Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12358 del 17/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 17/05/2017, (ud. 01/02/2017, dep.17/05/2017),  n. 12358

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5110-2016 proposto da:

B.V. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA

VIA ARBIA 15 ROMA, presso lo studio dell’avvocato MARIA ROSARIA

SERNICOLA, rappresentato e difeso dagli avvocati GIACOMO D’ASARO,

ANTONIO D’ASARO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CASTELLAMMARE DEL GOLFO, P.I. (OMISSIS), in persona del

Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE REGINA

MARGHERITA, 1, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO DE STEFANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIO CALAFIORE, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 08/01/2016 R.G.N. 914/15;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/02/2017 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

udito l’Avvocato GIACOMO D’ASARO;

udito l’Avvocato CLAUDIO CALAFIORE.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di Appello di Palermo ha respinto il reclamo proposto, ai sensi della L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 58 da B.V., già Funzionario Tecnico Direttivo presso il settore abusivismo e condono del Comune di Castellamare del Golfo, avverso la sentenza del Tribunale di Trapani, che aveva ritenuto legittimo il licenziamento intimato all’appellante dal Comune.

2. La Corte territoriale, rilevato che il procedimento disciplinare a carico del B., sospeso in attesa dell’esito del procedimento penale, era stato riattivato il 20.11.2013, ha ritenuto che il Comune avesse rispettato il termine perentorio di 120 giorni previsto dall’art. 25 del CCNL Comparto Regioni ed Autonomie Locali per la conclusione del procedimento disciplinare riaperto. E tanto sul rilievo che il licenziamento era stato adottato il 31.1.2014, a fronte di sentenza penale divenuta definitiva in data 8.5.2013. Ha affermato l’irrilevanza dell’avvenuto superamento del termine di centoottanta giorni, previsto dallo stesso art. 25 bis per la ripresa del procedimento disciplinare, e tanto sul rilievo della natura ordinatoria di detto termine. Ha anche ritenuto che la modesta entità del ritardo nella riapertura del procedimento disciplinare (accertato in sedici giorni rispetto al termine di centoottanta giorni) non aveva condizionato la tempestività dell’azione disciplinare nè reso la condotta del Comune inadempiente rispetto ai principi di correttezza e buona fede.

3. La Corte territoriale richiamati i principi affermati da questa Corte nelle decisioni a SSUU n. 12243 del 2009 e della sezione penale n. 2083 del 2013, ha ritenuto che il lavoratore, prosciolto dal reato di abuso di ufficio per intervenuta prescrizione del reato e condannato in sede penale a risarcire i danni cagionati al Comune datore di lavoro, non poteva contestare l’accertamento compiuto in sede penale in ordine alla sussistenza del fatto reato ascrivibile alla sua responsabilità. Ha, poi, accertato che dall’esame degli atti del procedimento penale era risultato dimostrato che il B. non si era limitato a fornire semplici consigli sull’iter della procedura relativa ad una pratica di sanatoria edilizia, ma aveva agevolato il proprietario dell’immobile che aveva realizzato le opere abusive, omettendo di segnalare dette opere, di adottare i provvedimenti per la sospensione dei lavori abusivi e per la demolizione dei manufatti abusivi e consentendo che si compissero una serie di artifizi (autorizzazione preventiva, trasformata, poi, in istanza di sanatoria) che avevano comportato l’esito favorevole della pratica di sanatoria.

4. La Corte territoriale ha ritenuto che la condotta addebitata in sede disciplinare compendiatasi nella preordinata violazione degli obblighi propri della qualifica rivestita (responsabile della corretta gestione dei procedimenti in ambito urbanistico ed edilizio) e nell’offuscamento della immagine di imparzialità e di correttezza dell’azione amministrativa era sussumibile entro la fattispecie tipizzata dall’art. 3, comma 8, lett. f) del CCBL di Comparto dell’11.4.2008 e, in quanto idonea a compromettere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, meritevole della sanzione del licenziamento.

5. Avverso detta sentenza B.V. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre articolati motivi, illustrati da successiva memoria, al quale ha resistito con controricorso il Comune di Castellammare del Golfo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Sintesi dei motivi.

6. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, comma 1 e art. 55 ter, comma 4, degli artt. 1339 e 1419 c.c., della Circolare n. 9 del 27.11.2009 del Dipartimento della Funzione Pubblica, del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 55 bis e 55 ter “sotto ulteriori profili” e dell’art. 25, comma 1 e art. 26 del CCNL Comparto Regioni ed Autonomie Locali, e delle norme in materia di interpretazione della legge e dei contratti contenute nell’art. 12 disp. gen., commi 1 e 2, degli artt. 1362 e 1363 c.c..

