Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12348 del 23/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/06/2020, (ud. 11/09/2019, dep. 23/06/2020), n.12348

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20958-2018 proposto da:

V.N., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LEONARDO

MORETTI;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati MANUELA MASSA,

NICOLA VALENTE, CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 306/2018 del TRIBUNALE di FIRENZE, depositata

l’08/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LEONE

MARGHERITA MARIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Il Tribunale di Firenze con la sentenza n. 2406/2017 aveva rigettato, in sede di procedimento ex art. 445 bis c.p.c., la domanda di V.N. diretta all’accertamento delle condizioni medico sanitarie utili all’assegno di invalidità. Il tribunale, all’esito della ctu espletata nella prima fase, aveva ritenuto che il ricorrente si era limitato a riproporre la propria storia clinica e a manifestare il suo dissenso rispetto alle valutazioni del ctu.

Avverso tale decisione il N. aveva proposto ricorso affidato a due motivi. L’Inps rimaneva intimato.

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1) Con il primo motivo era denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 149 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver, in tribunale, pur a fronte di allegazione di documentazione medica dimostrativa degli aggravamenti intervenuti nel corso del giudizio, omesso di considerali e di pronunciare sugli stessi.

Il motivo risulta inammissibile poichè il ricorrente richiama i documenti allegati, ma non ne riporta il contenuto e neppure riporta il contenuto della ctu contestata, al fine di far emergere la reale situazione di denunciato aggravamento.

2) Con il secondo motivo denuncia la omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver, il tribunale, considerato le numerose doglianze espresse sulla relazione peritale e le discrepanze tra valutazioni espresse da altri medici e la ctu.

Il motivo risulta inammissibile per più ragioni: in primo luogo perchè non vengono inseriti in esso i documenti richiamati e ciò dunque rende priva di specificità la censura, e poi perchè, con riguardo alla “omessa e insufficiente motivazione”, questa Corte ha specificato che “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia” (Cass. n. 23238/2017).

La decisività del “fatto” omesso assume nel vizio considerato dalla disposizione richiamata rilevanza assoluta poichè determina lo stretto nesso di causalità tra il fatto in questione e la differente decisione (non solo eventuale ma certa).

Tale condizione deve dunque essere chiaramente allegata dalla parte che invochi il vizio, onerata di rappresentare non soltanto l’omissione compiuta ma la sua assoluta determinazione a modificare l’esito del giudizio. In assenza di siffatte condizioni il motivo è inammissibile, e ciò anche in riferimento alla ctu, rispetto alla quale il ricorrente non può limitarsi a denunciare l’omesso esame di elementi istruttori, ma deve indicare l’esistenza di uno o più fatti specifici, il cui esame è stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui essi risultino, il “come” ed il “quando” tali fatti siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti e la loro decisività(Cass. 7472/2017).

Il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

Sussistono, se dovuto in ragione dell’ammissione del ricorrente al gratuito patrocinio, i presupposti per il versamento, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020

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