Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12340 del 10/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 10/05/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 10/05/2021), n.12340

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11270-2020 proposto da:

I.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato EVA VIGATO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistenti –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE di PADOVA, PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO

la CORTE DI CASSAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4560/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 23/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio non

partecipata del 23/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE

EDUARDO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. I.C. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 4560/2019, reiettiva del gravame da lui proposto contro la decisione del Tribunale della stessa città che, – al pari di quanto già fatto dalla Commissione territoriale – aveva respinto la sua domanda di protezione internazionale o di riconoscimento di quella umanitaria. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte, tenuto conto del racconto del richiedente, ritenuto inattendibile perchè generico e contraddittorio, nonchè della concreta situazione sociopolitica del suo Paese di provenienza (Nigeria, Edo State), ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I formulati motivi denunciano, rispettivamente:

I) “Violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e all’art. 118 disp. att. c.p.c., nullità della sentenza per motivazione apparente inesistente e nullità del procedimento – violazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo, il tutto in relazione all’art. 116 c.p.c., comma 1, al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ed al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nonchè art. 16 della Dir. n. 2013/327 UE, per avere il giudice violato i canoni legali di interpretazione degli elementi istruttori, nonchè per aver omesso l’esame di un fatto decisivo”. Viene contestato il percorso argomentativo della corte d’appello deducendosi l’inadempimento al dovere di collaborazione ufficiosa in spregio ai criteri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per carenza di istruttoria, illogicità dei criteri interpretativi e l’omesso approfondimento circa la valutazione del racconto del richiedente. Si ascrive alla corte predetta di essersi limitata a contestare genericamente l’atto di appello sostenendo che il medesimo non conteneva le allegazioni volte a porre in discussione il giudizio sulla credibilità della persona;

II) “Violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e all’art. 118 disp. att. c.p.c. nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente e nullità del procedimento, il tutto in relazione all’art. 115 c.p.c. ed al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, e art. 14, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 16 della Dir. n. 2013/327 UE, per avere la Corte omesso di valutare in modo coerente la situazione socio-politica del Paese di provenienza del ricorrente”. Viene censurato il ragionamento della corte veneziana che, argomentando in modo contraddittorio circa la sussistenza, nel Paese di origine, di rischi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, non ha riconosciuto la protezione sussidiaria. Pertanto, dovendosi valutare come verosimili i fatti narrati, circostanziati e documentati, si richiamano le censure sollevate al punto precedente che, ove accolte, imporrebbero di sussumere i fatti sotto tale fattispecie normativa;

III) “Violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e all’art. 118 disp. att. c.p.c., nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente e nullità del procedimento – violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – omesso esame di un fatto decisivo, il tutto in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 29, nonchè al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 comma 3-bis, per non avere il giudice valutato la vulnerabilità in relazione alle condizioni di vita del ricorrente allegate in giudizio”. Si lamenta che la corte lagunare ha ritenuto non sussistere una condizione di vulnerabilità tale da consentire il riconoscimento del diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari D.Lgs. n. 286 del 1998 ex art. 5, comma 6, tra l’altro sulla base di un giudizio di mancanza di credibilità affermato apoditticamente, in quanto mai valutato. La stessa corte, inoltre, omettendo di esaminare fatti decisivi, risultanti sia dal narrato che dai documenti versati in causa e, comunque, acquisiti nel corso del giudizio, non ha compiuto un’adeguata valutazione in merito alla effettiva condizione di particolare vulnerabilità del ricorrente, in comparazione con la condizione originaria ed in considerazione della particolarità de giudizio incentrato sul riconoscimento di uno status o di un permesso di soggiorno umanitario.

2. Le formulate censure, scrutinabili congiuntamente perchè connesse, sono complessivamente inammissibili.

2.1. Giova premettere che: i) come ancora recentemente ribadito da Cass. n. 22865 del 2019, la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui, applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 23 ottobre 2019), circoscrive il sindacato di questa Corte sulla parte motiva della sentenza entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014, nonchè, ex multis, Cass. n. 23828 del 2015; Cass. n. 16502 del 2017). Lo scrutinio di questa Corte è, dunque, ipotizzabile solo in caso di motivazione “meramente apparente”, configurabile, oltre che nell’ipotesi di carenza grafica” della stessa, quando essa, “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (cfr. Cass., SU., n. 22232 del 2016), in quanto affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. n. 23940 del 2017), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (cfr., Cass. n. 16111 del 2018), o perchè “perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. n. 22598 del 2018), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (cfr. Cass. n. 20721 del 2018); ii) oggetto del vizio di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 è l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio (la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014), da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017); iii) la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr., ex plurimis, Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), ma deve essere dedotta, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. Cass. n. 16700 del 2020). Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 5353 del 2007).