7. Nella premessa che la “riattivazione” del procedimento disciplinare era avvenuta in data 21.11.2013 attraverso la comunicazione della contestazione degli addebiti disciplinari, sostiene che al procedimento disciplinare avrebbero dovuto applicarsi i termini perentori previsti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 ter, comma 4. Assume, inoltre, che alla data della 21.11.2013 era scaduto anche il termine di centoottanta giorni previsto dall’art. 25 bis del CCNL Comparto Regioni ed Autonomie Locali per la ripresa del procedimento disciplinare sospeso, termine che il ricorrente assume avere natura perentoria e non ordinatoria.

8. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p. e “delle disposizioni relative all’efficacia della sentenza penale nel giudizio sulla legittimità del licenziamento disciplinare” per avere la Corte territoriale tenuto conto delle sole valutazioni contenute nella sentenza del giudice penale, trascurando le prospettazioni difensive svolte da esso ricorrente in merito alla sproporzione tra il licenziamento e i fatti accertati e non mirate a mettere i discussione le condotte oggetto del giudizio penale.

9. Invoca la sentenza delle SSUU di questa Corte n. 1768 del 2011 per negare l’efficacia di giudicato alla sentenza penale nell’ambito del giudizio relativo alla legittimità del licenziamento e sostiene che essa non precludeva al giudice del merito la valutazione dei fatti oggetto di contestazione disciplinare.

10. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai si sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione dell’art. 3, comma 1 e comma 8, lett. F) del CCNL di compatto del 2008 e del principio di gradualità e proporzionalità della sanzione e dei principi di coerenza, correttezza e buona fede ex art. 1375 c.c. e omessa considerazione di fatti e di circostanze rilevanti ai fini del decidere.

11. Lamenta che l’erronea attribuzione dell’efficacia extrapenale alla sentenza della Corte di Appello penale avrebbe condizionato l’esame del motivo di ricorso relativo alla proporzionalità ed alla gradualità della sanzione risolutiva adottata nei confronti di esso ricorrente, e deduce di essersi limitato a constatare l’avvenuta chiusura del muro, la presenza del quale aveva impedito ad esso ricorrente di adottare gli atti repressivi la cui omissione gli era stata contestata, che detti atti avrebbero dovuto essere adottati dalla Polizia Giudiziaria, che l’omissione avrebbe solo ritardato la realizzazione di “abusi edilizi di entità molto modesta” già portati a compimento e per i quali era stata presentata istanza di sanatoria L. n. 47 del 1985, ex art. 13 e D.P.R. n. 380 del 2011, art. 36 di competenza di altri uffici, che l’intero iter della pratica edilizia aveva avuto regolare svolgimento.

12. Lamenta l’erronea applicazione dei criteri di cui alle lett. d) ed e) dell’art. 3 del CCNL di comparto del 2008 atteso che l’aggravante dell’agevolazione a “Cosa Nostra” era stata esclusa in sede penale, che il danno o pericolo di danno cagionato da esso ricorrente al Comune era stato minimo (la condanna al risarcimento del danno pari ad Euro 50.000,00 doveva ritenersi ripartita tra tutti gli otto soggetti coinvolti nel giudizio penale), che lo stesso Comune nella nota n. 210 del 9.8.2011 aveva ritenuto non sussistenti gli elementi previsti dall’art. 5, comma 10 del CCNL del 2008 per la non riammissione in servizio di esso ricorrente.

13. Deduce l’illegittimità del licenziamento per violazione del diritto di difesa sostenendo che la mancata presenza all’audizione era giustificata dalla malattia attestata dalla certificazione medica. Afferma che il Comune non aveva adottato alcun atto in autotuela in relazione all’immobile in cui erano stati realizzati gli abusi edilizi da cui aveva avuto origine la vicenda penale e disciplinare e di essersi fatto carico, unitamente al Dirigente, del pagamento della quota di risarcimento gravante sugli altri imputati.

Esame dei motivi.

14. Il primo motivo non è fondato e deve essere rigettato, dovendosi, tuttavia, correggere la motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, nei sensi di seguito esposti, perchè il dispositivo è conforme a diritto (cfr. punti 52 e 53 di questa sentenza).

