Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1233 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. I, 21/01/2021, (ud. 13/10/2020, dep. 21/01/2021), n.1233

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15010/2019 proposto da:

K.S., elettivamente domiciliato in Fermo, Via G. Anelli, nn.

22/24, presso lo studio dell’Avv. Monia Tomassini, che lo

rappresenta e lo difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il giorno

11/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/10/2020 da Dott. ACIERNO MARIA.

 

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Ancona ha rigettato la domanda di protezione internazionale ed umanitaria proposta da K.S., nato in (OMISSIS), per le ragioni che seguono:

– Il richiedente ha rilasciato dichiarazioni che, anche laddove credibili, concernono esclusivamente la preoccupazione di essere contagiato dal virus Ebola. Ne consegue l’infondatezza del timore di subire atti persecutori diretti ed attuali così come definiti dal combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 7.

– In merito alla mancata concessione della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), non sono emersi elementi sufficienti a comprovare il rischio di subire torture o altre forme di trattamenti inumani o degradanti, tenuto conto che nello Stato di provenienza sono presenti istituzioni in grado di fornire adeguata protezione in caso di pericolo effettivo.

Tantomeno è risultata integrata l’ipotesi di danno grave di cui dell’art. 14, lett. c), D.Lgs. cit.. Invero, alla luce delle numerose fonti internazionali consultate (pag. 2-3 del provvedimento impugnato), la Guinea non è caratterizzata da un livello di violenza indiscriminata, derivante da situazioni di conflitto armato o internazionale, tale da costituire una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile per la sola presenza nel territorio.

– Con riferimento al rilascio del permesso di soggiorno per gravi motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non si ravvisano condizioni individuali di elevata vulnerabilità che, ancorchè credibili e giustificate, precludano, in caso di rimpatrio, la possibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili di vita personale.

– Da ultimo, si esclude la possibilità di riconoscere qualsivoglia forma di protezione in relazione alla permanenza del richiedente nel Paese di transito, dal momento che è mancato un effettivo radicamento. Precisamente, il soggiorno nel suddetto Paese deve qualificarsi come “di mero transito”, nel senso che il periodo ivi trascorso è stato funzionale a reperire le risorse economiche per raggiungere l’Italia.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione il cittadino straniero. Non ha svolto difese il Ministero intimato.

Nel primo motivo di ricorso si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, posto che il Tribunale, con riferimento alle violenze subite nel Paese di transito, ha ritenuto erroneamente che solo una condizione di vulnerabilità irreversibile e perdurante legittimi il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, contrariamente alla normativa citata la quale non richiede che la persona versi in un vero e proprio stato morboso. Per contro, il richiedente ha affermato di essere terrorizzato dalla possibilità di morire a causa dell’ebola, virus in continua diffusione, e di essere scappato in Libia a cagione di tale timore, dove ha subito 6 mesi di immotivata prigionia che lo hanno pregiudicato psicologicamente e materialmente. Dunque, i giudici del merito non hanno correttamente preso in considerazione le gravi violazione dei diritti umani subite in Libia, reputandole indebitamente irrilevanti in forza dell’assenza di un legame significativo tra il richiedente ed il Paese di transito.

Con il secondo motivo si censura l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa la sussistenza dei gravi motivi di carattere umanitario e del requisito di integrazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 32, comma 3. Il provvedimento impugnato si contraddice nella parte in cui, nelle pag. 2-3, rileva una situazione di instabilità socio-politica nel Paese di origine del richiedente ma, nella parte decisoria, omette di considerare tale situazione rilevante ai fini della concessione della protezione umanitaria. Di fatti, i documentati episodi di violenza consumati in Guinea metterebbero a rischio il diritto del ricorrente ad un’esistenza dignitosa ed alla salute, imponendogli una vita in strada ai margini della società.

Inoltre, il Tribunale non ha motivato le ragioni in base alle quali ha escluso l’esistenza di un percorso di integrazione in Italia intrapreso dal ricorrente, il quale, invece, ha compiuto seri sforzi per apprendere la lingua italiana e per trovare un’occupazione, nonostante le difficoltà dovute all’ubicazione della struttura ospitante presso la “zona rossa” del Comune di (OMISSIS), colpita dal terremoto nel 2016, perciò abbandonata e priva di mezzi di trasporto.

Le censure sollevate non superano il vaglio di ammissibilità per difetto di specificità. Il ricorso è formulato in modo generico visto che la difesa, contrariamente a quanto richiesto dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte (si veda Cass., Sez. III, n. 22528/2020), è venuta meno al dovere di allegare, produrre o dedurre gli elementi e la documentazione necessari a motivare la sussistenza di una determinata causa di vulnerabilità, tanto con riferimento al Paese di origine quanto a quello di transito.

Il giudice del merito, da parte sua, ha correttamente comparato la situazione individuale del richiedente in Italia e quella alla quale sarebbe esposto in caso di rimpatrio in Guinea, motivando correttamente le sue conclusioni circa l’impossibilità di ravvisare una condizione di vulnerabilità nel mero timore di essere contagiati dall’Ebola, senza che sia comprovata un’affezione concreta ed attuale.

Con riguardo specifico alla Libia, questa Corte ha più volte precisato che, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, l’esperienza vissuta nel Paese di transito deve presentare un certo grado di significatività in relazione alla durata effettiva del soggiorno ed all’intensità delle violenze ivi subite dal ricorrente, le quali devono essere potenzialmente idonee ad ingenerare un forte grado di traumaticità tale da incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (Cass., Sez. I, n. 13758/2020, n. 13758/2020; Cass., Sez. I, n. 13565/2020; Cass., Sez. I, n. 13096/2019). Nel caso di specie, la parte asserisce genericamente di aver subito, a causa di un immotivato imprigionamento, un pregiudizio psicologico e materiale, senza allegare alcuna valutazione clinica che deponga in tal senso.

Ciò determina l’inammissibilità del ricorso.

Nessuna statuizione sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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