Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12344 del 20/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 20/05/2010, (ud. 24/03/2010, dep. 20/05/2010), n.12344

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 32820-2006 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, BIONDI GIOVANNA, PULLI CLEMENTINA, giusta mandato in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.G., F.D., Q.T., tutti

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FRANCESCO SIACCI 2/B, presso

lo studio dell’avvocato DE MARTINI CORRADO, che li rappresenta e

difende, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 761/2006 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 09/08/2006 R.G.N. 367/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/03/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 179/04 il Tribunale di Genova accoglieva la domanda proposta dai signori B., Q. e F., con la quale si chiedeva che l’INPS fosse tenuto a corrispondere ai ricorrenti le differenze dovute per effetto della erronea applicazione, per l’anno 1999, delle limitazioni alla perequazione automatica al costo della vita prevista dalla L. n. 449 del 1977, art. 59, comma 13 con condanna dell’Istituto ad adeguare le pensioni in applicazione del sistema perequativo previsto dal D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 11.

Avverso detta sentenza proponeva ricorso in appello l’INPS, chiedendone l’integrale riforma, ritenendo corretta l’applicazione, al caso di specie, della L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 13, ultima parte in quanto riferibile a tutte le pensioni, nessuna esclusa, e quindi anche al trattamento integrativo dei signori B., Q. e F..

La Corte di Appello di Genova, con sentenza del 19 maggio-9 agosto 2006, rigettava il gravame, ritenendo che la L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 13, anche nell’ultima parte dello stesso, con il termine “pensioni” si riferiva solo a quelle indicate nella prima parte del citato comma 13, e cioè “… ai trattamenti pensionistici … dovuti dall’assicurazione generale obbligatoria per invalidità, la vecchiaia e i superstiti e dalle forme di essa sostitutive od esclusive …”. Per la cassazione di tale pronuncia ricorre l’INPS con un unico motivo, cui resistono gli intimati con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente chiarito che – come è pacifico – gli attuali resistenti sono titolari di pensione integrativa a carico del Fondo Consortile del Consorzio Autonomo del Porto di Genova, la cui erogazione è stata attribuita, ai sensi del D.L. 17 dicembre 1986, art. 13 convertito con modificazioni nella L. 13 febbraio 1987, N. 26, all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale. Tale pensione – ad avviso del Giudice di appello, come, del resto, di quello di primo grado – sarebbe sottratto al limite di perequazione sancito dalla L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 13 per le altre forme pensionistiche dovute “dall’assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti e dalle forme di essa sostitutive od esclusive …”.

Orbene, con l’unico motivo di ricorso, l’INPS, denunciando violazione ed errata applicazione della L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 59, comma 13, in relazione all’art. 12 c.c. e con riferimento alla L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 34 (art. 360 c.p.c., n. 3), lamenta l’erronea interpretazione da parte del Giudice a quo, della normativa di riferimento.

In particolare – secondo l’Istituto ricorrente, la L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 59, comma 13, ultima parte si applicherebbe anche ai trattamenti integrativi, come quelli goduti dai controricorrenti;

quindi, mentre la prima parte di detto comma disciplinerebbe solo talune forme di trattamento pensionistico (“… ai trattamenti pensionistici … dovuti dall’assicurazione generale obbligatoria per invalidità, la vecchiaia e i superstiti e dalle forme di essa sostitutive od esclusive …”), l’ultima parte, quella che riguarda “… l’indice di perequazione delle pensioni …”, si riferirebbe indistintamente ad ogni tipo di trattamento pensionistico, alla generalità delle pensioni.

Il motivo è fondato.

Si premette anzitutto che con l’art. 59 il legislatore ha accelerato e concluso il perseguimento degli obiettivi indicati nella L. n. 335 del 1995, consistenti anche nell’omogenizzazione dei trattamenti corrisposti dai fondi esclusivi, esonerativi, sostitutivi ed integrativi con il trattamento a carico dell’assicurazione generale, obbligatoria.