15. Reputa il Collegio che la individuazione della disciplina applicabile in tema di rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare e la soluzione della specifica questione, posta con il motivo in esame, della applicabilità o meno dei termini previsti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 ter, comma 4 nei casi, quale quello in esame, in cui la ripresa del procedimento disciplinare iniziato e sospeso prima della entrata in vigore di tale disposizione (16.11.2009) sia effettuata successivamente alla sua entrata in vigore, trova necessaria premessa nella ricostruzione del quadro di riferimento legale e contrattuale.

16. La L. 27 marzo 2001, n. 97 entrata in vigore il 6.4.2001 (art. 11 della legge) recante “Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche”, riformulando la disciplina contenuta nella L. 7 febbraio 1990, n. 19, art. 9, comma 2 (“Modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti”), ha dettato norme specifiche sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare e sugli effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche.

17. Con detta legge il legislatore ha chiaramente espresso la volontà di non riservare del tutto alla fonte contrattuale collettiva la nuova regolamentazione dei rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare e dei provvedimenti cautelari adottabili (art. 8) ed ha confinato (art. 5, comma 4, u.p.) la autonomia negoziale collettiva entro il ristretto ambito della individuazione del termine entro il quale deve concludersi il procedimento disciplinare ripreso dopo la sua sospensione.

18. In particolare, per quanto oggi rileva, la citata L. n. 97 del 2001, art. 5, comma 4 ha previsto che “Salvo quanto disposto dall’art. 32-quinquies c.p., nel caso sia pronunciata sentenza penale irrevocabile di condanna nei confronti dei dipendenti indicati nell’art. 3, comma 1 ancorchè a pena condizionalmente sospesa, l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego può essere pronunciata a seguito di procedimento disciplinare. Il procedimento disciplinare deve avere inizio o, in caso di intervenuta sospensione, proseguire entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione o all’ente competente per il procedimento disciplinare. Il procedimento disciplinare deve concludersi, salvi termini diversi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro, entro centottanta giorni decorrenti dal termine di inizio o di proseguimento, fermo quanto disposto dall’art. 653 del codice di procedura penale”.

19. Va osservato che il rinvio dall’art. 5, comma 4, all’art. 3, comma 1 deve ritenersi effettuato solo al fine di delimitare l’ambito soggettivo di applicazione della norma (dipendente di amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica), la tipologia di reati contenuti nel richiamato art. 3, comma 1 concorrendo a definire la fattispecie del trasferimento di ufficio ivi disciplinata (Cass. 19930/2016, 22210/2012).

20. Tanto precisato, in continuità con i principi affermati ripetutamente da questa Corte (Cass. 11827/2014, 4917/2014, 24577/2013, 22210/2012, 5806/2010, 9767/2011) deve affermarsi che lo spazio riservato dalla norma alla negoziazione collettiva, ristretto, come evidenziato al punto 17 di questa sentenza, alla possibilità di prevedere termini diversi da quello legale (centoottanta giorni) per la conclusione del procedimento disciplinare una volta che questo sia stato ripreso, si è espanso per effetto dell’entrata in vigore del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 del 2001, entrato in vigore il 24.5.2001, successivamente alla L. n. 97 del 2001.

21. Il D.Lgs. n. 165 del 2001, fatta eccezione per i pubblici dipendenti indicati nell’art. 3, commi 1, 1 bis, 1 ter e 2, ha, infatti, riservato alla contrattazione collettiva “le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali” (art. 2, comma 3 e art. 40, comma 1) e, pur non incidendo sulla materia relativa ai rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare, ha riordinato la materia disciplinare con l’art. 55.

22. Tale disposizione, affermata la applicabilità anche all’impiego pubblico contrattualizzato della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, commi 1, 5, ed 8 e del principio della previa tempestiva contestazione degli addebiti, ha demandato alla contrattazione collettiva la individuazione degli illeciti disciplinari, delle relative sanzioni, facendo salve le disposizioni contenute nell’art. 21 e art. 53, comma 1 e la definizione dei doveri del dipendente ad opera dei codici di comportamento di cui all’art. 54.

