Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12329 del 09/05/2019

Cassazione civile sez. trib., 09/05/2019, (ud. 12/02/2019, dep. 09/05/2019), n.12329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –

Dott. GHITTI Italo Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12734-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

SURGIMED SURGICAL AND MEDICAL DEVELOPMENT LTD;

– intimato –

avverso la decisione n. 1435/2012 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di

MILANO, depositata il 23/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/02/2019 dal Consigliere Dott. ANDREA VENEGONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TOMMASO BASILE che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato PELUSO che ha chiesto

l’accoglimento.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società Surgimed – Surgical and Medical Development Ltd -, con sede in Gran Bretagna e senza stabile organizzazione in Italia, chiedeva il rimborso di Lire 13.193.000 a titolo di ilor ed addizionale versate sulle royalties percepite nell’anno 1985, e di Lire 15.770.000 circa, versate, sempre su royalties, a titolo di ilor relativa all’anno 1986, affermando la non assoggettabilità dei suddetti redditi a tale imposta.

A fronte del silenzio rifiuto dell’ufficio, impugnava quest’ultimo davanti alla CTP di Milano, con due ricorsi separati, e quest’ultima, previa riunione, li accoglieva.

La CTR della Lombardia riformava tale sentenza su appello dell’ufficio.

La società ricorreva allora alla CTC che, in riforma della CTR, affermava che i compensi corrisposti a titolo di royalties a soggetti non residenti sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta e pertanto sono esclusi dall’imposizione ilor.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre l’ufficio sulla base di un motivo.

La società non si è costituita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso l’ufficio deduce violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 897 del 1980, artt. 31 e 43 e del D.P.R. n. 599 del 1973, art. 1, comma 2, lett. c), ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

La CTR avrebbe errato nell’interpretazione delle suddette norme, avendo ritenuto che il fatto che le somme in questione fossero astrattamente soggette a ritenuta alla fonte a titolo di imposta facesse venire meno l’imposizione ai fini ilor, come previsto dal D.P.R. n. 599 del 1973, art. 1, comma 2, lett. c), senza tenere conto del fatto che invece, in concreto, le stesse non erano soggette a ritenuta in virtù della convenzione bilaterale Italia – Regno Unito, per cui il principio di non imponibilità del D.P.R. n. 599 del 1973 non era applicabile.

Il motivo è infondato.

Per inquadrare in termini semplici la questione, è opportuno riassumere le due tesi che si fronteggiano sul tema.

La motivazione, peraltro assai succinta, della CTR si può sintetizzare nei seguenti termini: le somme in questione sarebbero, per disciplina ordinaria nazionale, soggette a ritenuta alla fonte a titolo di imposta; pertanto, non sono imponibili ai fini ilor, perchè il D.P.R. n. 599 del 1973, art. 1, afferma che sono esclusi dall’ilor i redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta. La Convenzione contro la doppia imposizione, in questa prospettiva, non incide sulla tassabilità ai fini ilor perchè, sebbene renda le somme non tassate in concreto in Italia (ma tassate all’estero), non ne elimina la natura di somme soggette a ritenuta alla fonte a titolo di imposta.

La tesi dell’ufficio si può, invece, riassumere nel modo seguente: in realtà tali somme sono state rese esenti da tassazione irpef e irpeg in virtù della convenzione bilaterale, per cui in concreto non sono state assoggettate a ritenuta alla fonte a titolo di imposta; di conseguenza, non opera l’esenzione dall’ilor di cui al D.P.R. n. 599, art. 1 e le stesse sono, quindi, tassabili ai fini ilor.

La giurisprudenza di questa Corte ha affrontato la questione non solo in relazione a royalties corrisposte a soggetti residenti in Gran Bretagna, ma anche negli Stati Uniti, giungendo a soluzioni contrastanti.

