Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12315 del 19/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 19/05/2010, (ud. 14/04/2010, dep. 19/05/2010), n.12315

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.L., gia’ elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ROSAZZA

32, presso lo studio dell’avvocato ELISABETTA BULDO, rappresentato e

difeso dall’avvocato ROMANELLI GIUSEPPE, giusta delega in calce al

ricorso e da ultimo domiciliato d’ufficio presso LA CANCELLERIA DELLA

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE SALERNO (OMISSIS), in persona del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

BRUNO BUOZZI 99, presso lo studio dell’avvocato CRISCUOLO FABRIZIO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DI FILIPPI

ANTONIO, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1214/2005 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 18/07/2005 R.G.N. 1483/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2010 dal Consigliere Dott. PICONE Pasquale;

udito l’Avvocato GIONFRA SILVIA per delega CRISCUOLO FABRIZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

1. La sentenza di cui si domanda la cassazione rigetta l’appello di C.L. e conferma la decisione del Tribunale di Salerno – giudice del lavoro – n. 539 del 2004, che aveva giudicato infondata la domanda proposta dal C. contro l’Azienda sanitaria locale Salerno (OMISSIS) per l’accertamento dell’illegittimita’ della risoluzione della convenzione relativa al rapporto di lavoro di medico di continuita’ assistenziale (gia’ di guardia medica), disposta con delibera comunicatagli il 30.12.1998, con la condanna dell’Asl a dare esecuzione al contratto ed a risarcirgli il danno.

2. I motivi dell’appello sono ritenuti infondati sulle base delle seguenti argomentazioni: a) la risoluzione del rapporto di lavoro, disposta a causa del numero delle assenze dal servizio del medico convenzionato nel periodo gennaio 1997 – giugno 1998, era stata preceduta da contestazione dell’ottobre 1998, da ritenere tempestiva in relazione alla raggiunta conoscenza completa della fattispecie di inadempimento imputata al professionista; b) era inammissibile la deduzione relativa alla violazione delle norme procedimentali dettate dal D.P.R. n. 484 del 1996, art. 14, comma 4 perche’ formulata per la prima volta in grado di appello, c) risultavano comprovate assenze per un numero di 1217 ore nel 1997 e di 594 ore nel 1998, di cui almeno 833 dovute a motivi di lavoro o di studio e superiori al limite stabilito dal D.P.R. n. 484 del 1996, art. 51, lett. c con riferimento ad un arco temporale di diciotto mesi, dovendosi aggiungere che molte assenze erano prive di giustificazione. ed avrebbero potuto comportare la decadenza dall’incarico; d) la gravita’ della violazione degli obblighi contrattuali giustificava la sanzione del recesso.

3. Il ricorso di C.L. si articola in sei motivi; resiste con controricorso l’Azienda sanitaria locale Salerno (OMISSIS).

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione del D.P.R. n. 484 del 1996, art. 51 sotto due profili: a) la prescrizione secondo cui il periodo di sospensione dell’incarico per documentati motivi di lavoro o di studio “non puo’ superare gli otto mesi complessivi nell’arco di 18 mesi” si riferisce esclusivamente a tale tipologia di assenza, restando ferma la liceita’ di assenze per malattia “per la durata massima di 8 mesi nell’arco di un anno”, sicche’ il dott. C. non aveva superato il numero massimo delle assenze consentite per tali diverse giustificazioni; b) il periodo temporale di riferimento del numero massimo di assenze (18 mesi; un anno) doveva calcolarsi a scaglioni, di cui il primo decorrente dalla data di instaurazione del rapporto di lavoro.

2. Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione contraddittoria in relazione al ritenuto superamento del periodo di 8 mesi in 18 mesi per le assenze per motivi di lavoro o di studio, senza considerare che le ore di assenza di cui il C. avrebbe potuto fruire era di complessive 2496 (aggiungendo 832 ore per il 1997 e 832 per il 1998 per assenze giustificate da malattia).

