Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12320 del 17/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 17/05/2017, (ud. 02/03/2017, dep.17/05/2017),  n. 12320

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 30382/2010 R.G. proposto da:

F.C. e F.G., rappresentato e difeso dall’Avv.

Gianfranco Gollin;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Veneto, n. 82/33/09 depositata il 5 novembre 2009.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2 marzo 2017 dal

Consigliere Dott. Emilio Iannello;

udito l’Avvocato dello Stato Roberto Palasciano;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento per quanto di ragione.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.C. e G. ricorrono con quattro motivi nei confronti dell’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza n. 82/33/09 depositata il 5 novembre 2009, con la quale la C.T.R. del Veneto – in controversia concernente impugnazione degli avvisi di accertamento per Irpef in relazione alla plusvalenza realizzata pro quota con la cessione di terreno edificabile con contratto del 4/7/2000 in favore della società Union Fermetal di F.O. & C. s.n.c. – ha rigettato l’appello dei contribuenti, confermando la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso introduttivo.

La C.T.R., in particolare, ha confermato la legittimità dell’atto impositivo ritenendo, da un lato, sul piano formale, infondata l’eccezione opposta in merito alla sottoscrizione degli avvisi di accertamento e, dall’altro, nel merito, corretto il riferimento all’art. 81 (ora art. 67), comma 1, lett. b) T.U.I.R., invece che alla previsione di cui alla lett. a) della medesima disposizione, invocata dai ricorrenti.

Al riguardo la Commissione regionale ha rilevato che le “opere intese a rendere edificabili i terreni” erano state in realtà effettuate dalla società acquirente (la quale aveva anche beneficiato della deduzione dei costi sostenuti e della relativa detrazione Iva), essendosi invece i contribuenti limitati alla mera richiesta di cambio di destinazione d’uso dell’area, e che l’aumento di valore dei terreni è dipeso “solo ed esclusivamente dalla mera modifica della destinazione urbanistica dei terreni oggetto della compravendita che sono stati trasformati da terreni agricoli a edificabili”.

L’Agenzia non ha svolto difese nella presente sede, ma ha depositato c.d. atto di costituzione ai soli fini della partecipazione all’udienza di discussione, alla quale ha poi effettivamente partecipato.

I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso i contribuenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 81 (ora art. 67), comma 1, lett. a) T.U.I.R., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. escluso la riconducibilità della fattispecie alla detta disposizione, erroneamente negando valore alla prodromica attività amministrativa posta in essere per rendere edificabili i terreni e attribuendo invece rilievo al solo fatto che le spese documentate sono state sostenute dalla società acquirente.

Sostengono che tale ultima circostanza è del tutto ininfluente ai fini di causa non avendo essi chiesto la deduzione dei costi sostenuti dalla società ma il riconoscimento, in deduzione dai ricavi, del costo del terreno determinato, ai sensi dell’art. 82 (ora art. 68), comma 2, T.U.I.R., secondo “il valore normale nel quinto anno anteriore” all’esecuzione delle opere.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione ed errata applicazione della disposizione testè citata per avere i giudici d’appello omesso di rilevare l’illegittimità dell’atto impositivo discendente dal mancato riconoscimento, in deduzione, del valore del terreno al quinto anno antecedente l’esecuzione delle opere.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono nullità della sentenza per contraddittorietà della decisione rispetto alla motivazione, in violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Lamentano che contraddittoriamente la Commissione regionale ha ricondotto la fattispecie alla previsione di cui all’art. 81 (ora art. 67), comma 1, lett. b) T.U.I.R., pur avendo riconosciuto in premessa che, per giungere alla variazione della destinazione urbanistica dell’area, erano state poste in essere attività idonee a provocare, ai sensi della L.R. Veneto n. 33 del 1985, la mutazione di destinazione d’uso.

Altra contraddizione risiederebbe, secondo i ricorrenti, nell’esame dei costi chiesti in deduzione, erroneamente identificati in quelli sostenuti dalla società, anzichè nel costo rivalutato del terreno come previsto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 82, comma 2.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano, infine, “nullità della sentenza e del giudizio”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la C.T.R. immotivatamente disatteso l’eccezione da essi preliminarmente sollevata di nullità degli avvisi di accertamento in quanto non sottoscritti dal direttore dell’Ufficio, ritenendo legittima la delega conferita ai funzionari sottoscrittori e a tal fine attribuendo valore di delega ad un ordine di servizio o organigramma interno all’Ufficio, nel quale non compaiono specificatamente il nome e cognome del funzionario delegato, nè la sua qualifica.

