Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12347 del 20/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 20/05/2010, (ud. 20/04/2010, dep. 20/05/2010), n.12347

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31002-2006 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO

86, presso lo studio dell’avvocato TAVERNITI BRUNO, rappresentata e

difesa dall’avvocato VALETTINI ROBERTO, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE N. 144,

presso lo studio degli avvocati ROMEO LUCIANA, LA PECCERELLA LUIGI

che lo rappresentano e difendono, giusta procura speciale Atto Notar

CARLO FEDERICO TUCCARI di ROMA del 05/12/2006, rep. n. 722 71;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 673/2006 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 12/07/2006 R.G.N. 374/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/04/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato ROMEO LUCIANA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Genova, riformando la sentenza di primo grado, respingeva la domanda di C.C. avente ad oggetto la condanna dell’INAIL al pagamento della rendita indiretta in favore dei superstiti, di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 85 (T.U.) e dell’assegno funerario in relazione al decesso del marito affetto dalla malattia professionale di brocopneumopatia da silicati.

I giudici di appello ponevano a base della decisione il rilievo fondante che il CTU, nominato nel giudizio di appello, aveva escluso che la morte del coniuge della ricorrente poteva essere messa in relazione causale o concausale con la malattia professionale di cui lo stesso era portatore.

Avverso tale sentenza la C. propone ricorso per cassazione sostenuto da due censure.

Resiste con controricorso l’INAIL e deposita memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, deducendo vizio di motivazione, allega che la Corte di appello, nel condividere le conclusioni del CTU, non ha tenuto conto dei risultati cui è pervenuta la scienza medico legale nel non escludere un ruolo causale fra la malattia neoplastica (tumore polmonare) e quella professionale. Richiama,la ricorrente, al riguardo, vari testi scientifici a supporto della critica.

La censura è infondata.

Merita, innanzitutto, di essere richiamato l’orientamento di questa Corte secondo il quale, nelle controversie in materia di prestazioni previdenziali derivanti da malattie dell’assicurato, le conclusioni del consulente tecnico di ufficio sulle quali si fonda la sentenza impugnata possono essere contestate in sede di legittimità se le relative censure contengano la denuncia di una documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico – legale o dai protocolli praticati per particolari assicurazioni sociali; ciò che rientra tra i vizi deducibili con il ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 in mancanza di detti elementi le censure configurano un mero dissenso diagnostico e, quindi, sono inammissibili in sede di legittimità (Cass. 8654/08, 11467/02, 10552/03 e 20947/04 e nello stesso senso V. anche Cass. 11894/04;16223/03;10552/03; 17556/02;

Cass. 6432/02; Cass. 530/98).

Nel quadro del suddetto enunciato si è, altresì, precisato che le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice non possono utilmente essere contestate in sede di ricorso per cassazione mediante la pura e semplice contrapposizione ad esse di diverse valutazioni, perchè tali contestazioni si rivelano dirette non già ad un riscontro della correttezza del giudizio formulato dal giudice di appello, bensì ad una diversa valutazione delle risultanze processuali; ciò non rappresenta un elemento riconducibile al procedimento logico seguito dal giudice, bensì costituisce semplicemente una richiesta di riesame del merito della controversia, inammissibile in sede di legittimità (Cfr. Cass. 7341/04 e 15796/04);

Parallelamente, deve essere ribadito il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice, per cui in sede di giudizio di legittimità non possono essere prospettati temi nuovi di dibattito non tempestivamente affrontati nelle precedenti fasi, principio che trova applicazione anche in riferimento alle contestazioni mosse alle conclusioni del consulente tecnico di ufficio -e per esse alla sentenza che le abbia recepite nella motivazione -, che intanto sono ammissibili, in sede di ricorso per cassazione, in quanto ne risulti la tempestiva proposizione davanti al giudice di merito e che la tempestività di tale proposizione risulti, a sua volta, dalla sentenza impugnata, o, in mancanza, da adeguata segnalazione contenuta nel ricorso, con specifica indicazione dell’atto del procedimento di merito in cui le contestazioni predette erano state formulate, onde consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità dell’asserzione prima di esaminare nel merito la questione sottopostale (tra molte, da ultimo, Cass. n. 7696/2006).

Alla stregua dei richiamati principi la censura che il ricorrente muove alla sentenza impugnata in punto di erronea valutazione del ruolo causale della malattia professionale, si risolve in un mero dissenso diagnostico in quanto non viene denunciata, propriamente,devianza dai canoni fondamentali della scienza medico – legale o dai protocolli praticati per particolari assicurazioni sociali,bensì non corrispondenza a pareri espressi da studiosi della materia in occasione di Convegni o di pubblicazioni.

Peraltro, non è allegato, e non risulta, che in sede di merito vennero dedotte contestazioni alla consulenza, analoghe a quelle articolate in sede di ricorso per cassazione.

Con la seconda censura la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 3 e 85 e dell’art. 2697 c.c. nonchè vizio di motivazione, formula, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. così come introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il seguente quesito di diritto: “il diritto alla rendita dei superstiti deve essere riconosciuto anche qualora la tecnopatia sia stata concausa del decesso e cioè quando la malattia sopravvenuta (nel caso di specie tumore polmonare) pur non ricollegandosi etiopatologicamente alla tecnopatia, sia stata da questo comunque influenzata nel solo finale esito letale (nel caso di specie incidendo sull’apparato respiratorio già debilitato della m.p. e da cure con analgesici)”.

Allega al riguardo la ricorrente, inoltre, che la relazione del CTU, su cui si basa la sentenza impugnata, è del tutto carente non essendovi alcun approfondimento in relazione all’iter che la neoplasia avrebbe potuto avere in assenza della malattia professionale.

La censura non è esaminabile in questa sede.

Il motivo, invero, contiene la contemporanea deduzione di violazione di legge e vizio di motivazione, la cui mescolanza è contraria alla regola di chiarezza posta dall’art. 366 bis c.p.c. cit..

La Cassazione,infatti, ha ritenuto l’inammissibilità del motivo di ricorso nel cui contesto trovino formulazione, al tempo stesso, censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione, ciò costituendo una negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366-bis cod. proc. civ. (nel senso che ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione) giacchè si affida alla Corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi la parte concernente il vizio di motivazione, che invece deve avere una autonoma collocazione (V. Cass. 11 aprile 2008 n. 9470 e 23 luglio 2008 n. 20355 e ancora nello stesso senso 29 febbraio 2008 n. 5471).

Il motivo è comunque infondato pur interpretandolo come diretto alla deduzione del solo vizio di motivazione o , in alternativa, della sola violazione di legge.

Invero, nel primo caso la censura si risolve, alla stregua delle considerazioni svolte con riferimento all’esame del primo motivo, in un mero dissenso diagnostico.

Nella seconda ipotesi il principio di cui si chiede l’affermazione non è, comunque, decisivo attesa la esclusione, accertata dalla sentenza di appello, di un ruolo concausale della malattia professionale.

Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso, pertanto, va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza dovendosi applicare la nuova disciplina delle spese nei procedimenti in materia di previdenza e assistenza, introdotta dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, convertito con modificazioni nella L. 24 novembre 2003, n. 326, trattandosi di giudizio di cassazione conseguente a fase di merito introdotta in epoca posteriore all’entrata in vigore dell’indicato D.L. (2 ottobre 2003).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 17,00, oltre E. 1.500,00 per onorario, ed oltre spese, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 Aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2010

 

 

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