Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12338 del 15/06/2016


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Cassazione civile sez. lav., 15/06/2016, (ud. 02/03/2016, dep. 15/06/2016), n.12338

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24716-2014 proposto da:

CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSITENZA A FAVORE DEI DOTTORI

COMMERCIALISTI C.N.P.A.D.C., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI 47,

presso lo studio dell’avvocato ANGELO PANDOLFO, che la rappresenta

e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.A., Z.C., D.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 792/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 16/04/2014 R.G.N. 86/11;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2016 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito l’Avvocato SILVIA LUCANTONI per delega verbale avvocato

ANGELO PANDOLFO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 792/2013, depositata il 16 aprile 2014, la Corte di appello di Venezia, pronunciando nelle cause riunite promosse da B.A., D.P. e Z.C., confermava le sentenze del Tribunale di Belluno nelle parti in cui, accogliendo le domande dei ricorrenti, avevano accertato l’illegittimità del contributo di solidarietà applicato, con delibera n. 4/2008, dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti (CNPADC), per il quinquennio 1/1/2009 – 31/12/2013, sui trattamenti pensionistici agli stessi erogati.

La Corte osservava, a sostegno della propria decisione, come dal L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 12, tanto nel testo originario quanto nel testo modificato dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 763, (legge finanziaria 2007), e in particolare dal richiamo presente (seppure con formulazione diversa) in entrambe le versioni al principio pro rata temporis, dovesse desumersi l’applicabilità della disciplina ivi prevista ai soli iscritti alla Cassa in attività e non anche ai soggetti che, come gli appellati, avendo maturato il diritto a pensione, risultavano titolari di diritti quesiti.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la CNPADC, affidandosi a plurimi motivi; le controparti sono rimaste intimate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo (cfr. ricorso, “motivi”, par. 2) la ricorrente denuncia violazione di norme di diritto in relazione alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, come modificato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, deducendo che, nella sua nuova formulazione, la norma attribuisce definitivamente autonomia normativa alle casse di previdenza privatizzate conferendo alle stesse il potere di adottare tutti i provvedimenti necessari alla salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine e così anche di adottare provvedimenti, come il contributo di solidarietà, destinati ad incidere su diritti già maturati quali sono quelli dei pensionati; nè poteva ritenersi senza rilievo a tal fine l’immutato carattere pubblicistico dell’attività svolta dagli enti di previdenza e assistenza per le categorie professionali, a seguito della loro trasformazione in soggetti di diritto privato, tale funzione pubblica legittimando gli enti ad adottare tutti i provvedimenti necessari per garantire la tenuta finanziaria dei regimi previdenziali dagli stessi erogati e ciò anche nella prospettiva di tutela delle categorie degli attivi e dei futuri iscritti in coincidenza del passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo.

Con il secondo motivo (par. 3) la ricorrente denuncia violazione di norme di diritto in relazione al D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, art. 2, commi 1 e 2, deducendo che, alla luce dell’autonomia regolamentare riconosciuta da tali disposizioni agli enti privatizzati, e diretta a salvaguardare nel tempo l’equilibrio economico-finanziario delle loro gestioni, doveva riconoscersi la facoltà di imporre un contributo di solidarietà sulle pensioni già liquidate; nel quadro così delineato risultava evidente come la deliberazione n. 4/2008 costituisse senz’altro, come previsto nella medesima, un provvedimento in grado di “assicurare maggiore stabilità finanziarla al sistema previdenziale” della Cassa “determinando un miglioramento, per quanto contenuto, della situazione finanziaria” della stessa “e concorrendo – insieme a tutte le altre entrate – alla possibilità della Cassa di far fronte non solo agli oneri attuali e più vicini, ma anche a quelli più lontani in cui varierà il rapporto attivi/pensionati”.

