Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12332 del 15/06/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 12332 Anno 2015
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 21120-2013 proposto da:
– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE C.F. 80078750587, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n.

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presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e
2015
806

difeso dagli avvocati MAURO RICCI,

CLEMENTINA PULLI,

EMANUELA CAPANNOLO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

t

contro

CUTULI CONCETTA;

Data pubblicazione: 15/06/2015

- .intimata

avverso la sentenza n. 1392/2013 del

TRIBUNALE di

REGGIO CALABRIA, depositata il 05/07/2013

R.G.N.

1669/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

MANNA;

udito l’Avvocato RICCI MAURO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale

Dott. MARCELLO MATERA i che ha concluso per

raccoglimento del ricorso.

udienza del 17/02/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO

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R.G. n. 21120/13
Ud. 17.2.15
INPS c. Cutuli
Estensore: doti. Antonio Manna

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 5.7.13 il Tribunale di Reggio Calabria, all’esito del giudizio di
merito conseguente all’accertamento tecnico preventivo ex art. 445 bis c.p.c., condannava

l’INPS a pagare a Concetta Cutuli l’indennità di accompagnamento a decorrere dal gennaio
2011.
Per la cassazione della sentenza ricorre l’INPS ex art. 111 Cost. (cosi erroneamente
qualificando quello che, in realtà, va inquadrato come normale ricorso per cassazione ex
art. 360 c.p.c.) affidandosi a due motivi.
L’intimata è rimasta tale.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorso lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 100,
112 e 445 bis commi 4° e 6° c.p.c., per avere la sentenza impugnata pronunciato condanna
dell’INPS a pagare in favore dell’odierna intimata l’indennità di accompagnamento anziché
limitarsi ad accertarne il mero requisito sanitario, dopo che l’INPS aveva presentato una
propria dichiarazione di dissenso circa la decorrenza del requisito medesimo (6.10.12
anziché 1.1.11 come stabilito dal CTU) all’esito dell’ATP ex art. 445 bis c.p.c. promosso
dalla Cutuli medesima.
1.1. Il motivo è infondato.
Si premetta che la sentenza emessa nel giudizio in cui si contestano le conclusioni del
CTU non è impugnabile in via di ricorso straordinario ex art. 111 Cost., ma rieorribile per
cassazione con l’ordinario strumento processuale di cui all’art. 360 c.p.c., il cui comma 1°
espressamente assoggetta a ricorso per cassazione non solo le sentenze d’appello, ma anche
quelle pronunciate in unico grado, come quella in esame, atteso che l’art. 445 ult. co . c.p.c.
dichiara inappellabili le sentenze emesse nel giudizio di cui al comma precedente.
Dunque, quello proposto dall’INPS va correttamente qualificato come ricorso ordinario
per cassazione ex art. 360 c.p.c. (di cui presenta i requisiti di forma e di sostanza).
Ciò detto, osserva questa Corte Suprema che, ex art. 445 bis c,o. 6° c.p.c., presentato l’atto
di dissenso rispetto alle conclusioni del CTU viene poi introdotto un giudizio di cognizione
destinato a concludersi con sentenza (inappellabile).
Sostiene l’INPS che tale sentenza deve avere ad oggetto esclusivamente l’esistenza o
meno del requisito sanitario, ma rispetto a tale doglianza (a prescindere da ogni altra

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R.G. n. 21120/13
Ud 17.2.15
INPS c. Cutuli
Estensore: dott. Antonio Manna

considerazione circa l’esatta interpretazione dell’oggetto del giudizio di cui al co. 6° del cit.
art. 445 bis c.p.c.) non vi è interesse ex art. 100 c.p.c., poiché neppure l’INPS afferma nel
proprio ricorso l’esistenza di cause ostative all’attribuzione dell’indennità in discorso (e, in

