Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12345 del 23/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/06/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 23/06/2020), n.12345

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32870-2018 proposto da:

E.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARCO ESPOSITO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI MILANO (OMISSIS),

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI MILANO;

– intimati –

avverso il decreto n. R.G. 15057/2018 del TRIBUNALE di MILANO,

depositato il 12/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE

EDUARDO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. E.L. ricorre per cassazione, affidandosi, sostanzialmente, ad un triplice ordine di ragioni, avverso il decreto n. 5260/2018, reso dal Tribunale di Milano e depositato il 21 settembre 2018, reiettivo della sua domanda di protezione internazionale o di riconoscimento di quella umanitaria. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quel tribunale, all’esito della comparizione delle parti innanzi al Giudice istruttore, ha ritenuto le dichiarazioni del richiedente, benchè credibili, inidonee a giustificare l’invocata protezione internazionale o il riconoscimento di quella umanitaria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate censure prospettano:

I) “violazione e/o falsa applicazione, in particolare del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 11, per l’omesso ordine di comparizione personale in udienza del ricorrente, come richiesto espressamente dal suo difensore e come imposto dalla norma citata nei casi di mancanza della videoregistrazione del colloquio innanzi alla Commissione territoriale”;

II) “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione alla richiesta di “protezione internazionale sussidiaria”, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per non aver valutato l’esistenza dei gravi motivi individuali di vulnerabilità, in relazione alla richiesta subordinata di “protezione umanitaria””;

III) “ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, manifesta illogicità e mancanza della motivazione, che si è concretizzata nell’omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio, in relazione alla mancata motivazione in merito al diniego della “protezione umanitaria”, ed all’omesso esame comparativo tra la situazione di vulnerabilità nel Paese di origine e lo stato di integrazione raggiunto in Italia”.

2. La prima di tali doglianze è infondata.

2.1. Invero, dal provvedimento impugnato risulta che il tribunale milanese dispose la comparizione delle parti innanzi al giudice istruttore al fine di esaminare ulteriore documentazione, “non ritenendo necessario procedere a nuova audizione e valutando sufficiente quanto emerso durante il colloquio svoltosi innanzi alla commissione territoriale”. Il medesimo provvedimento dà atto dell’avvenuta produzione, in detta udienza, di ulteriore documentazione.

2.2. Fermo quanto precede, è sufficiente rilevare che, da un lato, Cass. 5 luglio 2018, n. 1771, nello statuire l’obbligatorietà della fissazione dell’udienza davanti al tribunale adito con ricorso avverso il diniego della protezione internazionale, in tutti i casi di indisponibilità della videoregistrazione, ebbe espressamente a lasciare aperta la questione dell’obbligatorietà, o meno, dell’audizione del richiedente da parte del giudice di merito; dall’altro, che la più recente Cass. n. 5953 del 2019, le cui argomentazioni questo Collegio condivide, ha poi chiarito che nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza di comparizione non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al tribunale. Ne deriva che il giudice può respingere una domanda di protezione internazionale che risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero (cfr. in senso sostanzialmente conforme, anche Cass. n. 2817 del 2019).

2.3. Nella specie, il tribunale milanese, dopo aver fissato l’udienza per la comparizione delle parti, ha fondato la propria decisione sulle evidenze del verbale della Commissione recante le dichiarazioni del richiedente asilo (cfr. pag. 2-3 del decreto), ritenute, benchè credibili, inidonee a giustificare l’invocata protezione internazionale o il riconoscimento di quella umanitaria. Nè il ricorrente ha oggi riferito di aver allegato, innanzi al tribunale fatti nuovi, non prospettati innanzi alla Commissione, rilevanti ai fini del decidere.

2.4. E’ da evidenziare, inoltre, che il tema della rinnovazione dell’interrogatorio avanti al giudice del merito vada affrontato avendo riguardo alla normativa Euro-unitaria, alla luce della quale va interpretata quella nazionale che ne costituisce recepimento: deve escludersi che, in base a tale referente normativo, il tribunale sia sempre tenuto a procedere all’audizione del richiedente.