Con il terzo motivo (par. 4) la ricorrente deduce violazione di norme di diritto, in relazione all’art. 38 Cost., comma 2, ribadendo la necessità che le Casse dei liberi professionisti assicurino, a tutti i soggetti appartenenti alle categorie tutelate, l’effettivo godimento dei diritti previsti da tale norma.

Con il quarto motivo (par. 5) la ricorrente denuncia violazione di norme di diritto in relazione all’art. 2 Cost., avendo la stessa Corte costituzionale (con la sentenza n. 173/1986) evidenziato la necessità, nel passaggio da un sistema mutualistico ad un sistema solidaristico, di coniugare il principio di solidarietà stabilito da tale norma con quello di gradualità e di equità fra le generazioni.

Con il quinto motivo (par. 6) la ricorrente denuncia la violazione di norme di diritto in relazione all’art. 3 Cost., osservando che la conferma della tesi prospettata dalla Corte di appello comporterebbe uno squilibrio a tutto danno dei giovani iscritti rispetto ai pensionati, beneficiari del più vantaggioso sistema reddituale, e richiedendosi invece, alla stregua della norma costituzionale, una più equa distribuzione di sacrifici tra gli iscritti attivi ed i pensionati.

Si rileva preliminarmente che la controversia esaminata dalla Corte di appello ha per oggetto la delibera n. 4 approvata nella riunione del 28 ottobre 2008 dall’Assemblea del delegati della CNPADC e, pertanto, l’applicazione del contributo di solidarietà per il quinquennio 1/1/2009 – 31/12/2013.

Ciò premesso, il ricorso risulta infondato, alla luce della giurisprudenza consolidata di questa Corte di legittimità.

In particolare, si fa richiamo, fra le molte conformi, alla recente sentenza 8 gennaio 2015, n. 53, che ha esaminato le stesse censure svolte dalla CNPADC con il ricorso ora in esame.

I motivi sopra esposti devono essere esaminati congiuntamente, in quanto fra di loro strettamente connessi.

Giova anzitutto ricordare che la L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 12, nella sua nuova formulazione, quale risulta dalle modifiche introdotte nel 2006, nella cui vigenza è stata emanata la disposizione regolamentare oggetto di causa e che ne costituisce quindi la base giuridica e il parametro di legittimità, sanciva testualmente: “Nel rispetto dei principi di autonomia affermati dal D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509 e dal D.Lgs. 10 febbraio 1996, n. 103, e con esclusione delle forme di previdenza sostitutive dell’assicurazione generale obbligatoria, allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall’art. 2, comma 2, del suddetto D.Lgs. n. 509 del 1994, la stabilità delle gestioni previdenziali di cui ai predetti decreti legislativi è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore ai trenta anni. (…) In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dall’art. 2, comma 2, sono adottati dagli enti medesimi i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni”.

Risultano, quindi, richiamate, implicitamente o esplicitamente, le disposizioni dettate dal D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, art. 2, secondo il quale: “1. Le associazioni o le fondazioni hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell’attività svolta. 2. La gestione economico – finanziaria deve assicurare l’equilibrio di bilancio mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale…”.