Sez. V, n. 21314 del 2018, che si riferisce specificamente a società residente negli Stati Uniti – ma prende in considerazione, alla luce dei periodi che venivano in questione, solo la disciplina transitoria di cui allo scambio di note intervenute tra i due Stati il 13 dicembre 1974 ed approvato con L. 6 aprile 1977, n. 233, e quindi anteriore alla Convenzione di Roma del 17 aprile 1984 contro la doppia imposizione, ratificata e resa esecutiva con la L. 11 dicembre 1985, n. 763 – ha considerato l’assoggettabilità a ilor delle somme corrisposte a titolo di royalties, e in tal senso si sono espresse anche le Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 17632 del 2003.

La giurisprudenza relativa a società residenti nel Regno Unito, invece, appare prevalente nel senso della esclusione della imponibilità ai fini ilor, non tanto per il contenuto della convenzione bilaterale, quanto per l’applicazione del principio comunitario di non discriminazione.

Per comprendere in cosa si concretizzi tale principio, ci si può riferire direttamente alla terminologia utilizzata dalla stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea, secondo la quale “una discriminazione consiste nell’applicazione di norme diverse a situazioni analoghe ovvero nell’applicazione della stessa norma a situazioni diverse” (CGUE, sentenza 14.9.1999 nel procedimento C-391/97).

Così, sez. VI-5 n. 11622 del 2015, Rv. 635673, relativa al 1985, e quindi ad una delle annualità che vengono in rilievo nella presente causa, afferma che:

“I redditi da royalties corrisposti da soggetti residenti in Italia a società prive di stabile organizzazione in Italia ed aventi sede nel Regno Unito (ove risultano già sottoposte ad imposizione fiscale), non possono essere contemporaneamente soggette ad I.L.O.R. in Italia, ostandovi la Convenzione contro la doppia imposizione, stipulata tra Italia e Regno Unito del 4 luglio 1969, ratificata con L. 12 agosto 1962, n. 1378, e ponendosi una diversa soluzione in contrasto con il principio di non discriminazione in materia fiscale di cui al Trattato FUE, art. 6, che, pur riferita testualmente alle sole persone fisiche, deve ritenersi estendibile – alla luce della giurisprudenza comunitaria (Corte di Giustizia, del 16 aprile 2015, in Euro 591/13) – anche alle società”.

Illustrando le ragioni per cui la già citata sentenza delle sezioni unite n. 17632 del 2003 (citata in ricorso dall’ufficio) non è rilevante nella specie, riguardando gli USA – e quindi una diversa Convenzione – ed illustrando perchè l’ampiezza della Convenzione che viene in rilievo fra l’Italia e Regno Unito – da individuarsi, per gli anni in questione, nella Convenzione di Londra del 4.7.1960, ratificata con L. n. 1378 del 1962, parzialmente modificata con protocollo di Londra 28.4.1969, ratificato con L. n. 194 del 1973, e quindi non nella Convenzione del 1988 citata in ricorso – è riferibile anche all’Ilor.

Questo collegio condivide le suddette considerazioni, così come quelle relative al principio di non discriminazione, riguardando la presente controversia – ad ulteriore differenza di quelle relative agli Stati Uniti – uno Stato dell’Unione.

E’ vero che il principio di non discriminazione non è proprio esclusivamente del sistema UE, ma ha in esso una valenza giuridica sicuramente più pregnante di quella che può avere a livello internazionale al di fuori dell’Unione, essendo stato elevato ad uno dei principi fondamentali di quest’ultima.

Nello stesso senso sez. V. n. 1310 del 2016, n. 9942 del 2000, n. 14197 del 2000, n. 14253 del 2000, n. 1122 del 2000 (che si riferisce all’anno 1982) secondo la quale:

“Una interpretazione coerente coi principi stabiliti dall’ordinamento comunitario non può essere se non nel senso che l’attribuzione del potere d’imposizione diretta al Paese in cui la società ha sede comporta l’esclusione di tutti quei tributi che per i residenti sarebbero esclusi dalla ritenuta IRPEF o IRPEG. In altri termini, la mancata ritenuta IRPEF o IRPEG per effetto dell’attribuzione all’altro Stato contraente del potere impositivo non può determinare la reviviscenza, nell’ordinamento fiscale italiano, dell’ILOR”.