3. Il terzo motivo denuncia vizio di motivazione insufficiente in relazione al D.P.R n. 484 del 1996, art. 13 nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto tempestiva la contestazione formulata in data 9.10.1998, sebbene del numero complessivo delle assenze l’organo competente fosse stato messo a conoscenza con nota del responsabile dell’unita’ organizzativa del 26.5.1998, ne’ rilevava che detta nota riferisse dell’invito rivolto al C. di giustificare le assenze, atteso che la mancata giustificazione non era menzionata nel provvedimento di cessazione dell’incarico dell’11.12.1998.

4. Il quarto motivo denuncia violazione del D.P.R. n. 484 del 1996, art. 13 nella parte in cui fissa per la contestazione, al comma 3, il termine di trenta giorni dalla conoscenza dell’addebito, nonche’ di altre norme dello stesso articolo che dettano precisi obblighi procedimentali per il procedimento disciplinare (parere del comitato consultivo in merito all’adozione della sanzione; rispetto del termine di 10 giorni per la comunicazione del provvedimento espulsivo).

5. Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 437 c.p.c. perche’ la denuncia delle numerose violazioni del D.P.R. n. 484 del 1996, art. 13 era stata formulata in primo grado e riproposta in grado di appello.

6. Il sesto motivo di ricorso attiene al giudizio di proporzionalita’ della sanzione e critica la sentenza impugnata per aver trascurato di esaminare le disposizioni del D.P.R. n. 484 del 1996, art. 13 nella parte in cui collega la sanzione della revoca esclusivamente a inadempimenti di particolare gravita’, nonche’ di valutare tutti gli elementi del caso concreto (mancanza di dolo o colpa, tempestiva comunicazione delle assenze; assenza di danno per l’Asl e per il servizio).

7. La Corte deve esaminare congiuntamente i motivi di ricorso nell’ambito del discorso generale di cui appresso.

Esito dell’esame e’ il giudizio di non fondatezza del ricorso ancorche’ la motivazione della sentenza impugnata, il cui dispositivo risulta conforme a diritto, necessiti di correzioni e integrazioni (art. 384 c.p.c., comma 2).

8. E’ lo stesso ricorrente a riconoscere che la risoluzione del rapporto di lavoro non risulta essere stato giustificato dall’Asl con inadempimenti imputati al C.” lo afferma nell’ambito delle argomentazioni svolte a sostegno del terzo motivo, laddove riconosce che, sebbene fosse stato rivolto al C. l’invito a giustificare le assenze e a cio’ si riferisse la contestazione di illecito disciplinare del 9.10.1998, richiamante il disposto del D.P.R. n. 484 del 1996, art. 13 il provvedimento 11.12.1998 del direttore generale si limitava a dichiarare cessato l’incarico perche’ il C. “risulta avere effettuato nel periodo 01.01.97 al 30.06.98 n. 1806 ore complessive di assenza pari a 17,3 mesi lavorativi (per ogni mese ragguagliato a 104 ore lavorate)”; lo conferma altresi’ con il sesto motivo, nella parte in cui censura la sentenza impugnata per non aver considerato la mancanza dell’elemento psicologico del dolo o della colpa.

9. Ed infatti la risoluzione dell’incarico e’ stata disposta dall’Asl sulla base del disposto del D.P.R. 22 luglio 1996, n. 484, art. 51 – che ha reso esecutivo l’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale sottoscritto il 25 gennaio 1996 e modificato in data 6 giugno 1996 – norma che, per i medici di continuita’ assistenziale, disciplina l’istituto delle “assenze giustificate”, come tali attributive del diritto del medico a conservare l’incarico senza diritto a compenso nei limiti di tempo stabiliti dalla stessa norma (per quel che interessa: lett. a, per la durata massima di 8 mesi nell’arco di un anno in caso di malattia o infortunio; lett. g, per documentati motivi di lavoro o di studio, con periodo di sospensione che non puo’ superare gli otto mesi complessivi nell’arco di 18 mesi).

