Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12328 del 23/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/06/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 23/06/2020), n.12328

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8239-2019 proposto da:

G.F., D.R., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DELLA MENDOLA 32, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE POMPEO

PINTO, rappresentati e difesi dall’avvocato LORENZO CARUSO;

– ricorrenti –

contro

M.M.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE

49, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO GIUFFRIDA, rappresentata

e difesa dall’avvocato TOMMASO SPERANZA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 533/2018 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 30/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del

23/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

Fatto

RILEVATO

che:

– il giudizio trae origine dalla domanda proposta da M.M.E. nei confronti di G.F. e D.R. con la quale chiese di accertare il proprio diritto di veduta, esercitata dal terrazzino posto al terzo piano e da una finestra posta nel vano scala dell’immobile di sua proprietà, che era stato pregiudicato a causa dell’illegittima sopraelevazione del fabbricato di proprietà dei convenuti;

– nel contraddittorio con i convenuti G.F. e D.R., il Tribunale di Enna accolse, per quanto di ragione, la domanda e, per l’effetto, condannò i convenuti ad abbassare il tetto della propria costruzione, al fine di ripristinare la distanza di tre metri dal parapetto del terrazzo;

– la Corte d’appello di Caltanisetta confermò la sentenza di primo grado e, per quel che ancora rileva in sede di legittimità, accertò che l’altezza del parapetto consentiva di esercitare la veduta e che la nuova costruzione non rispettava la distanza prevista dall’art. 907 c.c., a nulla rilevando l’assenza di utilità o vantaggio derivante all’attrice dall’effettivo esercizio della veduta;

– per la cassazione hanno proposto ricorso G.F. e D.R. sulla base di un unico motivo;

– ha resistito con controricorso M.M.E.;

Diritto

RITENUTO

che:

– con l’unico motivo di ricorso, si deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 900 e 907 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5; contesta l’esistenza del diritto di vedut a e, in ogni caso, rileva che l’utilitas tratta dall’esercizio del diritto di veduta sarebbe così modesta da non arrecare alcun vantaggio all’attrice;

– il motivo non è fondato;

– il giudice di merito, con accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, sulla base delle risultanze della CTU, ha accertato che l’altezza del terrazzo consentiva l’esercizio dell’inspectio e della prospectio e che la sopraelevazione realizzata dai ricorrenti violava le distanze dei fabbricati dalle vedute;

– è irrilevante che la violazione fosse di modesta entità in quanto il bilanciamento tra l’interesse alla medesima riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta è stato già effettuato dall’art. 907 c.c. poichè luce ed aria assicurano l’igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita (Cass. Civ. Sez. 2, Sentenza n. 955 del 16/01/2013);

– quanto al vizio di omessa motivazione, il ricorso difetta di specificità per mancata all’allegazione, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, degli atti e documenti su cui il ricorso si fonda:

– il ricorrente si duole dell’errata interpretazione delle risultanze della CTU, riportandone alcuni isolati stralci, al solo fine di sostenere, sulla base di un’apodittica lettura, la propria tesi difensiva, in contrasto con la funzione propria del giudizio di legittimità;

– il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile;

– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto

per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis, se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile -2 della Corte di cassazione, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020

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