Il necessario rispetto del principio del pro rata temporis contenuto nella ricordata L. n. 335 del 1995 (art. 3, comma 12) indica chiaramente che i provvedimenti adottandi dalle Casse di previdenza “allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio” devono garantire l’intangibilità degli effetti derivanti, per gli assicurati le cui prestazioni pensionistiche non siano state ancora acquisite, dalle quote di contribuzione già versate e, quindi, dalla misura delle prestazioni potenzialmente maturate in itinere; dal che discende che, a fortiori, non possono essere incise le prestazioni pensionistiche ormai in atto, siccome compiutamente maturate ed erogate al momento degli interventi correttivi. Questa Corte, in fattispecie simile, ha dei resto già avuto modo di puntualizzare che il diritto soggettivo alla pensione (che per il lavoratore subordinato o autonomo matura quando si verifichino tutti i requisiti) può essere limitato, quanto alla proporzione fra contributi versati ed ammontare delle prestazioni, dalla legge, la quale può disporre in senso sfavorevole anche quando, maturato il diritto, siano in corso di pagamento i singoli ratei, ossia quando il rapporto di durata sia nella fase di attuazione, essendo però necessario che la legge sopravvenuta non oltrepassi il limite della ragionevolezza, ossia che non leda l’affidamento dell’assicurato in una consistenza della pensione proporzionale alla quantità dei contributi versati; tale “…limite costituzionale imposto al legislatore induce a maggior ragione a ritenere contrario al principio di ragionevolezza (art. 3 Cost., comma 2) l’atto infralegislativo, amministrativo o negoziale, con cui l’ente previdenziale debitore riduca unilateralmente l’ammontare della prestazione mentre il rapporto pensionistico si svolge, ossia non si limiti a disporre per il futuro con riguardo a pensioni non ancora maturate”; è stato pertanto enunciato il principio secondo cui “una volta maturato il diritto alla pensione d’anzianità, l’ente previdenziale debitore non può con atto unilaterale, regolamentare o negoziale, ridurne l’importo, tanto meno adducendo generiche ragioni finanziarie, poichè ciò lederebbe l’affidamento del pensionato, tutelato dal capoverso dell’art. 3 Cost., nella consistenza economica del proprio diritto soggettivo” (cfr., fra le molte, Cass. n. 11792/2005; n. 25029/2009; n. 25212/2009; n. 20235/2010; n. 8847/2011; n. 13067/2012; n. 1314/2014).

A tale principio, cui si intende qui dare continuità, si è sostanzialmente attenuta la Corte territoriale.

Al riguardo occorre ulteriormente sottolineare che lo ius superveniens, di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, siccome modificativo e non interpretativo della normativa precedente, non può essere invocato in relazione a provvedimenti che, come quello per cui è causa, hanno inciso su pensioni già in essere al momento della loro emanazione, con la conseguenza che la previsione ivi contenuta, secondo cui “sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al presente comma ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della presente legge”, non sta ad indicare che tali atti, sol perchè già adottati, siano legittimi, ma si limita a garantirne la perdurante efficacia anche alla luce delle modificazioni intervenute, sempre che gli stessi siano stati assunti nel rispetto della legge; il che, quanto al caso di specie, deve essere escluso, poichè la L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, permette agli enti previdenziali privatizzati – attraverso la variazione delle aliquote contributive, la riparametrazione dei coefficienti di rendimento e di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico – di variare gli elementi costitutivi del rapporto obbligatorio che li lega agli assicurati, ma non consente agli stessi di sottrarsi in parte all’adempimento, riducendo l’ammontare delle prestazioni attraverso l’imposizione di contributi di solidarietà.

Pertanto la “salvezza” degli atti e delle deliberazioni già adottati, disposta dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, riguarda il primo genere di provvedimenti, specificamente ed eventualmente difformi da quelli previsti dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, ma non sana gli atti di riduzione delle prestazioni.

Nè il quadro normativo come ricostruito, ostativo all’imposizione di un contributo forzoso di solidarietà sulle pensioni, si pone in contrasto, contrariamente a quanto eccepito dalla Cassa, con l’art. 38 Cost., comma 2, perchè gli enti previdenziali privatizzati possono mettere in atto, come già detto, le più opportune iniziative per assicurare nel tempo la tutela previdenziale/pensionistica degli iscritti, con la salvaguardia però dell’integrità delle pensioni già maturate e liquidate.

Non incide, d’altra parte, sulla soluzione della questione in esame il recente intervento legislativo (L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 488), che pone come condizione di legittimità degli atti e delle deliberazioni, adottati dagli enti di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, che essi siano “finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo temine”, ciò che sicuramente non costituisce un connotato del contributo in esame, proprio perchè “straordinario” e limitato nel tempo.

PQM

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 2 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2016

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