2.4.1. Secondo quanto precisato da Corte giust. UE 26 luglio 2017, C-348/16, Moussa Sacko, “la necessità che il giudice investito del ricorso ex art. 46 della direttiva 2013/32 proceda all’audizione del richiedente deve essere valutata alla luce del suo obbligo di procedere all’esame completo ed ex nunc contemplato all’art. 46, paragrafo 3, di tale direttiva, ai fini della tutela giurisdizionale effettiva dei diritti e degli interessi del richiedente. Tale giudice può decidere di non procedere all’audizione del richiedente nell’ambito del ricorso dinanzi ad esso pendente solo nel caso in cui ritenga di poter effettuare un esame siffatto in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso, se del caso, il verbale o la trascrizione del colloquio personale con il richiedente in occasione del procedimento di primo grado”, perchè in tal caso ciò si giustifica in funzione dell’interesse ad una sollecita definizione del giudizio, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo. Laddove, invece, il giudice – prosegue la Corte – “consideri che sia necessaria un’audizione del richiedente onde poter procedere al prescritto esame completo ed ex nunc, siffatta audizione, disposta da detto giudice, costituisce una formalità cui esso non può rinunciare”. La Corte di giustizia ha, quindi, definito la questione pregiudiziale stabilendo che “la direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni al fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, e in particolare i suoi artt. 12, 14, 31 e 46, letti alla luce dell’art. 47 della carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, deve essere interpretata nel senso che non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente qualora le circostanze di Atto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione, a condizione che, da una parte, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente all’art. 14 di detta direttiva, e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio, qualora quest’ultimo sia avvenuto, sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo, in conformità dell’art. 17, paragrafo 2, della direttiva medesima, e, dall’altra parte, che il giudice adito con il ricorso possa disporre tale audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fitto e di diritto contemplato all’art. 46, paragrafo 3, di tale direttiva”.

2.4.2. Tale approdo, come rilevato dalla stessa Corte di giustizia, è del resto coerente con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui lo svolgimento dell’udienza non è necessario quando la causa prospetti questioni di fatto e di diritto che possano essere risolte sulla scorta del fascicolo e delle osservazioni scritte delle parti (cfr. Corte EDU 12 novembre 2002, Dory c. Suede, 37).

3. Il secondo ed il terzo motivo sono esaminabili congiuntamente perchè accomunati dalla medesima, sostanziale ragione di inammissibilità.

3.1. Premesso, invero, che la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio di allegazione dei fatti posti a sostegno della domanda, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 19197 del 2015; Cass., 28/06/2018, n. 17069 del 2018; Cass. n. 4983 del 2019, in motivazione), nel caso di specie, l’allegazione dei fatti posta a fondamento delle domande di protezione sussidiaria e di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, è stata giudicata, con valutazione qui evidentemente insindacabile nel merito, inidonea a giustificare l’invocata protezione internazionale o il riconoscimento di quella umanitaria.

3.1.1. Quel giudice, peraltro, ha anche motivatamente escluso la ricorrenza delle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), nonchè di quella di cui alla lettera t) del medesimo articolo, negando – compiutamente indicando le fonti del proprio convincimento – che la zona di provenienza del ricorrente sia caratterizzata dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante.

3.1.2. Questa Corte, infine, ha recentemente chiarito che tra i motivi per i quali è possibile accordare la protezione umanitaria non rientrano, di per sè, l’integrazione sociale e lavorativa in Italia (cfr. Cass. n. 25075 del 2017, ribadita, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 780 del 2019).

3.2. Le odierne argomentazioni del ricorrente a sostegno del secondo e del terzo dei riportati motivi si risolvono, invece, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal tribunale milanese, cui il primo intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge ovvero di vizio motivazionale, una diversa valutazione: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 e Cass., SU, n. 34476 del 2019).

4. Il ricorso va, dunque, respinto, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020

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