Tale articolo – come ha tenuto a puntualizzare la Corte cosi, con la sent. n. 393 del 2000 – non può essere letto disgiuntamente dalla complessa opera riformatrice del sistema previdenziale, a cui il legislatore ha posto mano sin dalla Legge Delega 23 ottobre 1992, n. 421, con la quale (art. 3), avendo di mira la stabilizzazione del rapporto tra la spesa previdenziale ed il prodotto interno lordo, unitamente alla garanzia, ai sensi dell’art. 38 Cost., di trattamenti pensionistici obbligatori omogenei, ha inteso favorire anche la costituzione di forme di previdenza per l’erogazione di trattamenti complementari del sistema obbligatorio pubblico, volti a realizzare in conformità delle indicazioni contenute nella stessa L. n. 421 del 1992, art. 3, comma 1, lett. v), “più elevati livelli di copertura previdenziali”.

In vista del riordino del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici così perseguito, veniva emanato, anzitutto, il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, il quale, tra le varie misure adottate, rendeva più rigorosi, elevando i relativi minimi, gli allora vigenti requisiti di età e contribuzione per il conseguimento delle pensioni di vecchiaia ed anzianità, secondo una scelta confermata, dapprima, con la L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 11 e poi definitivamente affermata con la riforma generale del sistema pensionistico (della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 1, commi da 25 a 28 e, da ultimo, della stessa L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 6);

scelta alla quale si ricollega anche la sospensione, a suo tempo prevista, dei pensionamenti anticipati (D.L. 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, nella L. 14 novembre 1992, n. 438; della citata L. n. 724 del 1994, art. 13.

In occasione delle ulteriori disposizioni modificatrici contenute nella L. 8 agosto 1995, n. 335 (art. 3, comma 25, e dall’art. 4 all’art. 16), il legislatore ha introdotto anche la norma che, per le forme complementari già istituite alla data di entrata in vigore della L. n. 421 del 1992, le quali garantiscono prestazioni definite ad integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio, subordina l’accesso alle prestazioni integrative alla liquidazione del trattamento obbligatorio (art. 15, comma 5, che ha aggiunto il comma 8-quinquies al citato D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 18).

In linea con tale tendenza limitativa si è venuto a porre la L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 3, nel prevedere che “a decorrere dal 1 gennaio 1998, per tutti i soggetti nei cui confronti trovino applicazione le forme pensionistiche definite in aggiunta o ad integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio…il trattamento si consegue esclusivamente in presenza dei requisiti e con la decorrenza previsti dalla disciplina dell’assicurazione obbligatoria di appartenenza”.

Alla stregua dell’evidenziato, sia pure in maniera parziale, quadro normativo come ancora rimarcato dalla Corte cost. con la richiamata sentenza – non può essere posta in dubbio la scelta del legislatore, enunciata sin dalla L. 23 ottobre 1992, n. 421, e, via via, confermata nei successivi interventi, di istituire un collegamento funzionale tra previdenza obbligatoria e previdenza complementare, collocando quest’ultima nel sistema dell’art. 38 Cost., comma 2.

E ciò secondo una tendenza riformatrice la cui portata è stata già colta, anche per quanto attiene alle implicazioni di carattere costituzionale, dalla giurisprudenza della stessa Corte cost., quando, proprio in virtù dell’accennato collegamento funzionale, ha avuto modo di affermare che, a seguito della Legge Delega n. 421 del 1992, così come attuata dal D.Lgs. n. 124 del 1993, la definizione legislativa dei fondi complementari, come “fondi di previdenza … al fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale”, ha inserito gli stessi nel sistema dell’art. 38 Cost., tanto che, dopo queste leggi, le contribuzioni degli imprenditori al loro finanziamento non possono più definirsi “emolumenti retributivi con funzione previdenziale”, ma costituiscono, strutturalmente, contributi di natura previdenziale, come tali estranei alla nozione di retribuzione imponibile agli effetti dell’assicurazione INPS (sentenza n. 421 del 1995). Alla luce anche dei chiarimenti addotti dalla giurisprudenza costituzionale, è da ritenere, dunque, che la disposizione denunciata si collochi nel delineato disegno normativo, in cui il nesso strutturale tra previdenza obbligatoria e previdenza complementare è stato voluto dal legislatore quale momento essenziale della complessiva riforma della materia, in corrispondenza dell’obiettivo perseguito dal legislatore di coniugare l’entità della spesa pensionistica, da ricondurre a parametri sostenibili, con un più adeguato livello di copertura previdenziale. E’ stato, in proposito, opportunamente osservato, per altro verso, che la disciplina di cui trattasi, benchè non incida in via diretta ed immediata sulla spesa pubblica, non risulta del tutto indifferente per quest’ultima, se non altro perchè concorre ad escludere quelle distonie tra previdenza pubblica e previdenza complementare, entrambe ormai componenti del sistema stesso, che potrebbero indurre ripercussioni negative, anche d’ordine finanziario, sui rispettivi ambiti (come, ad esempio, la minore contribuzione all’INPS, da un lato, e i maggiori oneri a carico dei fondi integrativi, dall’altro) e, in definitiva, sulla tenuta complessiva del sistema delle assicurazioni sociali (Corte cost. 393/2000).