effetti, in sede di merito ha contestato l’accertamento solo da un punto di vista sanitario e
solo per quel che concerne la decorrenza dell’accertato stato invalidante).
Invero, l’interesse ad agire si identifica non in una mera aspirazione della parte
all’esattezza tecnico-giuridica del provvedimento, ma nell’interesse a conseguire un
Concreto vantaggio, cioè una situazione pratica più utile per l’impugnante rispetto a quella
esistente, id est sussiste un interesse concreto solo ove dalla denunciata violazione sia
derivata una lesione dei diritti che si intendono tutelare e nel nuovo giudizio possa
ipoteticamente raggiungersi un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche
praticamente favorevole (cfr. Cass. S.U. n. 42 del 13.12.95, dep. 29.12.95; Cass. n.
6301197; Cass. n. 514198; Cass. Sez. Il n. 15715 del 28.5.2004, dep. 8.6.2004; Cass. Sez. I
n. 47496 del 17.10.2003, dep. 11.12.2003, nonché numerose altre -analoghe), oltre che
legittimamente tale, non potendosi strumentalizzare l’interesse ad agire al conseguimento di
vantaggi contra ius.
Nel caso in esame, invece, poiché PlNPS non nega che l’intimata abbia diritto
all’indennità di accompagnamento (avendo nella fase di merito contestato solo la
decorrenza del requisito sanitario, censura che è stata poi disattesa dal Tribunale con
pronuncia incensurabile in questa sede), un’ipotetica cassazione della sentenza soltanto là
dove ha condannato l’istituto ad erogare la prestazione non gli arrecherebbe alcun pratico e
legittimo beneficio (tale non essendo una mera ipotetica dilazione di fatto nel pagamento di
quanto per legge dovuto).

2. Con il secondo motivo il ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 445
bis c.p.c. conuni 4° e 6°, 195 e 96 co. 3 0 c.p.c., per avere la gravata pronuncia erroneamente
ritenuto tardive le contestazioni mosse dall’INPS solo nel proprio atto introduttivo del
giudizio e non anche nella dichiarazione di dissenso prevista dal comma 6° dell’art. 445 bis
c.p.c., per l’effetto condannando l’istituto al risarcimento ex art. 96 co. 3° c.p.c. chiesto da
Concetta Cutuli: in tal modo — conclude il ricorso – il Tribunale ha trascurato che la
mancata formulazione dei motivi della contestazione è sanzionata a pena di inammissibilità
solo avuto riguardo al ricorso introduttivo del giudizio.

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RG. n. 21120/13
Ud. 17.2.15
INPS e. Cutuli
Estensore: doti. Antonio Manna
2.1. 11 motivo è fondato, essendo conforme all’inequivocabile tenore letterale del co. 6°
del cit. art. 445 bis c.p.c., che così recita:

“Nei casi di mancato accordo la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni

del consulente tecnico dell’ufficio deve depositare, presso il giudice di cui al comma primo,
entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di
dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i
motivi della contestazione.”.
Invece, il co. 4° del medesimo art. 45 bis c.p.c. (“Il giudice, terminate le operazioni di

consulenza, con decreto comunicato alle parti, fissa un termine perentorio non superiore a
trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in
cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio.”),
concernente l’eventuale dichiarazione di dissenso, non menziona alcun onere di
specificazione dei relativi motivi e, men che meno, sotto conuninatoria di inammissibilità.
Dunque, deve convenirsi che la legge prevede a pena d’inammissibilità la specificazione
delle ragioni del dissenso non all’atto della sua presentazione, ma in quello, successivo,
della proposizione del ricorso introduttivo del giudizio, il che l’INPS ha ritualmente fatto
nel caso in esame.
Oltre al tenore letterale della norma milita in tal senso anche la scansione logicotemporale dei momenti dell’iter procedurale successivo al deposito della relazione del
CTU: dopo la dichiarazione di dissenso non è prevista interlocuzione alcuna né del giudice
né dell’altra parte (cui quest’ultima provvederà nel termine previsto dal co. 1° dell’art. 416
c.p.c.), di guisa che sarebbe processualmente inutile anticipare la specificazione delle
ragioni del dissenso già alla presentazione della relativa dichiarazione, ancor più se si
considera che ad essa potrebbe anche non seguire l’introduzione del giudizio cognitivo
(eventualmente perché, re melius perpensa, la parte potrebbe rinunciarvi).
In sintesi, l’impugnata sentenza ha condannato l’INPS per responsabilità ex art. 96 co. 3°
c.p.c. in base ad un presupposto di diritto (un presunto onere di anticipazione delle ragioni
del dissenso) erroneamente ravvisato.
3. In conclusione, deve rigettarsi il primo motivo di ricorso ed accogliersi il secondo, con
conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e
dichiarazione che non è dovuto dall’INPS il risarcimento ex art. 96 c.p.c.

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R.G. n. 21120/13
Ud 17.2.15
INPS c. Cutuli
Estensore: doti. Antonio Manna

parziale accoglimento del ricorso consiglia di compensare le spese del presente giudizio
di legittimità.

P.Q.M.
rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata in
relazione al motivo accolto e dichiara non dovuto il risarcimento ex art. 96 c.p.c.
Compensa le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 17.2.15.

La Corte

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