Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12323 del 19/05/2010

Cassazione civile sez. I, 19/05/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 19/05/2010), n.12323

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.C., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA

ALFONSO LUIGI, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto R.G.A.D. 53054/04 della CORTE D’APPELLO di ROMA

del 2 7.3.06, depositata il 21/09/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. DIDONE Antonio;

E’ presente il P.G. in persona del Dott. APICE Umberto.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e’ del seguente tenore: “ B.C. adiva la Corte d’appello di Roma, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tribunale di Nola e pendente in appello, avente ad oggetto il riconoscimento di somme (interessi e rivalutazione monetaria) dovute per il ritardo nella corresponsione del trattamento di disoccupazione.

La Corte d’appello di Roma, con decreto del 21 settembre 2006, fissata la durata ragionevole del giudizio dinanzi al Tribunale in anni due e mesi sei e dinanzi alla Corte d’appello in due anni, riteneva violato il relativo termine per poco piu’ di un anno e liquidava il danno non patrimoniale in complessivi Euro 600,00, condannando altresi’ il Ministero della giustizia a pagare le spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 750,00.

Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso B. C., affidato a dieci motivi; ha svolto attivita’ difensiva il Ministero della giustizia.

OSSERVA:

1.- Con i primi tre motivi e’ denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, e art. 6 par. 1 CEDU), in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonche’ della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; artt. 112 e 132 c.p.c.) e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni:

a) questioni relative alla efficacia della CEDU nell’ordinamento interno ed all’efficacia vincolante per il giudice nazionale della giurisprudenza della Corte EDU (sostanzialmente riproposta in tutti i motivi, richiamando sentenze della Corte Europea e di questa Corte;

in tutti i motivi e’ anche reiterata la tesi della vincolativita’ del parametro di liquidazione del danno stabilito dalla Corte EDU; nel primo riassuntivamente, in buona sostanza, sono indicati gli argomenti poi ribaditi negli altri mezzi) ed e’ formulato il seguente quesito la L. n. 89 del 2001, e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6 par. 1 CEDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la CEDU, ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU ? (primo motivo);

b) questioni concernenti la durata del processo presupposto.

L’istante deduce che il parametro di durata ragionevole del giudizio, fissato dalla giurisprudenza in due anni per il primo grado, un anno e mezzo per il secondo ed un anno per la fase di legittimita’, non sarebbe applicabile al processo del lavoro e previdenziale, in considerazione della disciplina che lo caratterizza e sono, quindi, formulati i seguenti quesiti di diritto: e’ corretto determinare (…) la durata ragionevole del processo in anni due per il primo grado e in un anno e mezzo per il giudizio di appello, ovvero qual e’ la durata ragionevole del presente processo ? (secondo motivo);

c) questioni concernenti l’insufficiente quantificazione del danno non patrimoniale (terzo e quarto motivo).

1.1.- I restanti motivi attengono alle spese.

2.- Il primo motivo e’ inammissibile, perche’ si risolve in generiche deduzioni sulla diretta applicabilita’ delle sentenze della Corte di Strasburgo, formulate in modo del tutto scollegato dalla motivazione del decreto impugnato. Posta questa premessa, si osserva:

a) va ribadito il principio enunciato dalle S.U., in virtu’ del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte Europea. Siffatto dovere opera, entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001, (sentenza n. 1338 del 2004). In termini analoghi e’ il principio enunciato dalla Corte costituzionale, che ha affermato che al giudice nazionale «spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali cio’ sia permesso dai testi delle norme. Qualora cio’ non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilita’ della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimita’ costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 cost., comma 1, (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007), Resta dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla non applicazione della norma interna, in virtu’ di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria. In questi termini e’ il principio che puo’ essere enunciato in relazione al quesito posto con il primo motivo. b) In ordine alla durata del processo presupposto, e’ manifestamente erronea la tesi dell’istante, nella parte in cui prospetta la possibilita’ di stabilire un termine di durata del giudizio rigido e predeterminato.. La L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, dispone, infatti, che la ragionevole durata di un processo va verificata in concreto, facendo applicazione dei criteri stabiliti da detta norma la quale, stabilendo che il giudice deve accertare la esistenza della violazione considerando la complessita’ della fattispecie, il comportamento delle parti e del giudice del procedimento, nonche’ quello di ogni altra autorita’ chiamata a concorrervi o comunque a contribuire alla sua definizione, impone di avere riguardo alla specificita’ del caso che egli e’ chiamato a valutare. La violazione del principio della ragionevole durata del processo va dunque accertata all’esito di una valutazione degli elementi previsti dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (ex plurimis, Cass. n. 8497 del 2008; n. 25008 del 2005; n. 21391 del 2005; n. 1094 del 2005; n. 6856 del 2004; n. 4207 del 2004).

