Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12326 del 19/05/2010

Cassazione civile sez. I, 19/05/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 19/05/2010), n.12326

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.C., elettivamente domiciliata in ROMA, presso la

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARRA

ALFONSO LUIGI, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto V.G. 771/06 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

20.6.06, depositato il 18/09/2006;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. DIDONE Antonio;

E’ presente il P.G. in persona del Dott. APICE Umberto.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e’ del seguente tenore: “ R.C. adiva la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al TAR Campania, avente ad oggetto una controversia di pubblico impiego, pendente dal 19 aprile 1996 e non ancora decisa.

La Corte d’appello di Napoli, con decreto del 18 settembre 2006, fissata la durata ragionevole del giudizio in anni tre, riteneva violato il relativo termine per poco piu’ di sette anni e liquidava per il danno non patrimoniale € 800 per ciascun anno di ritardo, e quindi complessivi Euro 5.720,00, condannando altresi’ il Presidente del Consiglio dei ministri a pagare le spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 440,00, oltre accessori.

Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso R. C., affidato a quattordici motivi. Ha resistito con controricorso il Presidente del Consiglio dei ministri.

OSSERVA:

1.- Con i primi sette motivi e’ denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, e art. 6 par. 1 CEDU), in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonche’ della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; artt. 112 e 132 c.p.c.) e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni:

a) questioni relative alla efficacia della CEDU nell’ordinamento interno ed all’efficacia vincolante per il giudice nazionale della giurisprudenza della Corte EDU (sostanzialmente riproposta in tutti i motivi, richiamando sentenze della Corte Europea e di questa Corte;

in tutti i motivi e’ anche reiterata la tesi della vincolativita’ del parametro di liquidazione del danno stabilito dalla Corte EDU; nel primo riassuntivamente, in buona sostanza, sono indicati gli argomenti poi ribaditi negli altri mezzi) ed e’ formulato il seguente quesito la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6 par. 1 CEDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la CEDU, ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU? (primo motivo);

b) questioni concernenti la quantificazione del danno (con i motivi dal secondo al settimo).

Secondo l’istante, il decreto sarebbe carente di motivazione nel punto concernente la quantificazione del danno in misura diversa da quella di Euro 1.500,00 ad anno e la mancata applicazione dei parametri stabiliti dai giudici Europei; e’ dedotto che, accertata la violazione del termine di ragionevole durata, e’ vincolante il parametro fissato dalla Corte EDU. Con i motivi viene formulato il quesito se una volta accertato il diritto all’equo indennizzo lo stesso va liquidato nella misura annua di Euro 1.000,00 – 1.500,00 (secondo motivo); inoltre, si deduce che nelle cause aventi ad oggetto la materia del lavoro dovrebbe essere liquidato un bonus di Euro 2.000,00 (quinto, sesto e settimo motivo); si censura, infine, che il decreto avrebbe ridotto la quantificazione della somma liquidata, in considerazione della mancata presentazione di istanze di prelievo, ed e’ formulato il quesito se il modesto valore della controversia puo’ costituire elemento atto ad escludere il diritto all’equa riparazione ovvero e’ idoneo a ridurre l’equo indennizzo? (quarto motivo).

1.1.- I motivi dall’ottavo al quattordicesimo denunciano violazione dell’art. 6, 1 CEDU e dell’art. 1 del protocollo addizionale, della L. n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 91 e 92, 112 e 132 c.p.c., delle tariffe professionali, nonche’ difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5, artt. 112 e 132 c.p.c.), nella parte concernente la liquidazione delle spese del giudizio e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni: a) la liquidazione delle spese – nonche’ la decurtazione della nota spese, operata in difetto di motivazione – incide sul diritto della parte e dell’avvocato e le stesse devono essere poste a carico del soccombente, specie nel giudizio nel quale vi e’ una parte debole (sono richiamate alcune sentenze della Corte EDU) ed e’ formulato il seguente quesito di diritto e’ legittimo, con riferimento alla fattispecie che ci occupa, un accoglimento della domanda con liquidazione di spese insufficiente o parziale compensazione delle spese, anche in considerazione dell’art. 1 prot.

