Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12319 del 15/06/2016

Cassazione civile sez. trib., 15/06/2016, (ud. 19/05/2016, dep. 15/06/2016), n.12319

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2467/2010 proposto da:

COMUNE DI GALLARATE, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA VITTORIO VENETO 7, presso lo

studio dell’avvocato GIOVANNI SERGES, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati MARIA AGOSTINA CABIDDU, DOMENICO IELO

giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE MELINDA SAS, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA S. LEO 48-C, presso

lo studio dell’avvocato ALESSIA BERNARDI, rappresentato e difeso

dall’avvocato SALVATORE LORENZO CAMPO giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 79/2008 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 02/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2016 dal Consigliere Dott. LUCA SOLAINI;

udito per il ricorrente l’Avvocato DI GIANDOMENICO per delega

dell’Avvocato IELO che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato DI GAETANO per delega

dell’Avvocato CAMPO che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia concerne l’impugnazione, da parte della società contribuente, di quattro avvisi di accertamento e liquidazione emessi dal comune di Gallarate, attraverso i quali l’ente locale, richiedeva il pagamento dell’imposta Ici per le annualità dal 2000 al 2003 relativamente ad immobili censiti in categoria D. La ctp accoglieva il ricorso della contribuente e la sentenza veniva confermata dalla CTR con il rigetto dell’appello dell’ufficio, sulla base della considerazione che per l’applicazione dell’imposta dovesse operare il criterio di determinazione del valore sulla base dei costi contabili, fino all’anno d’imposizione in cui si fosse provveduto alla formale attribuzione della rendita catastale, che si sarebbe resa operante dalla data di notifica della stessa, ma con efficacia costitutiva e non retroattiva.

Avverso la sentenza della CTR, il comune di Gallarate ha proposto ricorso sulla base di due motivi (corredati di memoria, ex art. 378 c.p.c.), mentre la contribuente ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i due motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente attenendo ad un medesimo, anche se articolato, motivo di censura, il comune ricorrente denuncia il vizio di violazione di legge, ed in particolare del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 e della L. n. 342 del 2000, art. 74, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, i giudici d’appello, per la definizione della base imponibile ICI, avrebbero erroneamente applicato ad un immobile iscritto in catasto, il criterio del valore contabile, che è invece, previsto per gli immobili non iscritti (oltre, che interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati nelle scritture contabili) infatti, nella specie, i fabbricati oggetto d’accertamento, risultavano avere una rendita fin dal 1987, ed inoltre, la medesima ricorrente lamenta che la commissione tributaria regionale abbia adottato il principio dell’efficacia della rendita catastale dalla data della notifica con efficacia costitutiva e non retroattiva ai sensi della norma censurata in rubrica, infatti, nella specie, la rendita catastale era stata adottata prima del 1 gennaio 2000 e, quindi, non doveva essere notificata (la parte richiama Cass. n. 23140/2008).

I motivi sono inammissibili.

E’ infatti, insegnamento di questa Corte, quello secondo cui “Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito inerente ad una censura in diritto – dovendo assolvere alla funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – non può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter comprendere dalla sua sola lettura, l’errore asseritamene compiuto dal giudice di merito e la regola applicabile. Ne consegue che esso non può consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo” (Cass. n. 3530/2012) e ancora, “e inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile “ratione temporis”, il ricorso per cassazione nel quale il quesito di diritto si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo” (Cass. n. 21672/2013). Nel caso di specie, i quesiti di diritto formulati alla fine di ogni motivo di ricorso, sono avulsi dalla concreta vicenda oggetto di giudizio e non consentono sulla base dello loro sola lettura di poter mettere autonomamente in condizione la Corte di poter percepire e decidere la controversia in esame, inoltre, il primo quesito è finanche incomprensibile nel suo aspetto logico grammaticale.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna il Comune di Gallarate, in persona del sindaco in carica a pagare alla società Immobiliare Melinda sas, in persona del legale rappresentante pt., le spese di lite del presente giudizio, che liquida nella somma complessiva di Euro 1.500,00, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2016

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