2.2. Fermo quanto precede, la corte distrettuale, dopo aver indicato le ragioni per cui il giudice di prime cure aveva considerato inattendibile il racconto dell’odierno ricorrente, ha innanzitutto rimarcato (cfr. pag. 5), che “l’atto di appello non contiene alcuna allegazione che ponga in discussione il giudizio negativo sulla credibilità della persona per la genericità e la contraddittorietà del racconto” e che “quasi l’intero atto di appello è riservato a considerazioni sulla condizione del Paese di origine…”. Nè le censure oggi prospettate riportano, specificamente (in violazione del principio cd. di autosufficienza del ricorso, desumibile dal combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4-6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), il tenore delle eventuali critiche mosse, con l’atto di gravame, contro tale valutazione del tribunale (ed ancor prima della Commissione Territoriale). Peraltro, le incongruenze evidenziate dai giudici di merito, come desumibili dalla sentenza impugnata (cfr. pag. 3), si riferiscono agli elementi essenziali della storia – le cause della fuga dalla Nigeria – e sono quindi sono idonee a minare la credibilità del richiedente la protezione.

2.2.1. Questa Corte, poi, ha recentemente chiarito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 3, comma 5, lett. t). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, entro i limiti come precedentemente descritti, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Dott. Cass. n. 3340 del 2019). Alcunchè, però, si rinviene, su tale specifico punto (e con il rispetto degli oneri sanciti da Cass., SU. n. 8054 del 2014, per il vizio motivazionale predetto) nelle argomentazioni delle censure suddette, le quali contestano in maniera del tutto apodittica il giudizio di merito operato dal corte distrettuale sulla coerenza interna e sull’attendibilità del racconto del richiedente, senza, peraltro, il benchè minimo confronto con le specifiche argomentazioni, sul punto, della sentenza della prima, soprattutto quanto alla mancata redazione di un puntuale motivo di gravame contro la ritenuta inattendibilità dell’ I. già in primo grado.

2.3. La medesima corte, peraltro, ha esaurientemente esaminato la situazione interna della Nigeria, richiamando plurime fonti internazionali aggiornate (analiticamente indicate) e dando atto delle informazioni specifiche da esse ricavate, escludendo che la zona della stessa di provenienza del ricorrente (Edo State) potesse configurarsi in termini di gravità quale descritta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) (la ritenuta inattendibilità del medesimo ricorrente, invece, preclude, da sola, la riconoscibilità della protezione sussidiaria di cui alle lett. a) e b), della medesima disposizione. Cfr. Cass. n. 16925 del 2018), cioè come violenza indiscriminata che raggiunge un livello tale che il richiedente, per la sua sola presenza sul territorio di cui trattasi, correrebbe un rischio effettivo di subire una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona (cfr. sentenze della Corte di Giustizia 30 gennaio 2014, nella causa C-285/12, e 17 febbraio 2009 nella causa C-465/07).

2.4. Infine, la corte veneziana ha negato il riconoscimento della protezione umanitaria sulla base, oltre che della non credibilità della storia riferita dal richiedente, dell’assenza di profili di vulnerabilità riscontrabili nella condizione di quest’ultimo dipendenti dal suo allontanamento dall’Italia (insufficiente rivelandosi, sul punto, il solo, eventuale, svolgimento di attività lavorativa in Italia), e tanto integra una valutazione fattuale, a fronte della quale l’odierno ricorrente, con il corrispondente motivo, tenta, sostanzialmente, di opporre alla ricostruzione dei fatti definitivamente sancita nella decisione impugnata una propria alternativa loro interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex multi.r, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

2.4.1. In altri termini, l’ I. incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c. può porsi, rispettivamente, solo allorchè il ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (cfr. Cass. n. 27000 del 2016). Del resto, affinchè sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. 24434 del 2016). La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (cfr. Cass. n. 11176 del 2017, in motivazione). Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), peraltro, il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti: il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati (cfr. Cass. n. 11176 del 2017).

3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2021

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