce, peraltro, sono affrontati in modo specifico i temi qui posti dai motivi di ricorso, perchè nei giudizi definiti dalle Sezioni Unite e dall’ordinanza n. 30872/2017 era stata devoluta la sola questione inerente la prova del danno da perdita di chances, mentre negli altri casi sono stati dichiarati inammissibili, per difetto di specificità, le critiche formulate per censurare le sentenze di merito nella parte in cui avevano escluso la configurabilità di un colpevole inadempimento della Pubblica Amministrazione;

5.3. ciò premesso rileva il Collegio che il CCNL 16.2.1999, nel disciplinare i passaggi fra aree e all’interno dell’area, non poneva a carico delle Amministrazioni l’obbligo di indire le procedure perchè, al contrario, rimetteva la scelta alla valutazione discrezionale del datore di lavoro, da esercitare “in relazione alle esigenze organizzativo/funzionali…o ad obiettivi di riorganizzazione generale in correlazione alle risorse disponibili” (art. 15, lett. b), e tenendo conto dei limiti della dotazione organica, dei contingenti in essa previsti, della programmazione triennale del fabbisogno di personale per le assunzioni dall’esterno (art. 15, comma 2);

5.4. è indubbio, pertanto, il carattere meramente programmatico della disposizione, che non riconosceva un diritto soggettivo dei dipendenti alla progressione professionale nè obbligava l’amministrazione ad offrire al personale una chance di sviluppo della carriera, perchè, al contrario, la disciplina, al pari di quella relativa ad altri istituti (si rimanda a Cass. n. 28860 e 29269 del 2008 quanto alle posizioni organizzative), richiedeva di essere integrata da atti successivi, da compiersi nel rispetto delle procedure indicate dall’art. 20 del CCNL, che a sua volta rimetteva alla contrattazione collettiva integrativa la determinazione dei criteri generali per la definizione delle selezioni e, quanto alla individuazione dei contingenti, poneva a carico dell’amministrazione un obbligo di informazione preventiva e di concertazione;

5.5. non si può sostenere che la posizione giuridica soggettiva deì dipendenti sia mutata a seguito della pubblicazione degli avvisi di selezione, perchè il principio secondo cui il bando, che costituisce un’offerta al pubblico, impegna il datore di lavoro ad adempiere le obbligazioni assunte e consolida nel patrimonio dell’interessato l’acquisizione di una situazione giuridica soggettiva (cfr. fra le tante Cass. n. 14275/2014 e Cass. n. 18685/2015 e fra le più recenti Cass. n. 4436/2018), non può essere utilmente invocato nei casi in cui l’avviso sia affetto da vizi genetici che incidono alla radice sulla sua validità, posto che non è predicabile, all’evidenza, un diritto soggettivo alla conclusione di una procedura concorsuale o selettiva contra ius;

11. altrettanto correttamente la Corte territoriale, per escludere l’asserita responsabilità per inadempimento dell’amministrazione, ha attribuito rilievo alla circostanza che l’illegittimità degli atti compiuti derivava non dall’iniziativa unilaterale del Ministero bensì dal contenuto degli accordi conclusi in sede di contrattazione integrativa;

12. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato con compensazione delle spese del giudizio di legittimità, che va disposta in ragione della parziale novità della questione giuridica trattata e del contrasto esistente nella giurisprudenza di merito, del quale dà atto la sentenza gravata;

13. sussistono le condizioni processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020

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