Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12333 del 17/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 17/05/2017, (ud. 05/12/2016, dep.17/05/2017),  n. 12333

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16281-2016 proposto da:

E.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA, 53,

presso lo studio dell’avvocato ANTONELLO CIERVO, che la rappresenta

e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 2301/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

24/03/2016, depositata il 13/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. CARLO DE CHIARA;

udito l’Avvocato Antonello Ciervo difensore del ricorrente che si

riporta agli atti e solleva la incostituzionalità.

Fatto

PREMESSO

Che è stata depositata relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., nella quale si legge quanto segue:

“1. – La Corte d’appello di Roma, respingendo il gravame della sig.ra E.N., cittadina del Marocco, ha confermato la decisione del Tribunale di rigetto del ricorso proposto dalla medesima avverso il diniego di riconoscimento della protezione internazionale da parte della competente Commissione territoriale.

L’appellante aveva dichiarato di essere vittima, da anni, di abusi e violenze da parte del marito, proseguiti anche dopo il divorzio ottenuto nel (OMISSIS); che l’ex marito era stato punito dalla giustizia marocchina, ma con una sanzione blanda (tre mesi di reclusione con sospensione condizionale della pena); che in caso di rientro in patria sarebbe stata esposta nuovamente ai medesimi abusi e violenze.

La Corte d’appello ha affermato che la vicenda della sig.ra E. non consentiva il riconoscimento della protezione internazionale, trattandosi di episodi confinati nell’ambito del rapporto con l’ex coniuge e non potendo sostenersi che lo stato di origine della signora sia rimasto del tutto inerte o che non appresti in simili occasioni forme di tutela della donna, giacchè all’appellante era stato consentito il divorzio e l’ex marito era stato condannato in sede penale a seguito di denuncia sporta dalla stessa, accompagnata, nell’occasione, dai genitori, segno dell’appoggio ricevuto dall’ambiente familiare.

La sig.ra A. ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi.

L’Amministrazione intimata non si è difesa.

2. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione di norme di diritto.

La ricorrente premette che la protezione offerta dalle autorità marocchine nel suo come in analoghi casi non è sufficiente, come emerge anche da fonti puntualmente citate nel ricorso, e che l’ordinamento marocchino non prevede specifiche misure di tutela della vittima, quali l’allontanamento e/o il divieto di avvicinamento dell’uomo nei confronti della propria moglie.

Sostiene, quindi, che la sua vicenda va qualificata come forma di violenza domestica ai sensi della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 27 giugno 2013, n. 77. Detta Convenzione prevede in particolare, all’art. 60: “Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che la violenza contro le donne basata sul genere possa essere riconosciuta come una forma di persecuzione ai sensi dell’art. 1, A (2) della Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e come una forma di grave pregiudizio che dia luogo a una protezione complementare/sussidiaria”. Norma, questa, vincolante già sul piano dell’interpretazione della normativa nazionale.

La ricorrente insiste, pertanto, per il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. b), essendo esposta, in caso di rientro in patria, al rischio di subire un danno grave sotto forma di trattamento inumano o degradante.

2.1. – Il motivo è fondato.

Ai sensi dell’art. 3, lett. b), della Convenzione sopra richiamata, “l’espressione “violenza domestica” designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”. La vicenda della ricorrente rientra, dunque, pienamente nelle previsioni della Convenzione stessa.

Corretta è, inoltre, la tesi sostenuta nel ricorso, che riconduce tale forma di violenza all’ambito dei trattamenti inumani o degradanti considerati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), in base ad una interpretazione che, per un verso, non trova ostacolo letterale nell’ampia dizione normativa e, per altro verso, è imposta dal richiamato art. 60, comma 1, u.c. della Convenzione.

Era dunque necessario che la Corte d’appello verificasse in concreto se, pur in presenza di minaccia di danno grave ad opera di un “soggetto non statuale”, come l’ex marito della ricorrente, lo stato marocchino sia in grado di offrire a quest’ultima adeguata protezione (art. 5, lett. c) D.Lgs. cit.).

A tale compito invece la Corte d’appello si è sostanzialmente sottratta, avendo trascurato qualsiasi approfondimento della situazione del paese di provenienza della ricorrente – obbligatorio ai sensi dell’art. 3, comma 3, lett. a) D.Lgs. cit. e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3) – come denunciata dalla ricorrente stessa, limitandosi invece a valorizzare, sul punto, circostanze di per sè non indicative di una adeguata protezione, quali la ricordata condanna penale dell’ex marito e l’ottenimento del divorzio, o del tutto estranee a forme di protezione statale, quale l’appoggio della famiglia di origine della ricorrente.

3. – Il secondo motivo, espressamente subordinato, nonchè il terzo e il quarto, logicamente subordinati in quanto attinenti al riconoscimento della meno incisiva protezione umanitaria, sono assorbiti.”;

che tale relazione è stata comunicata agli avvocati delle parti costituite;

che non sono state presentate memorie.

Diritto

CONSIDERATO

Che il Collegio condivide le considerazioni svolte nella relazione sopra trascritta;

che pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si darà carico dell’approfondimento di cui al penultimo e all’ultimo capoverso della relazione sopra trascritta e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Vibo Valentia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2017

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