Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12330 del 23/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/06/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 23/06/2020), n.12330

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

ITALPUBLIC s.r.l. in liquidazione, in persona del l.r.p.t., rappr. e

dif. dall’avv. Luigi Bellazzi, elett. dom. in Roma, piazzale Clodio

n. 56, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Pannuti, come da procura

in calce all’atto;

– ricorrente –

Contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, in persona del curatore

fallim. p.t.

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI VERONA

– intimati-

BANCO BPM s.p.a., in persona di proc. spec., rappr. e dif. dall’avv.

Carlo d’Errico, elett. dom. presso il suo studio in Roma, via

Tommaso Salvini n. 55, come da procura notaio Laura Curzel di Verona

– costituito-

per la cassazione della sentenza App. Venezia 31.3.2017, n.

716/2017, R.G. 3383/2016, rep. 805/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 26 febbraio 2020 dal Consigliere relatore Dott. Massimo

Ferro.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione ((OMISSIS)) impugna la sentenza App. Venezia 31.3.2017, n. 716/2017, R.G. 3383/2016, rep. 805/2017, che ha rigettato il reclamo avverso la sentenza di fallimento Trib. Verona 30.6.2016, così ritenendo sussistenti i presupposti soggettivi ed oggettivi della contestata fallibilità ed immune da censura l’istruttoria;

2. per la corte risultavano: a) contraddittoria l’eccezione di mancanza d’interesse ad agire della banca istante (Banco BPM s.p.a.), doglianza comunque esaminata nel giudizio di reclamo e non coerente con la legittimazione in quanto tale che conduce il creditore a chiedere il fallimento non tanto per essere individualmente pagato, bensì per sottoporre a liquidazione concorsuale il proprio debitore; b) infondata la censura circa il mancato o errato esercizio dei poteri d’ufficio, in realtà dipendenti dal tenore delle allegazioni delle parti e assoggettati a valutazione discrezionale sull’effettiva utilità dei mezzi attivati; c) infondata la censura sulla mancata applicazione del principio di non contestazione, erroneamente affidato alla valenza delle indicazioni contabili sull’attivo ma senza chiarimenti sullo stato di liquidità, necessario per far fronte ai pagamenti; d) acclarata l’insolvenza, per le contraddizioni – non spiegate – del bilancio 2015, in cui erano cresciute voci dell’attivo rispetto all’anno precedente, che si era invece chiuso in perdita, conseguendone un giudizio di inattendibilità della scrittura; e) estranea infine al giudizio la questione dell’ipotizzato concorso della banca nella causazione della decozione; f) sussistenti i gravi motivi anche per la condanna del legale rappresentante ex art. 94 c.p.c., giustificati dalla assoluta e manifesta infondatezza dei principali motivi di reclamo e dalla reiterazione delle censure di diniego dell’insolvenza, invece conclamata;

3. con il ricorso, in tre motivi, si contesta la decisione

denunciando violazione: a) degli artt. 112,115-116 c.p.c. e art. 2697 c.c., anche come vizio di motivazione, per avere la corte errato quanto alla denunciata omissione di pronuncia su fatti non contestati ed afferenti alle risultanze patrimoniali della società; b) dell’art. 111 Cost., con nullità della sentenza, laddove il giudice, non motivando, avrebbe acritica mente accolto le tesi delle parti avverse; c) ancora dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 94 c.p.c., non avendo la corte motivato la condanna alle spese in solido a carico anche del liquidatore.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. il primo motivo è inammissibile, per plurimi profilie per altri

non fondato; esso, per un verso, si esprime con critiche del tutto generiche e contraddittorie ove assomma la violazione di legge e, al contempo, il vizio di motivazione (Cass. 26874/2018); in secondo luogo, nella materia, tuttora contrassegnata da pacifici profili pubblicistici (l’interesse al pronto accertamento dell’insolvenza così da instaurarne la più appropriata regolazione concorsuale), opera il principio, prevalente rispetto ad una piana applicazione del regime di non contestazione, per cui “nei giudizi in cui trova applicazione la riforma di cui al D.Lgs. n. 169 del 2007, che ha modificato l’art. 18 L. Fall. denominando l’impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento come “reclamo”, in luogo del precedente “appello”, questo mezzo, in coerenza con la natura camerale dell’intero procedimento, è caratterizzato, per la sua specialità, da un effetto devolutivo pieno, non soggetto ai limiti previsti, in tema di appello, dagli artt. 342 e 345 c.p.c., pur attenendo a un provvedimento decisorio, emesso all’esito di un procedimento contenzioso svoltosi in contraddittorio e suscettibile di acquistare autorità di cosa giudicata” (Cass. 8227/2012);

