Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12348 del 10/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 10/05/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 10/05/2021), n.12348

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21157-2015 proposto da:

I.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GOLAMETTO n.

4, presso lo studio dell’avvocato LORENZO GIUA, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANDREA CALVI;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE DI MILANO (OMISSIS) in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FOSSATO DI VICO n. 10, presso lo studio dell’avvocato MILENA CONTI,

rappresentata e difesa dall’avvocato LEONARDO SALVEMINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1102/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 02/03/2015 R.G.N. 2021/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/12/2020 dal Consigliere Dott. SPENA FRANCESCA.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con sentenza in data 2 marzo 2015 n. 1102 la Corte d’Appello di Milano confermava la sentenza de Tribunale della stessa sede, che aveva respinto la domanda proposta da I.M., medico di medicina generale in regime di convenzione con la ASL della Provincia di Milano (OMISSIS) (in prosieguo: ASL), per l’accertamento della illegittimità delle trattenute effettuate dalla ASL sulle competenze maturate, a titolo di recupero di compensi corrisposti indebitamente.

2.La Corte territoriale osservava essere documentato che i 28 assistiti per i quali erano stati corrisposti i compensi posti in recupero erano ricoverati presso la struttura residenziale accreditata (OMISSIS), di cui lo I. era medico responsabile. Allo I. non poteva essere corrisposto il compenso per una attività già retribuita dalla struttura residenziale, le cui prestazioni erano remunerate dalla ASL.

3. Del resto l’atto di appello non poneva sostanzialmente in dubbio tale circostanza. Il gravame, come le contestazioni già sollevate con lettera del 19 gennaio 2009, si incentrava, piuttosto, sulla mancanza di un previo accertamento giudiziario, che si assumeva essere necessario al recupero, in quanto la ASL nel rapporto con il medico in convenzione non esercitava poteri autoritativi.

4. La Corte territoriale osservava che nella fattispecie di causa non veniva in questione un procedimento esecutivo e che il giudice ordinario avrebbe potuto essere investito dell’accertamento della illegittima percezione dei compensi; una volta che tale illegittima percezione non era stata sostanzialmente messa in discussione- nè avrebbe potuto esserlo, in quanto documentata- era esente da censure il recupero dell’indebito effettuato dalla amministrazione tramite trattenuta sullo stipendio.

5. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza I.M., articolato in quattro motivi, cui ha opposto difese la ASL, poi AGENZIA DI TUTELA DELLA SALUTE (ATS) Milano (OMISSIS).

6. Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. nonchè vizio di motivazione- ex art. 360 c.p.c., n. 5,- per avere la Corte territoriale ritenuto la prova dell’indebito.

2. Ha assunto essere assente in causa qualsiasi documento idoneo a provare: la attività libero professionale da lui svolta presso la (OMISSIS), l’identità dei pazienti assistiti, il pagamento per tali pazienti di un doppio corrispettivo. Ha aggiunto di avere contestato la esistenza di un indebito sin dal 19 gennaio 2019, subito dopo aver ricevuto la comunicazione dell’ASL con cui si intimava la restituzione dei compensi corrisposti.

3. Con il secondo mezzo si impugna la sentenza- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. nonchè per vizio di motivazione -ex art. 360 c.p.c., n. 5.

4. Il ricorrente ha censurato la mancata specificazione nella sentenza impugnata dei documenti sulla base dei quali si riteneva raggiunta la prova dell’indebito ed il mancato esame delle contestazioni svolte tanto con la missiva del 19 gennaio 2009 che con il ricorso in appello e, comunque, con l’atto introduttivo del giudizio.

5. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

6. Essi contestano l’accertamento compiuto dal giudice dell’appello della avvenuta liquidazione in favore dello I., nella sua qualità di medico di medicina generale, di compensi per 28 pazienti che erano ricoverati presso la (OMISSIS) accreditata (OMISSIS), di cui lo stesso I. era medico responsabile.

7. Trattasi dell’accertamento di fatti storici, censurabile in questa sede di legittimità unicamente con la deduzione di un vizio di motivazione ovvero- secondo il vigente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, indicando un fatto storico, risultante dagli atti ed oggetto di contraddittorio, non esaminato nella sentenza impugnata e di rilievo decisivo.

8. Le due censure, ancorchè formalmente qualificate anche in termini di vizio di motivazione, non specificano il “fatto storico” il cui esame sarebbe stato omesso dalla sentenza impugnata, non trascrivono le allegazioni svolte al riguardo nel giudizio di merito non indicano, sempre con la dovuta specificità, gli atti di causa da cui il fatto pretesamente non esaminato risultava esistente nè, da ultimo, le ragioni della sua decisività.

9. Il ricorrente contesta genericamente la esistenza tanto di una prova documentale che di una condotta di non contestazione; in questo modo chiede a questa Corte un inammissibile riesame del giudizio di merito.

10. Con la terza critica il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3- violazione e falsa applicazione dell’art. 474 c.p.c., del R.D. n. 639 del 1910, del R.D. n. 295 del 1939 e del D.P.R. n. 1544 del 1955.

