Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12352 del 10/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 10/05/2021, (ud. 12/01/2021, dep. 10/05/2021), n.12352

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1151-2020 proposto da:

T.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO II N. 4,

presso lo studio dell’avvocato MARIO ANGELELLI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GAETANO MARIO PASQUALINO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI AGRIGENTO, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. cronologico 8536/2019 del TRIBUNALE di PALERMO,

depositato il 28/11/2019 R.G.N. 19261/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/01/2021 dal Consigliere Dott. AMENDOLA FABRIZIO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. il Tribunale di Palermo, con decreto pubblicato il 28 novembrè 2019, ha respinto l’opposizione proposta da T.A., nato a (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissionè territoriale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria;

2. il Tribunale, rammentato che nel corso dell’audizione personale il richiedente, protezione aveva confermato quanto dichiarato innanzi alla Commissione circa il, fatto che era andato via dal Paese di origine “per motivi familiari e, precisamente, perchè il diavolo aveva ucciso suo padre”, ha considerato la vicenda “di natura esclusivamente familiare” e l’espatrio “legato allo stato di povertà vissuto dallo stesso ricorrente e dalla sua famiglia”; ha ritenuto, pertanto insussistenti le condizioni per riconoscere sia lo status di rifugiato sia la protezione sussidiaria; quanto poi al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, il Tribunale collegiale ha rilevato che il ricorrente “non ha fornito prova circa il proprio positivo inserimento e radicamento nel tessuto economico-sociale dello Stato italiano” e che il Ghana “rappresenta uno dei paesi africani più avanzati in tema di protezione dei diritti umani e aderisce alla grande maggioranza delle convenzioni onusiane e africane”, per cui anche tale istanza andava respinta;

3. ha proposto ricorso per la cassazione del provvedimento impugnato il soccombente con 2 motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato al solo fine di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. il primo motivo di ricorso denuncia: “art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3 e art. 8, con riguardo alla valutazione di non sussistenza del pericolo di discriminazione e di trattamenti inumani e degradantì per motivi religiosi, pur ritenuta credibile la vicenda personale narrata dal, richiedente. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – Motivazione apparente. – Illogicità. Omessa valutazione di circostanze decisive – Violazione degli artt. 3 e 8 della C.E.D.U.artt. 113,115 e 116 c.p.c. – art. 10 Cost., comma 3 e art. 32 Cost.”;

si critica l’omessa valutazione in ordine alla veridicità della vicenda documentata dal ricorrente, atteso che il dapprima la Commissione Territoriale e, successivamente, il Tribunale, pur ritenendo credibile il ricorrente, hanno ritenuto non sussistente il pericolo di persecuzione e di trattamenti inumani e degradanti in caso di rimpatrio con motivazione tautologica e meramente apparente; si lamenta che il Tribunale non avrebbe “eseguito le doverose indagini che doveva attivare al fine di valutare l’attendibilità e la credibilità del ricorrente” ed “omettendo anche la doverosa valutazione della documentazione versata in atti dal ricorrente”; si; critica altresì la decisione impugnata per avere omesso “la puntuale verifica, d’ufficio dei contrasti religiosi in Ghana”;

2. il secondo motivo denuncia: “Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4: Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto. Difetto di motivazione. Illogicità – D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3; il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; art. 411. 6, par. 4, della Direttiva comunitaria n. 115/2008; L. n. 881 del 1977, art. 11; artt. 113,115 e 116 c.p.c. – art. 10 Cost., comma 3, e art. 32 Cost.”;

si lamenta, in ordine alla negata protezione umanitaria, che il Tribunale non’ avrebbe adeguatamente valutato la specifica condizione di vulnerabilità’dell’istante avuto riguardo sia alla circostanza che questi era entrato in Italia da minorenne, dopo aver subito in Libia “violenze e carcerazioni durante il tragitto per arrivare in Italia”, sia alle “discriminazioni religiose” patite in patria, limitandosi a rilevare che il Ghana è un paese democratico;

3. il Collegio giudica il ricorso, i cui 2 motivi possono essere esaminati congiuntamente per connessione, fondato nei limiti della motivazione che segue;

risultano innanzitutto inammissibili tutte le censure prive di adeguata specificità, che si risolvono in una mera elencazione di norme, senza l’osservanza del fondamentale principio secondo cui i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza non possono essere affidati a deduzioni generali e, ad affermazioni apodittiche, con le quali la parte non articoli specifiche censure esaminabili dal

giudice di legittimità sulle singole conclusioni tratte dal giudice del merito; in relazione alla fattispecie decisa, avendo il ricorrente, l’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del giudizio di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione di identificare la critica mossa ad unà parte ben specificata della decisione espressa (v., da ultimo, Cass. n. 2959 del 2020; coinf. Cass. n. 1479 del 2018); pertanto, se nel ricorso per cassazione si sostiene l’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo, si deve, chiarire a pena di inammissibilità l’errore di diritto imputato al riguardo alla sentenza impugnata, in relazione alla concreta controversia (Cass. SS.UU. 21672 del 2013); in, caso contrario, la censura – pur formalmente formulata come vizio di violazione di norme legge – nella sostanza si traduce in una inammissibile denuncia di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti, effettuata nell’esercizio di un sindacato non censurabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio di motivazione, peraltro nei ristretti limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, pure invocato da parte ricorrente, ma senza individuare il fatto storico decisiva di cuì sarebbe stato omesso l’esame e trascurando completamente gli enunciati di Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014 che hanno rigorosamente interpretato detta disposizione novellata nel 2012;

