Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1235 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. I, 21/01/2021, (ud. 13/10/2020, dep. 21/01/2021), n.1235

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8702/2019 proposto da:

M.P., difeso dall’avv. Mario Novelli, domiciliato presso la

I sezione civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 25/01/2019;

dita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/10/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Ancona, con decreto depositato in data 25.01.2019, ha rigettato la domanda di M.P., cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero in capo al ricorrente i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, non essendo riconducibili i fatti narrati agli atti persecutori previsti dalla Convenzione di Ginevra (il ricorrente aveva riferito di essersi allontanato dal Bangladesh in quanto ingiustamente denunciato dalla famiglia della matrigna di aver commesso un furto nonchè incendiato la loro casa, manovra ordita per consentire al fratellastro di ereditare i terreni del padre).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo per il ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel suo paese di provenienza.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione M.P. affidandolo a quattro motivi (seppur numerati erroneamente, indicando il primo come terzo e via a seguire).

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale, nel ritenere non fondato il rischio di danno grave in caso di rientro nel paese d’origine, non ha osservato i criteri legali nella valutazione della credibilità delle sue dichiarazioni, ritenendo sbrigativamente il suo racconto generico e non attendibile e rendendo una motivazione apparente ed apodittica.

2. Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente non ha colto la ratio decidendi del decreto impugnato sul punto oggetto di doglianza, non avendo il Tribunale ritenuto inattendibile il suo racconto, ma solo che si trattava di vicenda privata e di giustizia comune, con la conseguenza che il ricorrente avrebbe dovuto richiedere la protezione del suo Paese e attenderne l’esito.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

Lamenta il ricorrente che il giudice di primo grado ha sottovalutato la sua vicenda, non tenendo conto che i report consultati riferiscono di una polizia altamente inefficiente, con conseguente sussistenza del rischio di danno “grave” dallo stesso paventato.

4. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

Lamenta il ricorrente che l’esame della situazione del Bangladesh non è stato effettuato o comunque in modo sufficientemente adeguato, omettendo la consultazione di informazioni precise e adeguate.

5. Il secondo ed il terzo motivo, da esaminare unitariamente, avendo ad oggetto questioni connesse, presentano profili di infondatezza ed inammissibilità.

Il giudice di merito – a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente – ha effettivamente consultato report internazionali aggiornati (Amnesty International e Freedom House del 2018), alla luce dei quali ha ritenuto il sistema giudiziario bengalese efficiente, con l’unica eccezione (non sussistente nel caso di specie) delle vicende in cui sono coinvolti i politici.

L’esposto accertamento del Tribunale di Ancona costituisce una valutazione di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. del 12/12/2018 n. 32064), se non a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con la conseguenza che le censure del ricorrente si appalesano come di merito, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa valutazione del materiale probatorio esaminato dal giudice di merito.

6. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Evidenzia il ricorrente di essere meritevole della protezione umanitaria in ragione dello stato di insicurezza nonchè di precarietà, sotto il profilo economico, del suo paese di origine, oltre che per la vicenda della denuncia sporta nei suoi confronti.

7. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ha già affermato che pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità del richiedente, dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale, atteso che, diversamente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente non ha minimamente correlato la dedotta esistenza di una situazione di insicurezza e di precarietà economica nel paese d’origine alla propria condizione personale, richiamando genericamente solo la vicenda della denuncia sporta nei suoi confronti dalla matrigna, in relazione alla quale il giudice di merito ha già ritenuto non fondati i timori del ricorrente.

Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendosi il Ministero costituito in giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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