Tanto premesso, è agevole, a questo punto, osservare che anche l’art. 59, comma 13 risponde ai medesimi obiettivi e deve essere interpretato con riferimento agli stessi richiamati obiettivi:

allineamento delle prestazioni erogate da un fondo integrativo,come quello in oggetto (ma anche da altri fondi come quelli delle aziende private del gas, delle esattorie e ricevitorie e quelli gestiti dagli enti pubblici non economici di cui alla L. n. 70 del 1975), a quelle erogate dal trattamento obbligatorio.

Se, dunque, la disposizione in esame nel suo complesso tende ad estendere la disciplina del regime generale sia alle gestioni aggiuntive ed integrative, sia alle gestioni esonerative e sostitutive, con l’intento – come detto – di armonizzare le predette forme al regime generale di base, l’interpretazione del citato art. 59, comma 13 per la parte che qui interessa, non può prescindere dalla indicata rado che ha ispirato la complessiva adozione della disposizione in esame. Non solo, quindi, l’interpretazione letterale del comma 13 del citato articolo deve indurre ad attribuire alla locuzione “l’indice di perequazione delle pensioni” il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore e cioè indurre ad attribuire valenza generale a detta locuzione che produce effetti nei confronti di tutte le forme pensionistiche senza alcuna esclusione.

Ma anche l’interpretazione sistematica della disposizione in esame non può che deporre per la conclusione già indicata.

Infatti, l’art. 59, comma 4 in esame ha escluso a decorrere dal 1 gennaio 1998 l’applicazione delle speciali clausole di adeguamento delle pensioni previste dalle forme pensionistiche esclusive, esonerative, sostitutive, integrative e complementari diverse dal sistema di adeguamento introdotto per il regime generale AGO dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 11 che di conseguenza viene esteso a tutti i trattamenti pensionistici.

Alla luce delle esposte considerazioni l’interpretazione fornita dal Giudice di appello così come lo stesso orientamento giurisprudenziale richiamato nella memoria ex art. 378 c.p.c. dai controricorrenti (Cass. 15769/2007) non appare coerente con la ratio dell’art. 59, il quale da un lato avrebbe introdotto al comma 4 un adeguamento del trattamento pensionistico omogeneo per tutte le forme pensionistiche mediante il sistema della perequazione automatica previsto per il regime a.g.o., dall’altro avrebbe limitato la eccezionale e temporanea disciplina circa le modalità di applicazione dell’indice di perequazione di cui al successivo comma 13 soltanto alle forme pensionistiche obbligatorie ed a quelle di esse sostitutive od esclusive, escludendo da detta disciplina – secondo il non condivisibile assunto del giudice di merito – le pensioni erogate da fondi integrativi.

Appare, allora, evidente che la disciplina della perequazione automatica trova indistintamente applicazione nei confronti di tutti i trattamenti pensionistici indipendentemente dalla loro natura (obbligatoria, sostitutiva, integrativa). Pertanto – e dando riscontro al quesito di diritto formulato dal ricorrente, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. deve affermarsi che la previsione di cui all’ultima parte della L. 23 dicembre 1997, n. 449, art. 59, comma 13 disciplina l’applicazione dell’indice di perequazione automatica delle pensioni secondo le modalità in essa previste anche nei confronti dei trattamenti erogati da forme pensionistiche integrative del regime generale.

Per quanto precede il ricorso va accolto, l’impugnata sentenza cassata e, decidendosi nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, seconda parte, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto vanno rigettate le domande proposte con il ricorso introduttivo dagli attuali resistenti.

La complessità delle questioni esaminate comprovate da orientamenti discordi, induce a compensare tra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa le sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta le domande proposte con il ricorso introduttivo dagli attuali resistenti. Compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 24 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2010

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