Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1234 del 20/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 20/01/2011, (ud. 25/11/2010, dep. 20/01/2011), n.1234

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27328/2007 proposto da:

S.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 1, presso lo studio dell’avvocato SPINOSO Antonino, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GRATTAROLA MASSIMO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO Luigi, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TOSI PAOLO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1574/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 24/10/2006 R.G.N. 995/06;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/11/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI con delega TOSI PAOLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

S.L. impugnò il licenziamento per riduzione del personale, intimatole da Poste italiane, dinanzi al Tribunale di Acqui Terme, che le diede ragione, perchè Poste non aveva provato che “il licenziamento comminato in quanto preso nell’ambito di un procedimento di licenziamento collettivo, sia soggetto alle norme dettate per tale caso particolare”.

La Corte d’Appello di Torino ha riformato la sentenza, respingendo la domanda, in quanto ha ritenuto che il giudice di primo grado fosse andato “ultra petita” e avesse quindi violato l’art. 112 c.p.c., avendo ricercato ed individuato vizi del licenziamento che non erano stati oggetto del ricorso.

Il ricorso è articolato in due motivi. Poste si difende con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato una memoria.

Con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e della L. n. 223 del 1991, art. 4, formulando il seguente quesito: “Incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che, in presenza di una contestazione involgente la violazione della procedura di cui all’art. 4 cit., e comunque di una contestazione relativa alla mancata allegazione alla lettera di licenziamento del contenuto obbligatorio della comunicazione di cui all’art. 4, comma 9, pronunzi l’illegittimità del recesso a causa della omissione della comunicazione di cui all’art. 4, comma 9? La ricorrente fonda la censura sulla sussistenza di due circostanze;

1) che nel ricorso introduttivo sia stata contestata in generale la violazione della procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4 e 2) che sia stata contestata la mancata allegazione alla lettera di licenziamento del contenuto obbligatorio della comunicazione di cui all’art. 4.

Quanto alla prima circostanza, la Corte di Torino ha rilevato che una censura così generica non poteva permettere di ritenere tempestivamente dedotto il vizio di mancata comunicazione di cui all’art. 4, comma 9.

Il rilievo deve essere condiviso.

Quanto alla seconda, la Corte ne ha puntualmente confutato la fondatezza. Infatti, nello spiegare perchè ha ritenuto che il primo giudice sia andato “ultra petita”, ha ricostruito le violazioni della procedura denunziate con il ricorso introduttivo (pag. 5 della sentenza), rilevando che i vizi denunziati attenevano alla procedura ex art. 4, comma 3, e non anche alla comunicazione conclusiva della procedura di cui al comma 9.

La Corte ha poi puntualizzato che non può convenirsi con la difesa della ricorrente laddove afferma che avendo essa dedotto in ricorso “che alla lettera di licenziamento non era stata allegata la esplicita indicazione delle modalità di attuazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare” aveva inteso riferirsi alla violazione di cui all’art. 4, comma 9. Ciò perchè il comma 9, dell’art. 4 non prevede affatto l’obbligo di allegare i criteri alla lettera di licenziamento, ma impone al datore di inviare tale allegazione all’Ufficio regionale del lavoro e alle organizzazioni sindacali.

Inoltre il Tribunale non ha dichiarato illegittimo il licenziamento in conseguenza della violazione dell’obbligo (inesistente) di tale allegazione alla lettera di recesso, bensì per non aver dimostrato che la signora fosse stata inserita nell’elenco dei lavoratori collocati in mobilità e perciò per un ipotetico vizio della procedura ancora diverso da quello che la ricorrente assume di aver tempestivamente denunziato.

Deve convenirsi quindi con la Corte d’Appello sul fatto che il ricorso indica alcune violazioni della procedura ex art. 4 e che il Tribunale ha dichiarato nullo il licenziamento per violazioni diverse. Il vizio di ultrapetizione effettivamente sussiste. Con il secondo motivo si denunzia un “vizio di motivazione su di un punto decisivo della controversia”. Il motivo è inammissibile perchè l’art. 360 c.p.c., n. 5, ammette questo tipo di censura solo quando il vizio di motivazione concerna la sussistenza di un “fatto” controverso e decisivo. Nel ricorso per cassazione tale fatto deve essere specificato e deve essere spiegato perchè è controverso e perchè è decisivo. Nel caso in esame la censura sulla motivazione non risponde a questi requisiti. Si esprime un dissenso sulle argomentazioni della Corte, senza precisare qual è il fatto oggetto della censura, nè tanto meno spiegare perchè sarebbe controverso e decisivo.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Le spese devono essere poste a carico della parte che perde la causa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione, in favore della controparte, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 30,00, nonchè Euro 2.000,00 per onorari, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2011

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