23. Con norma di chiusura il legislatore con l’art. 72, comma 1, lett. f) ha previsto l’abrogazione, a far data dalla stipulazione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-1997, tra le altre, delle disposizioni contenute nella L. 29 marzo 1983, n. 93, art. 2, n. 7 e art. 22 le quali riservavano alla sola fonte legale la disciplina della responsabilità dei dipendenti, comprese quelle disciplinari, precisando al comma 3 che “A far data dalla stipulazione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-1997, per ciascun ambito di riferimento, sono abrogate tutte le disposizioni in materia di sanzioni disciplinari per i pubblici impiegati incompatibili con le disposizioni del presente decreto” e disponendo al comma 5 che “A far data dalla entrata in vigore dei contratti collettivi del quadriennio 1998-2001, per ciascun ambito di riferimento, cessano di produrre effetti i commi 7, 8 e 9 (relativi alla costituzione dei collegi arbitrali di disciplina dell’amministrazione).

24. Lo spazio ampio di intervento della contrattazione collettiva nella materia disciplinare relativa al personale pubblico “privatizzato” è stato però nuovamente inciso in maniera significativa, in termini di consistente restrizione, dal D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 (entrato in vigore il 15.11.2009) recante “Attuazione della L. 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”.

25. Il D.Lgs. n. 150 del 2009, infatti, ha ridisciplinato il procedimento disciplinare dei pubblici dipendenti “privatizzati” ridimensionando lo spazio di intervento in precedenza riconosciuto alla autonomia negoziale collettiva. Le vari fasi ed i tempi del procedimento disciplinare risultano ormai scanditi unicamente dalla legge, che ha attribuito alle disposizioni contenute negli artt. da 55 a 55 octies, inseriti nel D.Lgs. n. 165 del 2001 dal D.Lgs. n. 150 del 2009) natura imperativa, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1339 e 1419 (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, comma 1 sostituito dal D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 68).

26. Inoltre, pur riservando all’autonomia collettiva la possibilità di individuare la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni (art. 55, comma 2 nuovo testo), il D.Lgs. n. 150 del 2009, con l’introduzione dell’art. 55 quater, ha previsto che “fatte salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento” nelle fattispecie disciplinarmente tipizzate dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, commi 1 e 2 inserito dal D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 69, comma 1.

27. Il D.Lgs. n. 150 del 2009 ha, inoltre, disciplinato, attraverso l’inserimento nel D.Lgs. n. 165 del 2001, dell’art. 55 ter, il rapporto tra procedimento penale e quello disciplinare, imponendo la regola generale della loro autonomia nel senso che il secondo non può essere sospeso nei casi in cui abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti per i quali procede l’autorità giudiziaria, ma deve proseguire e concludersi anche in pendenza del processo penale.

28. La regola, che vige sempre nei casi di infrazioni di minore gravità (quelle punite con sanzioni inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per più di dieci giorni), può essere derogata, solo in relazione alle infrazioni punite con sanzioni più gravi nei casi di “particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all’esito dell’istruttoria” la Pubblica Amministrazione datrice di lavoro “non dispone di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione” (art. 55 ter, comma 1).

29. Con le disposizioni contenute nei commi 2 e 3 il legislatore ha mirato ad ovviare ai casi nei quali il procedimento disciplinare, non sospeso, sia pervenuto ad esiti diversi da quelli del procedimento penale, prevedendo la “riapertura” del procedimento disciplinare “per modificarne o confermarne l’atto conclusivo (sentenza irrevocabile che riconosce che il fatto addebitato non sussiste o che il dipendente non lo ha commesso, art. 55 ter, comma 2) ovvero nei casi in cui dalla sentenza irrevocabile di condanna “risulta che il fatto addebitato al dipendente in sede disciplinare comporta la sanzione del licenziamento, mentre ne è stata applicata una diversa” (art. 55 ter, comma 3).

30. Nel comma 4 è stato fissato il termine di novanta giorni, decorrente dalla data di comunicazione della sentenza all’Amministrazione, per la ripresa ovvero per riapertura del procedimento disciplinare e il termine di centoottanta giorni, decorrente dalla ripresa o dalla riapertura, per la sua conclusione, con la precisazione che “la ripresa o la riapertura avvengono mediante il rinnovo della contestazione dell’addebito da parte dell’autorità competente ed il procedimento prosegue secondo quanto previsto dall’art. 55 bis”.

31. La norma dispone che “ai fini delle determinazioni conclusive, l’autorità procedente nel procedimento disciplinare ripreso o riaperto, applica le disposizioni contenute nell’art. 653 c.p.p., commi 1 ed 1 bis.

32. Infine, con l’art. 72, comma 2 è stato modificato la L. n. 97 del 2001, art. 5, comma 4 escludendo che la contrattazione collettiva possa introdurre termini diversi da quello ivi previsto per la conclusione del procedimento disciplinare ripreso dopo la sua sospensione.

