Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12341 del 23/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/06/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 23/06/2020), n.12341

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32594-2018 proposto da:

P.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NOMENTANA 257,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA CIANNAVEI, rappresentato e

difeso dall’avvocato SILVIO PITTORI;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DELLA SOCIETA’ (OMISSIS) SRL, in persona del Curatore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TOSCANA 10, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIO RIZZO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

E

P.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 821/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 06/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE

EDUARDO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Firenze, Sezione specializzata in materia di impresa, con sentenza del 6 aprile 2018, n. 821, respinse i gravami, principale ed incidentale, proposti, rispettivamente, da P.P. e P.A., e dal Fallimento (OMISSIS) s.r.l., avverso la decisione del tribunale di quella stessa città che, accogliendo la domanda L. fall. ex art. 146 della curatela, aveva condannato i primi, in solido tra loro, previo accertamento della corrispondente responsabilità ex artt. 2476,2394 e 2482-ter c.c., art. 2484 c.c., n. 4, e artt. 2485 e 2486 c.c., al risarcimento dei danni, in favore di quest’ultima, nella misura di Euro 1.283.068,00, oltre rivalutazione ed interessi.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, la corte distrettuale: i) ritenne inammissibile il primo motivo di gravame con cui gli appellanti principali avevano lamentato un’asserita ultrapetizione della decisione del tribunale per aver erroneamente accertato la responsabilità dei P., non per aver determinato e causato il dissesto, ma per averlo, aggravato”; ii) condivise la quantificazione del danno effettuata dal tribunale, considerando corretto a tal fine, alla stregua delle risultanze della c.t.u. espletata in primo grado, l’utilizzo, da parte di quel giudice, del criterio della differenza tra i netti patrimoniali.

2. Per la cassazione della descritta sentenza ha proposto ricorso P.P., affidato a due motivi. Resiste, con controricorso, la curatela fallimentare, mentre non ha spiegato difese, in questa sede, P.A..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE.

1. Con le formulate censure si assume, rispettivamente:

I) “Nullità della sentenza e/o del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 132 c.p.c., n. 4”. Si ascrive alla corte distrettuale di aver considerato inammissibile, senza fornirne comprensibile motivazione quanto all’ivi ritenuto rispetto del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, il motivo di appello che aveva lamentato, a dire dell’odierno ricorrente fondatamente, una ultrapetizione della decisione del tribunale per aver erroneamente accertato la responsabilità dei P. non per aver determinato e causato il dissesto della (OMISSIS) s.r.l., ma per averlo “aggravato”;

II) “Violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), degli artt. 2392, 2393, 2394, 2476, 2486 e 2043 c.c., nonchè della L. fall., art. 146”. Si imputa alla corte fiorentina di aver condiviso la quantificazione del danno effettuata dal tribunale mediante l’utilizzo del criterio della differenza tra i netti patrimoniali, malgrado non ne ricorressero i presupposti applicativi sanciti dalla richiamata giurisprudenza di legittimità.

2. Il primo motivo è palesemente infondato, posto che la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temponris, risultando impugnata una sentenza resa il 6 aprile 2018), ha avuto l’effetto di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la nullità della sentenza (o di altro provvedimento decisorio) per “mancanza della motivazione”, ipotesi configurabile allorchè la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (cfr. Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017).

2.1. La descritta novella, dunque, esclude la sindacabilità, in sede di legittimità, della correttezza logica della motivazione di idoneità probatoria di determinate risultanze processuali, non avendo più autonoma rilevanza il vizio di contraddittorietà o insufficienza della motivazione, essendosi introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione (con l’osservanza, peraltro, degli oneri di allegazione puntualmente sanciti da Cass., SU. n. 8053 del 2014), relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.

2.2. Nella specie, la corte distrettuale ha correttamente ritenuto generica la doglianza di violazione dell’art. 112 c.p.c. rilevando che, a fronte di una puntuale ricognizione di tutte le condotte degli amministratori allegate in citazione quali cause di responsabilità, questi ultimi hanno solo genericamente censurato le corrispondenti considerazioni, limitandosi a desumere il contenuto della deducilo di parte attrice dalla prospettata quantificazione del danno in misura pari alla differenza tra attivo e passivo fallimentare, prospettazione che, però, certamente non limita la cognizione del giudice nell’adozione della pronuncia di liquidazione in via equitativa.