In tal senso e’ orientata anche la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo alla quale occorre avere riguardo (tra le molte, sentenza 1^ sezione del 23 ottobre 2003, sul ricorso n. 39758/98) e che ha stabilito un parametro tendenziale che fissa la durata ragionevole del giudizio, rispettivamente, in anni tre, due ed uno per il giudizio di primo, di secondo grado e di legittimita’. Ed e’ questo parametro che va osservato, dal quale e’ tuttavia possibile discostarsi, purche’ in misura ragionevole e sempre che la relativa conclusione sia confortata con argomentazioni complete, logicamente coerenti e congrue, restando comunque escluso che i criteri indicati nella L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, permettano di sterilizzare del tutto la rilevanza del lungo protrarsi del processo (Cass., Sez.un., n. 1338 del 2004; in seguito, cfr. le sentenze sopra richiamate). In questi termini e’ il principio che puo’ essere enunciato in relazione al quesito posto con il secondo motivo. Nel caso di specie, la Corte di merito si e’ mantenuta ampiamente entro lo standard della Corte Europea, indicando come ragionevole la durata di due anni e mezzo per il primo grado e di due anni per l’appello.

In ordine alle questioni concernenti la quantificazione dell’indennizzo, manifestamente fondato, per quanto di ragione, e’ il motivo attinente alla determinazione del danno non patrimoniale, giacche’ la somma liquidata per anno di ritardo dalla Corte d’appello di Roma (meno di Euro 600,00) si discosta eccessivamente dai parametri elaborati dalla Corte Europea e recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte. Infatti, le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito come la valutazione dell’indennizzo per danno non patrimoniale resti soggetta – a fronte dello specifico rinvio contenuto nella L. n. 89 del 2001, art. 2 – all’art. 6 della Convenzione, nell’interpretazione giurisprudenziale resa dalla Corte di Strasburgo, e, dunque, debba conformarsi, per quanto possibile, alle liquidazioni effettuate in casi similari dal Giudice Europeo, sia pure in senso sostanziale e non meramente formalistico, con la facolta’ di apportare le deroghe che siano suggerite dalla singola vicenda, purche’ in misura ragionevole (Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2004, n. 1340). In particolare, detta Corte, con decisioni adottate a carico dell’Italia il 10 novembre 2004 (v., in particolare, le pronunce sul ricorso n. 62361/01 proposto da R.P. e sul ricorso n. 64897/01 Z.), ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno la base di partenza per la quantificazione dell’indennizzo, ferma restando la possibilita’ di ragionevolmente discostarsi da tali limiti, minimo e massimo, in relazione alle particolarita’ della fattispecie, quali l’entita’ della posta in gioco e il comportamento della parte istante (cfr., ex multis, Cass., Sez. 1^, 26 gennaio 2006, n. 1630). Invece, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte ricorrente, secondo l’orientamento espresso da questa Corte, al quale va data continuita’, la precettivita’, per il giudice nazionale, non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore della base di calcolo:

mentre, infatti, per la CEDU l’importo assunto a base del computo in riferimento ad un anno va moltiplicato per ogni anno di durata del procedimento (e non per ogni anno di ritardo), per il giudice nazionale e’, sul punto, vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale e’ influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole, non incidendo questa diversita’ di calcolo sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (Cass. n. 11566 del 2008; n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007).

Non puo’ essere seguita la censura in ordine al mancato riconoscimento del bonus di Euro 2.000, giacche’ ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, non puo’ ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia del lavoro o previdenziale; da tale principio, infatti, non puo’ derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa di lavoro abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass., Sez. 1^, 14 marzo 2008, n. 6898).

L’esame dei motivi attinenti alle spese resta assorbito. Pertanto, il ricorso puo’ essere trattato in Camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge.

3.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano e che conducono all’accoglimento del ricorso. Peraltro, secondo la piu’ recente giurisprudenza di questa Corte e alla luce di quella della Corte di Strasburgo, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce delle quantificazioni operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, impone una quantificazione che, nell’osservanza della giurisprudenza della Corte EDU, deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo (per i primi tre anni). La fissazione di detta soglia si impone, alla luce delle sentenze del giudice Europeo, in quanto occorre tenere conto del criterio di computo adottato da detta Corte (riferito all’intera durata del giudizio) e di quello stabilito dalla L. n. 89 del 2001, (che ha riguardo soltanto agli anni eccedenti il termine di ragionevole durata), nonche’ dell’esigenza di offrire di quest’ultima un’interpretazione idonea a garantire che la diversita’ di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine di detta L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con la norma della CEDU, come interpretata dalla Corte di Strasburgo.

Ravvisandosi le condizioni per la decisione della causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., dovendosi quantificare il periodo di eccessiva durata del processo in un anno, tenuto conto dei criteri per la liquidazione del danno non patrimoniale stabiliti dalla CEDU, l’indennizzo va liquidato nella misura di Euro 750,00, con gli interessi dalla domanda. Le spese del giudizio vanno poste a carico della parte soccombente e vanno liquidate come in dispositivo, secondo le tariffe vigenti ed i conseguenti criteri di computo costantemente adottati da questa Corte per cause similari, quanto al giudizio di merito, e, quanto al giudizio di legittimita’, vanno compensate nella misura di 2/3 in considerazione del limitato accoglimento del ricorso. Spese distratte.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente la somma di Euro 750,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio:

che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 280,00 per diritti e Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario; che compensa in misura di 2/3 per il giudizio di legittimita’, gravando l’Amministrazione del residuo 1/3 e che determina per l’intero in Euro 330,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario.

Cosi’ deciso in Roma, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2010

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