add. CEDU direttamente applicabile al caso di specie? (nono motivo);

b) nella specie dovrebbe aversi riguardo alle tariffe per il giudizio innanzi alla Corte EDU e, comunque, non alla tariffa concernente i procedimenti di volontaria giurisdizione, poiche’ questa Corte, in alcune sentenze (richiamate) avrebbe escluso che quello in esame sia riconducibile a detta categoria di procedimenti, con conseguente applicabilita’ della tabella B 1^ per i diritti e della tabella A 3^ per gli onorari ed e’ formulato il quesito di diritto se alla fattispecie concreta e con riguardo alle spese di lite, premesso che trattasi di un procedimento ordinario contenzioso (e non di V.G.) vanno applicate le tariffe professionali per i procedimenti ordinari contenziosi (e non quelli di volontaria giurisdizione)? (ottavo motivo). Il decreto sarebbe, comunque carente di motivazione sul capo della liquidazione delle spese undicesimo motivo) e si sarebbe posto in contrasto con le quantificazioni operate da questa Corte; a tale riguardo e’ formulato il quesito se le spese liquidate dal giudice di primo grado sono sufficienti in relazione all’attivita’ svolta, alle tariffe professionali vigenti ed alla nota spese (dodicesimo motivo);

e’ riportata la nota spese depositata nel giudizio di merito, per sostenere che emergerebbe chiara la violazione di legge ed e’ formulato il seguente quesito puo’ il giudice, nel liquidare le spese ed in presenza di nota spese specifica, disattendere la stessa liquidando spese, diritti ed onorari inferiori a quelli richiesti e comunque escludere o ridurre alcune delle voci tariffarie indicate nella nota spese? (tredicesimo motivo) e sul punto e’ denunciato anche difetto di motivazione riportando nel ricorso la nota spese depositata nel giudizio innanzi alla Corte d’appello (quattordicesimo motivo).

2.- Il primo motivo e’ inammissibile, perche’ si risolve in generiche deduzioni sulla diretta applicabilita’ delle sentenze della Corte di Strasburgo, formulate in modo del tutto scollegato dalla motivazione del decreto impugnato. Posta questa premessa, si osserva:

a) va ribadito il principio enunciato dalle S.U., in virtu’ del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte Europea. Siffatto dovere opera, entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001 (sentenza n. 1338 del 2004). In termini analoghi e’ il principio enunciato dalla Corte costituzionale, che ha affermato che al giudice nazionale spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali cio’ sia permesso dai testi delle norme. Qualora cio’ non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilita’ della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimita’ costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1, (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007). Resta dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla non applicazione della norma interna, in virtu’ di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria. In questi termini e’ il principio che puo’ essere enunciato in relazione al quesito posto con il primo motivo. b) In ordine alle questioni concernenti la quantificazione dell’indennizzo, manifestamente infondato e’ il motivo attinente alla determinazione del danno non patrimoniale, giacche’ la somma liquidata per anno di ritardo dalla Corte d’appello di Napoli (Euro 800,00) non si discosta in misura significativa dai parametri elaborati dalla Corte Europea e recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte. Infatti, le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito come la valutazione dell’indennizzo per danno non patrimoniale resti soggetta – a fronte dello specifico rinvio contenuto nella L. n. 89 del 2001, art. 2 – all’art. 6 della Convenzione, nell’interpretazione giurisprudenziale resa dalla Corte di Strasburgo, e, dunque, debba conformarsi, per quanto possibile, alle liquidazioni effettuate in casi similari dal Giudice Europeo, sia pure in senso sostanziale e non meramente formalistico, con la facolta’ di apportare le deroghe che siano suggerite dalla singola vicenda, purche’ in misura ragionevole (Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2004, n. 1340). In particolare, detta Corte, con decisioni adottate a carico dell’Italia il 10 novembre 2004 (v., in particolare, le pronunce sul ricorso n. 62361/01 proposto da R.P. e sul ricorso n. 64897/01 Z.), ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno la base di partenza per la quantificazione dell’indennizzo, ferma restando la possibilita’ di discostarsi da tali limiti, minimo e massimo, in relazione alle particolarita’ della fattispecie, quali l’entita’ della posta in gioco e il comportamento della parte istante (cfr., ex multis, Cass., Sez. 1^, 26 gennaio 2006, n. 1630). La Corte di merito, nel discostarsi ragionevolmente dalla soglia minima di Euro 1.000,00 ad anno di ritardo, ha dato rilievo alla mancata proposizione dell’istanza di prelievo nel giudizio presupposto, ritenuta indicativa, con congruo e motivato apprezzamento, di un limitato patema d’animo derivante dal ritardo nella definizione del procedimento.