33. Successivamente è intervenuto il D.Lgs. 20 giugno 2016, n. 116, che, in relazione alla ipotesi di falsa attestazione della presenza in servizio ha previsto termini più brevi per la contestazione disciplinare ed ha stabilito che “la violazione dei suddetti termini, fatta salva la eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall’azione disciplinare nè l’invalidità della sanzione, purchè non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente e non sia superato il termine per la conclusione del procedimento di cui all’art. 55 bis, comma 4” (art. 1, comma 1, lett. b).

34. Nel quadro normativo sopra descritto, la contrattazione collettiva del Comparto Regioni ed Autonomie del 22.1.2004 si è inserita a pieno titolo (cfr. punti da 20 a 23 di questa sentenza) per disciplinare la materia dei rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare, nel solco tracciato dalla L. n. 97 del 2001.

35. L’art. 25 bis di detto contratto, introdotto nel CCNL del 6.7.1995 ha disposto che: “1. Nel caso di commissione in servizio di gravi fatti illeciti di rilevanza penale l’ente inizia il procedimento disciplinare ed inoltra la denuncia penale. Il procedimento disciplinare rimane tuttavia sospeso fino alla sentenza definitiva. Analoga sospensione è disposta anche nel caso in cui l’obbligo della denuncia penale emerga nel corso del procedimento disciplinare già avviato. 2. Al di fuori dei casi previsti nel comma 1, quando l’ente venga a conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale a carico del dipendente per i medesimi fatti oggetto di procedimento disciplinare, questo è sospeso fino alla sentenza definitiva. 3. Qualora l’ente sia venuta a conoscenza dei fatti che possono dal luogo a sanzione disciplinare solo a seguito della sentenza definitiva di condanna, il procedimento è avviato nei termini previsti dall’art. 24, comma 2. 4. Fatto salvo il disposto della L. n. 97 del 2001, art. 5, comma 2, il procedimento disciplinare sospeso ai sensi del presente art. è riattivato entro 180 giorni da quando l’ente ha avuto notizia della sentenza definitiva e si conclude entro 120 giorni dalla sua riattivazione. 5. Per i soli casi previsti alla L. n. 97 del 2001, art. 5, comma 4, il procedimento disciplinare precedentemente sospeso è riattivato entro 90 giorni da quando l’ente ha avuto comunicazione della sentenza definitiva e deve concludersi entro i successivi 120 giorni dalla sua riattivazione. 6. L’applicazione della sanzione prevista dall’art. 25 (codice disciplinare), come conseguenza delle condanne penali citate nel comma 7, lett. h) e comma 8, lett. c) ed e), non ha carattere automatico essendo correlata all’esperimento del procedimento disciplinare, salvo quanto previsto dalla L. n. 97 del 2001, art. 5, comma 2 e dall’art. 28 c.p. relativamente alla applicazione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici”.

36. La vicenda dedotta in giudizio, che si è articolata in fasi collocate in diversi ambiti temporali, di cui è necessario dare conto, si inserisce nel descritto contesto di fonti legali e contrattuali si inserisce.

37. E’ incontestato che in data 19.5.2006 il Comune di Castellamare del Golfo aveva aperto il procedimento disciplinare a carico del B., perchè aveva appreso dagli organi di stampa che questi era stato rinviato a giudizio innanzi al Tribunale di Palermo.

38. Successivamente (il 30.5.2006) il Comune aveva sospeso il procedimento disciplinare in attesa della definizione del procedimento penale e quindi dipendente (il 9.08.2006).

39. Risulta, poi, accertato dalla sentenza, e sul punto procedimento disciplinare era stato ripreso il 20.11.2013 31.1.2014 con la comunicazione del licenziamento.

40. Tanto precisato, diversamente da quanto opina il ricorrente, deve escludersi che l’Amministrazione, una volta venuta a conoscenza (in data 23.5.2013, cfr. ricorso pg 2 p.2) della sentenza irrevocabile con la quale la Corte di Appello di Palermo aveva dichiarato l’estinzione per prescrizione del reato ascritto al B. e confermato, ex art. 578 c.p.c., la condanna del medesimo al risarcimento dei danni all’immagine in favore del Comune, fosse obbligata a riaprire il procedimento disciplinare nel termine di sessanta giorni previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2009, art. 55 ter, comma 4.

41. Il procedimento disciplinare, seppur ripreso con la contestazione disciplinare del 20.11.2013 e conclusosi il 31.1.2014 con l’irrogazione del licenziamento, era, infatti, iniziato il 19.5.2006, ben prima, quindi dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2009 (15.11.2009).