Ritiene il collegio che quest’ultima soluzione sia preferibile, per le stesse ragioni illustrate in dettaglio, tra le altre, nelle sentenze n. 1122 del 2000 e n. 1310 del 2016 (in cui il collegio ha disatteso l’opinione del relatore).

Per convincersi della bontà di tale opzione interpretativa, basti considerare che, nella prospettazione dell’ufficio, il non residente per il quale operi una convenzione contro la doppia imposizione (ed in particolare un contribuente non residente in Italia, ma residente del Regno Unito), finirebbe per essere soggetto non solo a tassazione ordinaria nel suo Stato in virtù della Convenzione, ma – a questo punto – anche ad una ulteriore imposizione (l’ilor) in Italia. La convenzione contro la doppia imposizione, cioè, finirebbe per fargli avere, paradossalmente, un trattamento peggiore di quello che avrebbe se fosse residente, perchè in quest’ultimo caso sarebbe soggetto solo a ritenute alla fonte per irpeg e irpef, ma non ad ilor.

L’applicazione acritica del D.P.R. n. 599 del 1973, art. 1, al non residente determinerebbe, quindi, un trattamento discriminatorio di quest’ultimo, dovendo considerarsi tale quello derivante dalle disposizioni normative degli Stati che vengono a prevedere, anche attraverso l’interpretazione, un trattamento fiscale più gravoso in capo ai soggetti residenti in altro Stato membro e aventi esercitato una libertà fondamentale, la cui capacità contributiva sia valutabile nello Stato di destinazione, rispetto ai residenti perchè, in tali casi, residenti e non residenti devono essere assoggettati alla stessa imposizione.

Una lettura critica, invece – che prende atto del fatto che il non assoggettamento concreto a ritenuta alla fonte in Italia non significa, per il non residente, a differenza del residente, non assoggettamento alle imposte sui redditi (perchè queste sono assolte all’estero) -, porta a ritenere che, nel momento in cui il non residente paga, in virtù della Convenzione bilaterale contro la doppia imposizione, le imposte nel proprio Stato di residenza invece che in quello di produzione, non può essere assoggettato in quest’ultimo ad una imposta ulteriore alla quale, se fosse ivi residente, non sarebbe soggetto.

Nello stesso senso anche giurisprudenza recente, tra cui Sez. V, n. 15881 del 2018 relativa al 1982; n. 17471 del 2017 relativa al 1983 e 1984, e quindi ad annualità per le quali si applicava la stessa versione della Convenzione pertinente con il presente caso, e la più recente n. 3625 del 2019, relativa alla annualità 1982/83.

Il ricorso dell’ufficio, che porterebbe, quindi, ad una discriminazione ai danni del non residente, non può essere accolto.

Il rigetto del ricorso, però, comporta la necessità di affrontare ancora una questione che, sebbene non riproposta specificamente nel ricorso, è però rilevabile d’ufficio, soprattutto perchè già dedotta nei gradi di merito.

Essa attiene alla decadenza dall’istanza di rimborso, che l’ufficio afferma essere stata specificamente eccepita per l’anno 1985 nei gradi di merito. La questione era stata superata dall’accoglimento dell’appello dell’ufficio, ma considerato che successivamente la sentenza favorevole all’ufficio è stata riformata, ed in questa sede il ricorso è respinto, essa torna alla ribalta, trattandosi, appunto, di questione rilevabile d’ufficio.

Non vi sono, tuttavia, elementi per valutare in questa sede anche d’ufficio la decadenza dal termine per proporre domanda di rimborso, perchè è vero che l’ufficio in ricorso afferma che è stata proposta il 23.11.1987, ma questo solo dato non permette di valutare se fosse tardiva, e nè la CTP (che la ha considerata assorbita) nè la CTR si sono espresse in merito o hanno fornito elementi per rilevare d’ufficio la decadenza, seppure la stessa fosse stata eccepita nel merito.

Non essendo il contribuente costituito in questo giudizio, non vi è da provvedere sulle relative spese.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019

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