2. circa la distribuzione dell’onere della prova tra le parti in

sede di istruttoria prefallimentare, è stato inoltre ampiamente chiarito che l’art. 1 L. Fall., comma 2, pone innanzitutto a carico del debitore l’onere di provare di essere esente da fallimento, così gravandolo della dimostrazione del non superamento congiunto dei parametri ivi prescritti, “mentre residua in capo al tribunale un potere di indagine officiosa finalizzato ad evitare la pronuncia di fallimenti ingiustificati, che si esplica nell’acquisizione di informazioni urgenti (art. 15 L. Fall., comma 4), nell’utilizzazione dei dati dei ricavi lordi in qualunque modo essi risultino (e, dunque, a prescindere dalle allegazioni del debitore: art. 1 L. Fall., comma 2, lett. b,) e nell’assunzione dei mezzi di prova officiosi ritenuti necessari nel giudizio di impugnazione ex art. 18 L. Fall. Tale ruolo di supplenza, tendendo a colmare le lacune delle parti, è necessariamente limitato ai fatti da esse dedotti quali allegazioni difensive, ma non è rimesso a presupposti vincolanti” in quanto esso postula “una valutazione del giudice di merito circa l’incompletezza del materiale probatorio e l’individuazione di quello utile alla definizione del procedimento, nonchè circa la sua concreta acquisibilità e rilevanza decisoria, sicchè, trattandosi di una facoltà necessariamente discrezionale, il mancato esercizio dei poteri istruttori ufficiosi da parte del giudice non determina l’illegittimità della sentenza e, ove congruamente motivato, non è sindacabile in cassazione” (Cass. 8965/2019, 24721/2015); proprio la dubitata attendibilità delle risultanze contabili depositate dalla società è stata alla base della alternativa lettura del dato ad opera del giudice di merito che si è in tal senso attivato;

3. il secondo motivo è inammissibile posto che con esso, al di là della rubrica, si censura – in quanto meramente non condivisa – una motivazione ampiamente ricognitiva della criticità dei dati di bilancio 2015, che, ricostruiti alla luce di parametri di attualità ed effettività, hanno condotto la corte a dubitare della eccedenza dell’attivo sul passivo anche per la non dimostrata evoluzione virtuosa delle poste rianalizzate e la contraddizione con i dati del penultimo esercizio; in ogni caso, opera in tema il principio per cui “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. s.u. 8053/2014);

4. quanto al terzo motivo, per la sua inammissibilità devono essere richiamati sia i principi menzionati al paragrafo precedente in punto di limiti del sindacato sulla motivazione, sia la correttezza del quadro giustificativo della condanna emessa anche ai sensi dell’art. 94 c.p.c.; per essa, la corte veneziana ha illustrato i ‘gravi motivì, specificati invero, in via preliminare, nella “assoluta e manifesta infondatezza” sui punti del reclamo quali il difetto di interesse ad agire della banca (perchè, nel chiedere la dichiarazione d’insolvenza e denunciare l’infravalenza dell’attivo, avrebbe contraddittoriamente messo in risalto l’impossibilità di perseguire una prospettiva satisfattoria, avendo il giudice contrapposto l’esigenza alla regolazione concorsuale della decozione del debitore), la violazione del contraddittorio (malamente dolendosi dell’impiego discrezionale dei poteri d’ufficio e per il loro ancoramento alla necessità di comprendere, in modo utile all’istruttoria, i fatti allegati e contestati), il concorso causale della banca nella insolvenza (ragione d’impugnazione erroneamente invocata nel giudizio di cui all’art. 18 L. Fall.); dall’altro lato, la stessa corte ha ritenuto integrati i `gravi motivì nell’additiva condizione di persistenza impugnatoria nonostante la univoca situazione d’insolvenza, attestata dalla conclamata impossibilità di pagare i debiti, quale emersa dall’istruttoria; si tratta di ragioni, complessivamente intese, che rispecchiano l’indirizzo, già fissato da Cass. s.u. 5398/1998, Cass. 20878/2010, Cass. 24143/2018, per cui non è il fatto in sè dell’impugnazione, ovviamente, a fondare la citata condanna solidale, bensì una più ampia condotta, come nella specie, nella quale la corte di merito, con motivazione non sindacabile in questa sede e per i limiti ricordati dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ha ravvisato una combinazione trasgressiva della lealtà e probità ex art. 88 c.p.c., e carente della normale prudenza ex art. 96 c.p.c., comma 2, così realizzando l’esercizio di un “potere del giudice di condannare, per gravi motivi, il rappresentante (sostanziale) o il curatore della parte alle spese dell’intero processo o di singoli atti anche indipendentemente da una specifica richiesta della controparte, giacchè inerisce pur sempre al potere – dovere del giudice di regolare le spese processuali sostenute dalle parti con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, secondo quanto previsto dall’art. 91 c.p.c.” (Cass. 3977/2003);

5. il ricorso va pertanto rigettato; non viene resa una pronuncia

di condanna alle spese, poichè l’atto difensivo della banca si è limitato alla mera costituzione in giudizio; si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, giusta l’art. 13 cit., comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020

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