42. Va al riguardo osservato che ove il legislatore avesse inteso estendere l’art. 55 ter ai procedimenti disciplinari sospesi anteriormente all’entrata in vigore della riforma (16 novembre 2009), lo avrebbe detto espressamente, dettando specifica disciplina transitoria relativamente ai procedimenti disciplinari pendenti, che la nuova disposizione non prende in considerazione, nè espressamente nè implicitamente.

43. D’altra parte, l’assenza di una disciplina transitoria è coerente con la regola secondo cui il procedimento disciplinare, delineato dall’art. 55 bis introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2009, inizia, nel senso che ha il suo presupposto di avvio, con l’acquisizione della notizia dell’infrazione da parte del responsabile della struttura ovvero dell’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari (art. art. 55 bis, commi 2 e 3), tant’è che dal momento di tale acquisizione decorrono i termini (perentori) per la contestazione dell’addebito.

44. La nuova disciplina procedurale si applica, infatti, a tutti i fatti disciplinarmente rilevanti per i quali gli organi dell’amministrazione, ai quali è demandata la competenza a promuovere l’azione disciplinare acquisiscono la notizia dell’infrazione dopo il 16.11.2009, data di entrata in vigore della riforma (Cass. 11985/2016).

45. Va anche osservato che l’art. 55 ter descrive un iter procedimentale in sè compiuto, che attraverso il rinvio operato dal comma 4 al comma 1 (sospensione del procedimento disciplinare relativo ad infrazioni di maggiore gravità in casi nei quali l’esito dell’istruttoria non offra elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione) ed ai commi 2 e 3 (riapertura del procedimento disciplinare per modificare o confermare l’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale), disegna un sistema in sè chiuso che non consente l’esportazione di frammenti e parti della disposizione a fattispecie procedimentali nate e sospese in ambiti regolatori diversi.

46. D’altra parte, il “rinnovo della contestazione”, attraverso la quale si riprende o si riapre il procedimento disciplinare previsto dall’art. 55 ter, non può riguardare qualunque procedimento disciplinare sospeso ma solo quello regolato ex novo per effetto delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 150 del 2009, rispetto al quale soltanto può operare l’obbligo di comunicazione da parte della cancelleria del giudice penale che ha pronunciato sentenza penale previsto dall’art. 154 ter disp. att. c.p.p., introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 70.

47. In conclusione, il procedimento disciplinare a carico del ricorrente aperto e sospeso nel 2006 non può ritenersi disciplinato dalle “nuove” regole introdotte dall’art. 55 ter, ma resta assoggettato alla normativa vigente al tempo in cui esso era stato aperto (Maggio 2006), in virtù del principio per il quale, in difetto di disciplina transitoria, i procedimenti sono regolati dalla normativa del tempo in cui gli atti sono posti in essere (Cass. 209/2017, 11627/2016, 11985/2016, 21032/2006).

48. Disciplina che nella fattispecie in esame va individuata nell’art. 25 bis del CCNL Comparto Regioni ed Autonomie Locali del 22.1.2004 (cfr. punti 33 e 34 di questa sentenza).

49. Come evidenziato nel punto 34 di questa sentenza l’art. 25 bis del citato CCNL al comma 4 dispone che nelle ipotesi, quale quella dedotta in giudizio, in cui il procedimento disciplinare sia stato sospeso “ai sensi del presente art.” esso deve essere riattivato “entro 180 giorni da quando l’ente ha avuto notizia della sentenza definitiva e si conclude entro 120 giorni dalla sua riattivazione”.

50. Come correttamente affermato dalla Corte territoriale, il termine di 180 giorni non è perentorio atteso che nell’assetto contrattuale non è rintracciabile alcuna norma che gli attribuisca effetti decadenziali.

51. Al riguardo va osservato che successivamente alla pronuncia n. 5527/2004, rimasta isolata, si è ormai consolidato l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte, al quale va data continuità, secondo cui in tema di sanzioni disciplinari nei rapporti di lavoro pubblico privatizzato, gli effetti decadenziali non possono verificarsi in mancanza di un espressa previsione normativa o contrattuale che prevedeva tali effetti perchè la natura contrattuale dei termini porta a valutare la loro osservanza come corretto adempimento degli obblighi contrattuali, la cui mancanza è rilevante per gli effetti e nei limiti previsti dall’accordo delle parti e dai principi generali in materia di adempimento (Cass. 9767/2011, 5806/2010, 5637/2009, 20654/2007).