Manifestamente infondata appare la censura afferente alla necessita’ di liquidare l’indennizzo con riferimento alla durata dell’intero processo, posto che la legge nazionale (L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), con una chiara scelta di tecnica liquidatoria non incoerente con le finalita’ sottese all’art. 6 della CEDU, impone di correlare il ristoro al solo periodo di durata irragionevole (Cass., Sez. 1^, 13 aprile 2006, n. 8714; Cass., Sez. 1^, 3 gennaio 2008, n. 14).

Non puo’ essere seguita la censura in ordine al mancato riconoscimento del bonus di Euro 2.000,00, giacche’ ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, non puo’ ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia del lavoro o previdenziale; da tale principio, infatti, non puo’ derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa di lavoro abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass., Sez. 1^, 14 marzo 2008, n. 6898).

In questi termini sono i principi che possono essere enunciato in relazione ai motivi dal secondo al settimo. I motivi attinenti alle spese possono essere esaminati congiuntamente, perche’ logicamente connessi.

Le questioni poste vanno risolte facendo applicazione dei seguenti principi, gia’ enunciati da questa Corte: la L. n. 89 del 2001 non reca nessuna specifica norma in ordine al regime delle spese all’esito dello svolgimento del processo camerale di cui agli artt. 3 e 4 e, in virtu’ del richiamo ivi effettuato, si applicano sul punto le norme del codice di rito, avendo anche il legislatore dimostrato attenzione a questo profilo, esonerando il ricorrente dal contributo unificato (L. n. 89 del 2001, art. 5 bis e, successivamente, D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 10 e 256) (Cass. n. 23789 del 2004);

le disposizioni dell’art. 91 c.p.c. e segg. in tema di spese processuali trovano applicazione, in linea generale, nel procedimento camerale nel caso in cui questo statuisca su posizioni soggettive in contrasto, come accade nella specie, senza che nessun ostacolo all’applicazione di detta normativa provenga dalla Convenzione CEDU, ovvero dal Protocollo aggiuntivo (Cass. n. 12021 del 2004), restando esclusa l’applicazione analogica delle disposizioni sulle spese vigenti per i procedimenti innanzi alla Corte di Strasburgo (Cass. n. 1078 del 2003);

dalla CEDU non discende un obbligo, a carico del legislatore nazionale, di conformare il processo per l’equa riparazione da irragionevole durata negli stessi termini previsti, quanto alle spese, per il procedimento dinanzi agli organi istituiti in attuazione della Convenzione, dovendosi escludere che l’assoggettamento del procedimento alle regole generali nazionali, e quindi al principio della soccombenza, possa integrare un’attivita’ dello Stato che miri alla distruzione dei diritti o delle liberta’ riconosciuti dalla Convenzione o ad “imporre a tali diritti e liberta’ limitazioni piu’ ampie di quelle previste dalla stessa Convenzione (Cass. n. 182 04 del 2003).

Posta questa premessa, va osservato che il decreto ha liquidato per spese la complessiva somma di Euro 440,00, di cui Euro 101,00 per diritti ed Euro 320,00 per onorario, indicando espressamente di applicare la Tab B, par. 3^ per i diritti e la Tab. A par. 10^ per gli onorari.

In questa parte, il decreto non si sottrae alle censure svolte che assurgono al grado di specificita’ sufficiente, dato che l’applicazione delle suindicate disposizioni della tabella ha comportato una violazione dei minimi di tariffa. Relativamente alle disposizioni della tariffa forense applicabili nella specie, va ricordato che nella giurisprudenza di questa Corte e’ consolidata la configurazione del procedimento disciplinato dalla L. n. 89 del 2001 quale procedimento contenzioso, con conseguente affermazione del potere – dovere del giudice di statuire sulle spese e di applicare le norme dell’art. 91 c.p.c. e segg. (Cass. n. 12021 del 2004; n. 12542 del 2002), costituendo quello in esame uno dei molti casi nei quali il legislatore, in virtu’ di un’opzione riconosciuta dal giudice delle leggi compatibile con i principi costituzionali (in riferimento a plurime materie, Corte cost., n. 35 del 2002; n. 49 del 1999; n. 121 del 1994; n. 543 del 1989), ha utilizzato la procedura camerale nonostante la presenza di elementi propri della giurisdizione contenziosa, in virtu’ di valutazioni compiute sulla base della natura degli interessi regolati e dell’opportunita’ di adottare piu’ celeri forme processuali (tra le molte, Cass., S.U., n. 5629 del 1996; Cass. n. 14200 del 2004).

In considerazione di questa configurazione, la disciplina dei diritti e degli onorari dell’avvocato non puo’ ritenersi governata dall’art. 11 della tariffa professionale approvata con D.M. 8 aprile 2004, n. 127, che concernente esclusivamente i procedimenti non contenziosi.