5. I primi due motivi di ricorso, congiuntamente esaminabili, si appalesano infondati.

5.1. Secondo quanto è pacifico in causa gli avvisi di accertamento sono stati emessi con espresso riferimento alla fattispecie di cui all’art. 81, comma 1, lett. b) T.U.I.R., per il recupero a tassazione della plusvalenza derivante dalla cessione a titolo oneroso di un appezzamento di terreno sito nel Comune di Solesino ricadente, al momento della cessione, in zona D4, e come tale pertanto edificabile.

Tali atti sono stati impugnati dai contribuenti assumendo gli stessi doversi attribuire rilievo, ai fini della riconduzione della fattispecie alla diversa previsione di cui all’art. 81, comma 1, lett. a) T.U.I.R., al fatto che l’inserimento del terreno in zona D4 discendeva dalla adozione da parte del consiglio comunale di Solesino, con Delib. 16 giugno 1998, n. 44, ai sensi della L.R. Veneto 16 aprile 1985, n. 33, art. 41, comma 5, di una variante al P.R.G., successivamente provata anche dalla Regione, a sua volta conseguente all’approvazione di progetto di impianto di rottamazione presentato dalla società partecipata dagli odierni ricorrenti Union Fermetal s.n.c..

Tale tesi era rigettata dalla C.T.P. di Padova attribuendo questa rilievo assorbente al fatto che l’aumento di valore del terreno era dipeso dalla modifica della destinazione d’uso del terreno che da agricolo era divenuto edificabile.

La decisione è stata confermata dalla C.T.R., con la decisione in epigrafe, considerando questa dirimente il fatto che “le opere, consistenti nella realizzazione (all’interno dell’area agricola di proprietà dei contribuenti, n.d.r.) dell’impianto progettato… sono in realtà state effettuate dalla società acquirente che… ha beneficiato della deduzione dei costi sostenuti e (del)la relativa detrazione dell’Iva connessa”, mentre “l’attività svolta dai contribuenti si… (è sostanziata)… nella mera richiesta di cambio di destinazione d’uso dell’area”.

Tale accertamento non è in sè contestato, ma anzi risulta esplicitamente accettato dai ricorrenti i quali si limitano a negarne la rilevanza ai fini della chiesta riconduzione della fattispecie alla previsione di cui all’art. 81, comma 1, lett. a) T.U.I.R..

5.2. La censura è infondata.

Appare invero assorbente il rilievo che, quale che sia la ragione posta a fondamento della variante urbanistica approvata dal consiglio comunale, al momento della cessione il terreno ceduto risultava qualificato come edificabile in base alla previsione dello strumento urbanistico in allora vigente.

Tale circostanza – ripetesi, in sè pacifica – vale infatti a ricondurre comunque la fattispecie alla previsione di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 81, comma 1, lett. b), ultimo periodo (inserito dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 1, lett. f)), a tenore della quale sono redditi diversi tassabili: “in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”.

La locuzione “in ogni caso” pone invero tale disposizione in rapporto di regola a eccezione rispetto a quella di cui alla precedente lett. a), nel senso che le condizioni in quest’ultima previste per la configurazione di plusvalenza tassabile (secondo i diversi criteri di cui all’art. 82, comma 2) devono considerarsi venire in rilievo esclusivamente nel caso in cui si tratti di terreno non suscettibile di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione.

Soccorre in tal senso anche la considerazione dell’origine della disposizione e della sua evoluzione nel tempo.

Il regime vigente dal 1973 al 1988, previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 76, considerava imponibili tutte le plusvalenze caratterizzate dal cosiddetto “intento speculativo”, che avrebbe dovuto essere dimostrato caso per caso dall’ufficio finanziario.

Per mitigare l’onere posto a carico dell’amministrazione, la legge considerava “in ogni caso fatti con fini speculativi, senza possibilità di prova contraria” la lottizzazione di terreni inclusi in piani regolatori o in programmi di fabbricazione e la successiva vendita, anche parziale. Allo stesso modo, la previgente normativa considerava fatto imponibile l’esecuzione delle opere intese a rendere edificabili i terreni compresi nei piani e nei programmi suddetti e la successiva vendita, anche parziale, degli stessi (D.P.R. n. 597 del 1973, art. 76, comma 3, n. 1).