52. Come accennato al punto 14 di questa sentenza, la sentenza impugnata va corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2 nella parte in cui ha fatto decorrere il termine di 180 giorni previsto per la ripresa del procedimento disciplinare dalla data in cui la sentenza penale è divenuta irrevocabile e ciò perchè il decorso del termine in esame è ancorato dal comma 4, art. 25 bis del citato CCNL alla data in cui “l’ente ha avuto comunicazione della sentenza definitiva”.

53. L’errore è privo di rilievo e non inficia la conformità a diritto del dispositivo atteso che la Corte territoriale ha ritenuto che il ritardo consumatosi, calcolato in 14 giorni, fosse irrilevante e non inficiasse la correttezza e buona fede nell’esercizio dell’azione (e sul punto non sono state formulate censure), nel mentre in realtà il ritardo si verificò per un solo giorno rispetto alla previsione contrattuale, stante il dies a quo (23.5.2013) ed il dies ad quem (20.11.2013) della vicenda di riattivazione in discorso.

54. Sulla scorta delle considerazioni svolte il primo motivo di ricorso deve essere rigettato, dovendosi, tuttavia, correggere la motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, nei sensi appena precisati, con affermazione dei seguenti principi di diritto:

55. L’art. 55 ter inserito dal D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, art. 69, comma 1 nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 non trova applicazione nei procedimenti disciplinari aperti e sospesi prima della sua entrata in vigore anche ove il procedimento disciplinare venga ripreso o riaperto successivamente alla sua entrata in vigore.

56. Nel regime precedente l’entrata in vigore del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 e successivo all’entrata in vigore della L. 27 marzo 2001, n. 97 la regolamentazione di fonte legale dei termini relativi alla ripresa del procedimento disciplinare sospeso in pendenza di procedimento penale è rimessa alla contrattazione collettiva ai sensi del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 2, comma 3, art. 40, comma 1, art. 55, art. 72, comma 1, lett. f) e commi 3 e 5.

57. Il termine previsto dall’art. 25 bis, comma 4 del CCNL Comparto Regioni ed Autonomie Locali per la ripresa del procedimento disciplinare precedentemente sospeso non è perentorio ma ordinatorio e la sua osservanza deve essere valutata come corretto adempimento degli obblighi contrattuali, la cui mancanza è rilevante per gli effetti e nei limiti previsti dall’accordo delle parti e dai principi generali in materia di adempimento.

58. Il termine previsto dall’art. 25 bis, comma 4 del CCNL Comparto Regioni ed Autonomie Locali per la riattivazione del procedimento disciplinare precedentemente sospeso decorre da quando l’Amministrazione ha avuto notizia della sentenza definitiva.

59. Il secondo ed il terzo motivo da trattarsi congiuntamente, vanno rigettati.

60. In ordine al secondo motivo, va rilevato che il ricorrente nel denunciare la violazione dell’art. 654 c.p.p. mostra di non essersi confrontato con la sentenza impugnata, nella quale la Corte territoriale, nel richiamare i principi enunciati da questa Corte nelle sentenze delle SSUU n. 12243 del 2009, principi ribaditi nella successiva sentenza a SSUU n.1768/2011, invocata dal ricorrente, ha svolto un autonomo apprezzamento delle prove raccolte in sede penale, non si è limitata a recepirne l’esito complessivo, ma ha indicato in maniera puntuale e specifica le fonti di prova utilizzate, richiamando in particolare la documentazione relativa ai verbali di sopralluogo e i verbali delle conversazioni intercettate e vagliandoli in maniera critica e puntuale per ricostruire la condotta tenuta dal ricorrente oggetto della contestazione disciplinare sia sul plano oggettivo che su quello soggettivo, al fine della sua sussumibilità entro le fattispecie tipizzate dal CCNL punite con la sanzione risolutiva e della formulazione del giudizio valoriale di gravità.

61. Quanto al terzo motivo va osservato che questa Corte ha ripetutamente affermato che anche con riferimento alle ipotesi, quali quelle in esame, di illeciti disciplinari tipizzati dal legislatore, deve escludersi la configurabilità in astratto di qualsivoglia automatismo nell’irrogazione di sanzioni disciplinari, specie laddove queste consistano nella massima sanzione, permanendo il sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità della sanzione rispetto al fatto addebitato (ex plurimis Cass. 209(2017, 10842/2016, 1315/2016, 24796/2010, 26329/2008; Corte Costit. 971/1988, 239/1996, 286/1999).

