Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12356 del 17/05/2017

Cassazione civile, sez. lav., 17/05/2017, (ud. 01/02/2017, dep.17/05/2017),  n. 12356

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29769-2014 proposto da:

C.C. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA FARNESE 44, presso lo studio dell’avvocato GIANLIVIO FASCIANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato RENATO ANTONELLI, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

CAFFE’ TICO S.R.L. P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA E

MURINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato BRUNO PIACCI, che

la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4051/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 17/06/2014 R.G.N. 7252/12;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/02/2017 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato RENATO ANTONELLI;

udito l’Avvocato FRANCESCA D’ALESSIO per delega Avvocato BRUNO

PIACCI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 17 giugno 2014, la Corte d’Appello di Napoli, in

riforma della decisione resa da Tribunale di Napoli rigettava la domanda proposta da C.C. nei confronti della Caffè Tico S.r.l., avente ad oggetto il riconoscimento del superiore inquadramento nel livello 3^ della classificazione del personale di cui al CCNL di categoria nonchè la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli per aver fornito all’ufficio contabilità dati non veridici circa l’inventario delle merci e materie prime in magazzino ed aver comunicato tardivamente anomalie di funzionamento degli strumenti di verifica dei pesi e delle quantità.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto irrilevante la mancata affissione del codice disciplinare per attenere alla violazione dell’obbligo di diligenza al nucleo essenziale delle mansioni del lavoratore quale responsabile del magazzino, non decisiva la mancanza relativa alle discrasie presenti nell’inventario non valendo ad attestare l’appropriazione del prodotto da parte del lavoratore nè l’aver acconsentito all’uscita di merci dal magazzino senza ordine scritto dell’amministratore, viceversa, sussistente l’addebito relativo alla mancata segnalazione delle anomalie degli strumenti di misurazione e di gravità tale, considerate le mansioni ed il livello di responsabilità connessi al ruolo del lavoratore, da determinare il venir meno del vincolo fiduciario tra le parti.

Per la cassazione di tale decisione ricorre il C., affidando l’impugnazione a cinque motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste, con controricorso, la Società.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e L. n. 604 del 1966, artt. 1, 3 e 5, degli artt. 2697 e 2722 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2104, 2105 e 2106 c.c. e della L. n. 300 del 1970, art. 7 in una con il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, lamenta il malgoverno delle regole sull’onere della prova, per aver la Corte territoriale ritenuto assolto da parte del datore l’onere probatorio, sul medesimo gravante, in relazione al primo degli addebiti oggetto della contestazione, l’insufficienza della motivazione in ordine al convincimento espresso, l’omesso esame di un fatto decisivo dato dall’inesistenza o dal mancato riscontro nell’inventario redatto dal ricorrente delle contestate discrasie.

Nel secondo motivo i medesimi vizi di violazione di legge e di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio sono dedotti con riferimento al secondo addebito e prospettati come idonei ad inficiare il giudizio di proporzionalità ad esso della sanzione espulsiva irrogata.

Ancora i medesimi vizi sono predicati nel terzo motivo con riguardo alla ritenuta recidiva nel medesimo comportamento negligente già constatato e contestato in altro provvedimento disciplinare.

Con il quarto motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 e degli artt. 26, 27 e 28 del CCNL per il settore Industria Alimentari in una con il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, lamenta l’incongruità logica e giuridica, anche conseguente ad errori di interpretazione della disciplina collettiva ed a carente analisi del materiale istruttorio, dell’iter valutativo seguito dalla Corte territoriale nell’escludere la riferibilità delle mansioni di fatto svolte dal ricorrente al superiore inquadramento rivendicato.

Il quinto motivo è inteso a censurare il vizio di ultrapetizione in cui, in contrasto con l’art. 112 c.p.c. la Corte territoriale sarebbe incorsa con il disporre la riforma dell’impugnata sentenza, avendo finito per travolgere, in difetto di specifica impugnazione ed in spregio alla formazione del giudicato la statuizione del primo giudice intesa a riconoscere al ricorrente il TFR non corrisposto all’atto della cessazione del rapporto, secondo quanto previsto altresì dall’art. 2120 c.c. e dall’art. 73del CCNL di categoria.