deve invece essere accolta la doglianza con cui parte ricorrente lamenta che “Il Tribunale (…) ha totalmente omesso ogni valutazione soggettiva relativa alla vulnerabilità del sig. T.” quanto alla richiesta protezione umanitaria, non avendo “in alcun modo preso in esame l’effettiva situazione del richiedente al fine di verificare la sussistenza della dichiarata situazione di fragilità mediante unè valutazione comparativa tra eventuale radicamento in Italia e violazione o impedimento nel paese di origine di diritti umani inalienabili”;

4. secondo questa Corte, la protezione umanitaria ha natura residuale ed atipice (cfr. ex plurimis Cass. n. 21123 del 2019) nell’ambito del sistema pluralistico della protezione internazionale di derivazione Europea e, consistendo in un catalogo aperto legato a ragioni di tipo umanitario, la misura abbraccia variegate fattispecie di non espulsione che possono avere l’eziologia più varia, non necessariamente, fondate sul fumus persecutionis o sul pericolo di danno grave per la vita o per l’incolumità psicofisica secondo la declinazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 (cfr. Cass. n. 13079 del 2019; Cass. n. 23604 del’2017; Cass. n. 21903 del 2015);

in quest’ottica atipica e residuale, rilevano tutte quelle situazioni, non tipizzate di vulnerabilità dello straniero da proteggere, da accertare caso per caso (cfr. Cass. n. 13088 del 2019), ancorate ad una valutazione individuale delle vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela (cfr. Cass. n. 13079 del 2019) ed inoltre, “il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle, altre domande di protezione internazionale” (Cass. n. 13088 del 2019);

infine, per le Sezioni unite di questa Corte (sent. n. 29459 del 2019) va assegnato rilievo centrale alla valutazione comparativa ha il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabilè e costitutivo della dignità personale (inaugurato da Cass. n. 4455 del 2018, seguita; tra varie, da Cass. n. 11110 del 2019 e da Cass. n. 12082 del 2019),” pur’ puntualizzandosi che non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifità compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. n. 17072 del 2018);

5. il Tribunale di Palermo non ha proceduto a siffattà adeguata comparazione: infatti, da un lato, ha escluso apoditticamente un “positivo inserimento e radicamento nel tessuto economico-sociale dello Stato italiano”, senzà indicare le fonti del convincimento e con un riferimento soltanto nominalistico all’inserimento e radicamento dello straniero in Italia, scevro da qualsiasi approfondimento contrassegnato da uno specifico riguardo alla situazione dell’istante; d’altro canto, il Tribunale non ha effettuato alcuna indagine, anche officiosa, per verificare se la condizione di vulnerabilità dedotta dall’istante e legata “allo stato di povertà vissuto dallo stesso ricorrente e dalla sua famiglia”, oltre che motivo della fuga, potesse, determinare, in caso di rimpatrio, “la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani” (cfr. Cass. n. 33190 del 2019), limitandosi ad argomentare genericamente sulla situazione generale del paese africano di provenienza;

in particolare il Tribunale ha omesso di considerare la situazione personale del richiedente prima della partenza dal Ghana, in specie la vicenda dello stato di vessazione a motivo cultuale ad opera di familiari, riferita da T.A. e ritenuto “credibile” anche dalla Commissione territoriale, al cui riguardo “non ha emesso alcun giudizio di non credibilità e inattendibilità soggettiva, con il necessario I atteggiamento di relativismo culturale e il doveroso inquadramento nel contesto socio ambientale del Paese di provenienza, onde valutare alla stregua di tra parametri, la sussistenza di un apprezzabile grado di vulnerabilità soggettiva del richiedente asilo tutelabile nella prospettiva della tutela residuale e temporanea c.d. umanitaria” (cfr. Cass. n. 13088 del 2019); in tale prospettiva occorreva considerare la condizione del richiedente quale vittima della vessazione denunciata per ragioni pertinenti credenze religiose, le conseguenze di tale situazione e, soprattutto, l’atteggiamento delle autorità locali; difatti, “tale complesso di elementi, opportunamente calato in contesto tribale, dominato da credenze arcaiche e superstizioni, ben può concretizzare una particolare condizione di vulnerabilità soggettiva di colui che si ritenga” vittima di una tale forma di vessazione (ancora Cass. n. 13088 del 2019); d’altra parte, il Collegio giudicante ha omesso di prendere in considerazione anche la situazione vissuta dal richiedentè protezione nei cosiddetti Paesi di transito e di temporanea permanenza (cfr. ex plurimis Cass. n. 13096 del 2019), così come riferito da T.A., il cui racconto – lo si ribadisce – non è stato dichiarato inattendibile;

6. conclusivamente il ricorso va accolto per quanto di ragione, con cassazione del decreto impugnato in relazione alla censura accolta e rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito, provvedendo anche alle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 12 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2021

 

 

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