Questa disposizione, al comma 1, stabilisce che gli onorari per i procedimenti in camera di consiglio o davanti al giudice tutelare ed in genere per i procedimenti non contenziosi sono liquidati tenendo conto dell’opera occorsa per lo studio degli atti e per la compilazione del ricorso e di qualunque scritto esplicativo dello stesso.

La genericita’ del riferimento ai procedimenti in camera di consiglio, che pure deporrebbe per una differente conclusione, va infatti letta in correlazione con la successiva puntualizzazione che, identificando il genus di riferimento in quello dei procedimenti non contenziosi – ulteriormente confortata dai commi 2 e 3 – rende quindi certo che la disciplina stabilita dall’art. 11 cit., e’ applicabile esclusivamente nel caso in cui sussista detto carattere, non riscontrabile nel procedimento ex L. n. 89 del 2001. Infine, va osservato che questa interpretazione e’ confortata dalla regolamentazione stabilita nelle voci 75 e 76 della Tabella dei diritti, dato che la prima reca una regola specifica per le materie da trattarsi in camera di consiglio, con la significativa esclusione della cause in materia di famiglia, o di competenza del giudice tutelare, mentre la seconda prevede che «per le prestazioni concernenti gli altri procedimenti speciali disciplinati dal codice di procedura civile o da altra legge e per i giudizi ai quali diano luogo i procedimenti stessi, sono dovuti, salvo il disposto del comma seguente, gli onorari e i diritti stabiliti per le corrispondenti prestazioni dal paragrafo 1^.

Tanto conforta l’applicabilita’, nella specie, per i diritti della Tab. B-1^ e per gli onorari della Tab. A-4^.

Entro questi limiti le censure vanno accolte.

Non puo’ invece essere accolta la doglianza con cui si addebita alla Corte territoriale di non avere liquidato le spese secondo la nota spese. Nel caso in esame, infatti, la parte ricorrente ha omesso di riportare in ricorso la nota specifica relativa alle spese presentata ai sensi dell’art. 75 disp. att. c.p.c., tale non potendosi ovviamente considerare quella che vi si trova allegata, in quanto costituita da foglio volante non inserito nel fascicolo di parte e privo di annotazione del cancelliere circa l’avvenuto deposito.

Pertanto, il ricorso puo’ essere trattato in camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge”.

3.- Il Collegio reputa di non potere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, e cio’ alla luce della la piu’ recente giurisprudenza di questa Corte e di quella della Corte di Strasburgo.

Invero, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce delle quantificazioni operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, impone una quantificazione che, nell’osservanza della giurisprudenza della Corte EDU, deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo (per i primi tre anni) e ad Euro 1.000,00 per i successivi. La fissazione di detta soglia si impone, alla luce delle sentenze del giudice Europeo, in quanto occorre tenere conto del criterio di computo adottato da detta Corte (riferito all’intera durata del giudizio) e di quello stabilito dalla L. n. 89 del 2001, (che ha riguardo soltanto agli anni eccedenti il termine di ragionevole durata), nonche’ dell’esigenza di offrire di quest’ultima un’interpretazione idonea a garantire che la diversita’ di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine di detta L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con la norma della CEDU, come interpretata dalla Corte di Strasburgo.

Ravvisandosi le condizioni per la decisione della causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., dovendosi quantificare il periodo di eccessiva durata del processo 7 anni, tenuto conto dei criteri per la liquidazione del danno non patrimoniale stabiliti dalla CEDU, l’indennizzo va liquidato nella misura di Euro 6.250,00, con gli interessi dalla domanda.

Restano assorbite le censure relative alle spese del giudizio che vanno poste a carico della parte soccombente e vanno liquidate come in dispositivo, secondo le tariffe vigenti ed i conseguenti criteri di computo costantemente adottati da questa Corte per cause similari, quanto al giudizio di merito, mentre in relazione al giudizio di legittimita’, il limitato accoglimento dei motivi giustifica la compensazione delle spese in ragione di 1/2, da porre a carico dell’Amministrazione per il resto. Spese distratte.

PQM

LA CORTE accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente la somma di Euro 6.250,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio:

che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti e Euro 490,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario; che compensa in misura di 1/2 per il giudizio di legittimita’, gravando l’Amministrazione del residuo 1/2 e che determina per l’intero in Euro 330,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario.

Cosi’ deciso in Roma, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2010

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