Tale disciplina ha avuto, tuttavia, rarissima applicazione ed è stata abrogata dal testo unico sulle imposte sui redditi (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, entrato in vigore il 1 gennaio 1988), in conformità alla tendenza a non utilizzare concetti, come quello di “intento speculativo”, caratterizzati da un notevole grado di indeterminatezza. Per tali motivi, il legislatore ha preferito prevedere espressamente limitate ipotesi di imponibilità delle plusvalenze secondo i criteri ordinari, indipendentemente dall’esistenza in concreto dell'”intento speculativo”, anzichè elaborare un meccanismo impositivo generalizzato di tale tipo di plusvalenze.

Origina da qui la previsione di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 81, comma 1, il quale alle lett. a), b) e c) non fa altro che riprendere alcune delle presunzioni assolute di speculatività disposte dalla legislazione anteriore, disegnando per ciò stesso – in origine – un quadro di ipotesi distinte e non sovrapponibili, accomunate dal fatto che non costituiva condizione della loro tassabilità l’inserimento del terreno in strumenti urbanistici che ne riconoscessero l’edificabilità al momento della cessione.

Quanto in particolare alla ipotesi – che qui interessa – di cui alla lett. a) costituiva, infatti, e costituisce tuttora pacifica interpretazione quella secondo cui assume rilievo ogni operazione obiettivamente considerata di lottizzazione o di esecuzione di opere per l’edificabilità di terreni, anche se realizzata al di fuori o in contrasto con i vincoli urbanistici.

Come detto, tale disciplina è stata però successivamente integrata dalla L. 31 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 1, lett. f), che ha disposto l’assoggettamento ad imposta “in ogni caso” anche delle “plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”.

Tale previsione abbraccia ora una serie di ipotesi più ampia e potenzialmente in grado di comprendere anche quelle in precedenza previste, le quali di conseguenza (e tra queste anche quelle di cui alla suddetta lett. a)) conservano rilievo residuale, essendo destinate ad emergere solo qualora non si tratti di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione.

Discende da quanto sin qui argomentato l’infondatezza anche del secondo motivo di ricorso, discendendo dalla riconducibilità della fattispecie alla previsione di cui all’art. 81, comma 1, lett. b), T.U.I.R., la necessaria applicazione, ai fini del calcolo della plusvalenza tassabile, del criterio per tale ipotesi previsto dall’art. 82, comma 2, terzo periodo, del medesimo testo unico, nella specie correttamente adottato, secondo quanto pacifico in causa, a fondamento dell’atto impositivo.

6. Si rivela poi palesemente inammissibile il terzo motivo, in quanto volto a prospettare quale error in procedendo (per contrasto tra motivazione e dispositivo, invero insussistente) le medesime sopra viste censure più propriamente dirette a criticare la qualificazione giuridica operata dal giudice del merito.

7. E’ altresì inammissibile il quarto motivo di ricorso.

I ricorrenti omettono invero di specificare se e in quale atto processuale e in quali termini esatti essi abbiano eccepito la nullità degli avvisi di accertamento per difetto di valida sottoscrizione.

Ciò espone la censura a preliminare rilievo di aspecificità e non autosufficienza, non impedito dall’essere la censura volta a denunciare error in procedendo.

Questa Corte ha più volte chiarito, al riguardo, che – qualora nel ricorso per cassazione venga eccepita la violazione di norme processuali inerenti l’omessa o l’ultronea pronuncia del giudice di appello – pur essendo vero che, trattandosi di errores in procedendo, sorge in capo alla Corte il potere/dovere di esaminare gli atti processuali, è tuttavia pur sempre necessario che la parte ricorrente indichi puntualmente gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui chiede il riesame. Di conseguenza secondo i canoni del principio di autosufficienza, il ricorso deve contenere tutte le precisazioni e i riferimenti dell’amministrazione resistente che necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (v. ex multis Cass. n. 17298 del 2014; Cass. n. 13546 del 13/06/2014; Cass. 1170/2004; Cass. 26234/2005).

8. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della intimata, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2017

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