62. Va, poi, ribadito il principio secondo cui l’operazione valutativa, compiuta dal giudice di merito nell’applicare clausole generali come quella dell’art. 2119 c.c., non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità (Cass. 1351/2016, 12069/2015, 6501/13, 18247/2009), mentre l’accertamento della concreta ricorrenza e ricostruzione dei fatti che specificano il parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di merito, incensurabile innanzi a questa Corte Suprema se privo di errori logici o giuridici. L’operazione valutativa compiuta dal giudice di merito nell’applicare norme elastiche come quelle citate non sfugge, infatti, alla verifica in sede di legittimità, poichè l’operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi (anche costituzionali) desumibili dall’ordinamento (ex multis Cass. 2692/2015, 25608/2014, 6498/2012, 8017/2006, 10058/2005, 5026/2004).

63. Nella fattispecie in esame la Corte territoriale ha del tutto correttamente ritenuto sussumibile la condotta addebitata in sede disciplinare alla fattispecie di cui all’art. 25, comma 7, lett. f) del CCNL 6.7.1995, applicabile “ratione temporis” alle condotte realizzate nell’anno 2003 (riprodotto nell’art. 3, comma 8, lett. F del CCNL 11.4.2008), che punisce con la sanzione del licenziamento del preavviso le “violazioni intenzionali degli obblighi non ricompresi specificatamente nelle lettere precedenti, anche nei confronti di terzi, di gravità tale, in relazione ai criteri di cui al comma 1, da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro”.

64. La Corte territoriale ha formulato il giudizio di estrema gravità della condotta realizzata dal ricorrente e di proporzionalità della sanzione risolutiva sulla scorta dei criteri indicati nel comma 1 del richiamato art. 25 del CCNL, evidenziando che la condotta realizzata dal ricorrente era stata ispirata alla dolosa pretermissione di rilevanti obblighi di servizio, posti a tutela dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa ed ha tenuto conto della specifica qualifica professionale rivestita dal lavoratore (responsabile della corretta gestione dei procedimenti proprio in ambito urbanistico ed edilizio), dei riflessi che la condotta illecita aveva prodotto sulla credibilità e sulla incisività dell’azione amministrativa rispetto alla collettività, del concorso, nell’illecito, con soggetti addetti a posizioni di vertice nell’ufficio tecnico competente a trattare interessi pubblici di particolare rilevanza.

65. E sulla scorta di siffatti elementi ha ritenuto irrimediabilmente compromesso il vincolo fiduciario e proporzionata la sanzione del licenziamento, in conformità ai principi ripetutamente affermati da questa Corte secondo cui la valutazione del comportamento disciplinarmente rilevante deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo (Cass. 22486/2016, 1977/2016, 1351/2016, 12059/2015 25608/2014 del 2014)

66. Il motivo è poi inammissibile nella parte in cui è dedotta violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 perchè la censura formulata non corrisponde in alcun modo al modello risultante dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (la sentenza è stata pubblicata il 8.1.2016) nell’intepretazione datane dalle SSUU di questa Corte nella sentenza n. 8053 del 2014. Essa si risolve, infatti, in una generica critica al risultato interpretativo cui è pervenuto il giudice di appello, al quale oppone una diversa soluzione, ritenuta preferibile.

67. Ulteriori profili di inammissibilità delle censure formulate quanto alla dedotta violazione del diritto di difesa nel procedimento disciplinare ed alla mancata considerazione della sua avvenuta riammissione in servizio, conseguono al fatto che il ricorrente si è limitato ad allegare genericamente di avere sottoposto alla Corte di Appello dette questioni, non trattate nella sentenza, e comportanti anche accertamenti in fatto, omettendo di specificare gli atti processuali in cui le questioni sarebbero state sottoposte al giudice del merito e la loro specifica sede di produzione processuale (Cass. 6542/2004, Cass. 23675/2013). Il ricorrente, inoltre, non ha riprodotto nel ricorso il contenuto degli atti sui quali le censure sono state fondate, certificazione medica, atti di convocazione in sede disciplinare, provvedimenti di riammissione in servizio (Cass. SSUU 8077/2012 e 22726/2011; Cass. 13713/2015, 19157/2012, 6937/2010).

68. Sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso va rigettato.

69. La novità delle questioni correlate all’evoluzione del quadro normativo di riferimento giustificano la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

70. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte

Rigetta il ricorso.

Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2017

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