I primi tre motivi, che, per quanto partitamente riferiti a ciascuno dei profili in cui può essere scomposta la condotta inadempiente addebitata al ricorrente, vanno riguardati come unitariamente volti a censurare l’iter valutativo seguito dalla Corte territoriale nel formulare il proprio giudizio in ordine alla ricorrenza nella specie dell’invocata giusta causa di recesso e, pertanto, congiuntamente esaminati, devono ritenersi infondati, anche in considerazione del diverso percorso logico secondo il quale si sviluppa la proposta impugnazione rispetto alla sentenza impugnata.

Va premesso come al licenziamento oggetto del presente giudizio faccia da sfondo una vicenda in cui assume rilievo il riscontro da parte della Società di un significativo ammanco di merce dal magazzino di cui il ricorrente era il responsabile e come su questa vicenda si modulino tanto la pronunzia della Corte territoriale che, con evidente riferimento ad essa si è espressa, diversamente dal primo giudice, nel senso della legittimità del licenziamento, quanto la successiva impugnazione del ricorrente, ma in termini palesemente dissonanti, essendo questa essenzialmente mirata all’obiettivo di allontanare dal ricorrente la responsabilità di quell’illecito e, perciò, incentrata sul profilo del mancato raggiungimento della prova della ricorrenza delle contestate discrasie tra l’inventario redatto dal ricorrente ed i riscontri effettuati in magazzino, quando, invece, la pronunzia della Corte territoriale, espressamente dichiarando l’irrilevanza ai fini del decidere di quelle “contestate discrasie” appunto nella prospettiva della loro inidoneità ad attestare la diretta appropriazione della merce da parte del ricorrente o la sua connivenza con chi lo aveva commesso, mira a valorizzare l’omessa segnalazione del malfunzionamento degli strumenti di misurazione, quale comportamento atto a favorire la perpetrazione dell’illecito da parte di terzi.

E’ appunto questa peculiare valenza attribuita a detto comportamento omissivo a non essere colto in sede di impugnazione, non risultando contestato nè l’accertamento del fatto materiale e della sua riferibilità al ricorrente, in relazione al quale il ricorrente rileva soltanto che “non mentiva sui malfunzionamenti”, che questi erano noti in azienda e che lo stesso addetto alle macchine non aveva provveduto alla segnalazione, non venendo raggiunto da alcuna contestazione disciplinare (per poi più avanti e contraddittoriamente negare che questi malfunzionamenti si fossero registrati), nè la valutazione circa la sua gravità operata sotto la peculiare angolatura di cui si è detto ed avvalorata dal connesso precedente disciplinare richiamato nella lettera di contestazione confermativo della centralità del ruolo del ricorrente nella gestione del magazzino, atteso che a riguardo il ricorrente, se ha sollevato una qualche censura che sia andata oltre la generica affermazione della sproporzione della sanzione irrogata rispetto allo specifico comportamento addebitato, lo ha fatto sempre nell’ottica della confutazione della propria diretta responsabilità nella sottrazione della merce, affermando che la tardiva comunicazione delle anomalie degli strumenti di pesatura non aveva inficiato la corretta redazione dell’inventario, senza, peraltro, neppure precisare quale relazione intercorresse tra l’una e l’altra delle inadempienze addebitategli; il che rende la sentenza della Corte territoriale insuscettibile di annullamento. Di contro inammissibile si appalesa il quarto motivo risolvendosi le argomentazioni svolte dal ricorrente nel contrapporre l’esito del giudizio di prime cure a quello cui approda la Corte territoriale, senza neppure provarsi a confutarne i rilievi in base ai quali aveva ritenuto di riformare quella pronunzia, del resto non più consentita ai sensi della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Parimenti inammissibile risulta il quinto motivo non essendo riportato in ricorso il passo della sentenza di primo grado inteso a riconoscere il diritto alla corresponsione del TFR nè allegato al medesimo l’atto con cui, in sede di gravame, si è chiesta la conferma della predetta pronunzia.

Il ricorso va dunque rigettato.

PQM

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 1 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2017

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