Risulta, pertanto, chiaramente ed esaustivamente soddisfatto l’onere minimo motivazionale di cui si è appena detto, nè il motivo reca la chiara indicazione di eventuali “fatti storia”, controversi e decisivi, il cui esame sarebbe stato omesso dal tribunale.

3. Analoga sorte merita il secondo motivo.

3.1. La giurisprudenza di legittimità, invero, ha già chiarito che, in ipotesi di azione L. fall. ex art. 146 nei confronti dell’amministratore, ed ai fini della liquidazione del danno cagionato da quest’ultimo per aver proseguito l’attività pur in presenza di una causa di scioglimento della società, così violando l’obbligo di cui all’art. 2486 c.c., il giudice può avvalersi in via equitativa, nel caso di impossibilità di una ricostruzione analitica dovuta all’incompletezza dei dati contabili ovvero alla notevole anteriorità della perdita del capitale sociale rispetto alla dichiarazione di fallimento, del criterio presuntivo della differenza dei netti patrimoniali, a condizione che tale utilizzo sia congruente con le circostanze del caso concreto e che, quindi, l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato ed abbia specificato le ragioni impeditive di un rigoroso distinto accertamento degli effetti dannosi concretamente riconducibili alla sua condotta (0-. Cass. n. 9983 del 2017).

3.2. Nella specie, la corte fiorentina, nel disattendere il corrispondente motivo di gravame dei P., ha rimarcato (fr. pag. 7 della sentenza impugnata): i) “che il primo Giudice ha esaminato tutte le singole condotte di mala gestio e tutte le operazioni non conservative, dandone atto partitamente e che alla fine di tale disamina (…) ha spiegato di aver fatto ricorso al criterio della differenza tra i netti patrimoniali in quanto era quello “più adeguato a rappresentare la situazione economica della (OMISSIS) poichè tiene conto non solo dei riflessi delle false appostazioni in bilancio, delle condotte di “mala gestio” (per complessivi Euro 566.533,01) e delle operazioni non conservative per Euro 715.758,01, ma anche dell’avvenuta ricapitalizzazione e della protrazione dell’attività malgrado la ulteriore perdita di bilancio erosiva del capitale sociale””; il) che, “peraltro, già a f. 8 il tribunale aveva evidenziato come fosse complicato scindere condotte di mala gestio da quelle non conservative, dato che talune di queste (e segnatamente il rimborso ai soci del finanziamento; il mancato incasso del credito di una società del gruppo e le dazioni di denaro a P. Termoidraulica) avevano la doppia “connotazione” di presentarsi sia come atti di “mala gestio” e poi anche come operazioni “non conservative” del patrimonio sociale”; che “la scelta del tribunale è, quindi, chiarissima e condivisibile e consente di vedere il danno non solo con riferimento a singoli atti (di cui comunque tiene conto e di cui offre ampia disamina) ma anche nella sua proiezione dinamica lungo il periodo”.

3.2.1. La sentenza impugnata è, pertanto, sostanzialmente coerente con il riportato dictum di questa Corte, chiaramente ricavandosi dal suddetto passaggio motivazionale l’avvenuta preferenza per il criterio de quo anche in ragione del fatto della notevole anteriorità della perdita del capitale sociale della (OMISSIS) s.r.l. rispetto alla sua successiva dichiarazione di fallimento.

3.2.2. Per contro, le argomentazioni dell’odierno ricorrente rinvenibili nella censura in esame – pure a volerne sottacere i profili di inammissibilità, per violazione del principio cd. di autosufficienza, laddove si riferiscono a passi della relazione di c.t.u. o a scritture contabili, il cui contenuto nemmeno sinteticamente è stato riprodotto in ricorso (cfr. Cass., SU, n. 34469 del 2019) – si risolvono in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui il primo intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 e Cass., SU, n. 34476 del 2019).

4. Il ricorso va, in definitiva, respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità, tra le sole parti costituite, regolate dal principio di soccombenza e liquidate come in dispositivo, altresì dandosi atto, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrane giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originane o sopravvenute di esen5zione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna P.P. al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla curatela controricorrente, liquidate in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020

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