11. Ha assunto che il recupero dei compensi pretesamente indebiti non poteva avvenire in assenza di un accertamento giudiziale dell’indebito e della sua entità e che neppure poteva essere opposta la compensazione, legale o giudiziale, che presupponeva la liquidità ed esigibilità del credito opposto in compensazione. Stante la natura privatistica del rapporto di lavoro con il medico convenzionato, la ASL avrebbe dovuto procedere giudizialmente ed, all’esito, avviare la esecuzione forzata.

12. Con il quarto motivo si assume – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del R.D. n. 639 del 1910, del R.D. n. 295 del 1939 e del D.P.R. n. 1544 del 1955, evidenziando come il giudice dell’appello, pur avendo disatteso la qualificazione del Tribunale- che aveva ritenuto applicabile per il recupero dell’indebito la procedura del R.D. n. 639 del 1910 – era comunque giunto alle medesime conclusioni.

13. Il terzo ed il quarto motivo, sostanzialmente sovrapponibili, sono infondati.

14. La tesi del ricorrente, secondo la quale per il recupero dei compensi corrisposti indebitamente sarebbe stato necessario un titolo esecutivo ed un procedimento di esecuzione forzata- essendo i rapporti con la ASL interamente regolati dal diritto privato- non tiene conto degli effetti derivanti dalla coesistenza nell’ambito di un unico rapporto giuridico di reciproche obbligazioni di dare e di avere.

15. Per principio consolidato, quando tra due soggetti i rispettivi debiti e crediti hanno origine da un unico rapporto, ancorchè complesso, non vi è luogo ad una ipotesi di compensazione “propria”, ai sensi degli artt. 1241 e segg. c.c., ma opera il diverso fenomeno della c.d. compensazione “impropria” (o atecnica), il quale si risolve in un mero accertamento contabile del saldo finale di contrapposte partite di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza (Cassazione civile, sez. VI, 15/12/2020, n. 28469Cassazione civile, sez. II, 17/02/2020, n. 3856; Cassazione civile sez. II, 19/02/2019, n. 4825; Cassazione civile, sez. I, 04/05/2018, n. 10798; Cassazione civile sez. I, 23/03/2017, n. 7474).

16. Tale principio è stato applicato anche nell’ambito del rapporto di lavoro, avendo questa Corte affermato (Cassazione civile sez. lav., 02/03/2009, n. 5024; 26/04/2018, n. 10132; 21/01/2019, n. 1513; 21/05/2019, n. 13647) che l’istituto della compensazione e la relativa normativa codicistica – ivi compreso l’art. 1246 c.c., sui limiti della compensabilità dei crediti – presuppongono l’autonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti delle parti e non operano quando essi nascano dal medesimo rapporto, il quale può comportare soltanto una compensazione in senso improprio, ossia un semplice accertamento contabile di dare e avere, come avviene quando debbano accertarsi le spettanze del lavoratore autonomo o subordinato.

17. Le conseguenze applicative della qualificazione del fenomeno in termini di compensazione “impropria” si sostanziano nell’esclusione dell’applicazione dell’intera disciplina della compensazione ed, in particolare, del divieto previsto dall’art. 1246 c.c., n. 3, con la conseguente deducibilità, per intero, del controcredito dal credito impignorabile (cfr., fra le altre, Cass. sez. lav. 20/11/2019, n. 30220; Cass. 20/06/2003, n. 9904, in motivazione).

18. L’effetto di elisione dei crediti reciproci opera in via automatica e nell’ambito di regole esclusivamente civilistiche; esso non presuppone, pertanto, l’esercizio di poteri autoritativi o l’adozione di provvedimenti amministrativi nè richiede il previo accertamento del controcredito in via giudiziaria e tanto meno la acquisizione di un titolo esecutivo giudiziale.

19. Per la stessa ragione, l’operazione contabile di accertamento del saldo finale delle contrapposte partite può essere compiuta dal giudice d’ufficio, diversamente da quanto accade nel caso di compensazione cosiddetta propria, che invece, per poter operare, postula l’autonomia dei rapporti e l’eccezione di parte (Cassazione civile, sez. II, 17/02/2020, n. 3856; Cassazione civile sez. lav., 18/05/2018, n. 12323, in motivazione; Cassazione civile sez. III, 15/06/2016, n. 12302).

20. Nell’ambito dell’unico rapporto di lavoro coordinato e continuativo intercorrente tra la ASL ed il medico in regime di convenzione la ASL ben può effettuare, pertanto, il conguaglio tra il credito maturato dal medico per corrispettivi ed il proprio credito per la restituzione di compensi erroneamente erogati senza titolo.

21. La eventuale mancanza di correttezza di detto conguaglio (sia sotto il profilo dell’an che in ordine al quantum del credito portato in detrazione) comporterebbe, in assenza della elisione automatica, un inadempimento della ASL al suo obbligo di pagamento dei corrispettivi.

20. In tale situazione, la tutela del medico convenzionato è affidata all’ordinaria azione di adempimento, previa contestazione della correttezza dell’operata compensazione impropria e, dunque, della esistenza o della entità del credito di controparte.

21. Nella fattispecie di causa la Corte territoriale ha accertato la esattezza della compensazione impropria operata dalla ASL e tale accertamento è divenuto definitivo.

22. La sentenza si sottrae, pertanto, alle censure che le sono state mosse.

23. Le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

24. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (che ha aggiunto il al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 6.500 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2021

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