10. L’ipotesi regolata dal citato art. 51 e’ quindi – in analogia con l’istituto del c.d. “comporto” che tutela il lavoratore subordinato a norma dell’art. 2110 c.c. – quella della mancata esecuzione della prestazione lavorativa per cause ritenute giustificate, con esclusione della risoluzione dell’incarico prima del decorso del periodo stabilito. Si tratta, sul piano degli istituti generali del contratto, di una tipizzazione dell’impossibilita’ parziale della prestazione (nella nozione elaborata dalla giurisprudenza con riferimento alle cause impeditive dell’esecuzione della prestazione lavorativa non imputabili al lavoratore: vedi Cass. 1 giugno 2009, n. 12721), che attribuisce all’altra parte il potere di recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale (art. 1464 c.c.). Che nel caso concreto l’Asl abbia esercitato proprio siffatto potere di recesso non e’ consentito dubitare: la prospettiva della mancata giustificazione delle assenze e quindi dell’inadempimento imputabile e’ stata completamente abbandonata, come dimostra in modo inconfutabile la motivazione del provvedimento di cessazione dall’incarico, mediante il richiamo dell’art. 51, cit. e dei fatti posti a base del recesso.

11. Cosi’ ricostruita la vicenda nei termini giuridicamente adeguati ai fatti accertati nel giudizio di merito, l’esclusione di fattispecie di inadempimento imputate al lavoratore dall’Asl colloca la disposta risoluzione dell’incarico fuori della categoria degli illeciti disciplinari, con la conseguente irrilevanza, ai fini della decisione, delle questioni poste con i motivi terzo, quarto, quinto e sesto (che tutti assumono a presupposto la natura disciplinare, in termini di revoca dell’incarico ai sensi del D.P.R. n. 484 del 1996, art. 13, comma 2, lett. c, del recesso dell’Asl), siccome alla risoluzione di esse, pur se diffusamente considerate nella motivazione della sentenza impugnata, il ricorrente non ha interesse perche’ non idonee ad influenzare il segno della decisione della controversia.

12. Resta rilevante soltanto l’esame, congiunto perche’ concernenti la stessa questione, dei motivi primo e secondo, Questi motivi non sono fondati.

13. La sentenza impugnata reca l’accertamento, rimasto non contestato, che nel periodo 1.1.1997 – 30.6.1998 (18 mesi) le assenze erano state complessivamente di ore 1806, delle quali certamente 833 giustificate con motivi di lavoro o di studio.

Questo accertamento e’ sufficiente per riconoscere all’Asl il potere di recedere dal contratto siccome nell’arco temporale di diciotto mesi era stato superato il limite massimo di assenze (104×8=832) per motivi di lavoro o di studio, indipendentemente dalla motivazione recata dalla Delib. 11 dicembre 1998, del tutto irrilevante ai fini del giudizio di conformita’ dell’esercizio del potere di recesso alle regole del rapporto di lavoro.

14. La tesi, illustrata con la seconda censura contenuta nel primo motivo, secondo cui il numero massimo di assenze dovrebbe essere calcolato con riferimento a ciascun periodo di 18 mesi a partire dalla data di costituzione del rapporto di lavoro, non merita condivisione. L’arco di 18 mesi, conformemente alla chiara lettera della norma, costituisce il parametro per valutare oggettivamente l’incidenza dell’impossibilita’ parziale della prestazione del lavoro sull’interesse alla risoluzione dell’amministrazione sanitaria: e’ evidente che, in caso di assenze inferiori al limite stabilito, il periodo rilevante si sposta in avanti, con eliminazione del rilievo delle assenze iniziali che vengono a collocarsi fuori del nuovo periodo. In altri termini, per il legittimo esercizio del potere di recesso e’ necessario aver riguardo al numero di assenze dell’ultimo periodo di 18 mesi.

15. Il significato della prima censura contenuta nello stesso motivo di ricorso non si coglie agevolmente: e’ fuori discussione che l’art. 51, cit., legittima il recesso soltanto per il superamento, nell’ambito dei diversi periodi stabiliti, del numero massimo di assenze contemplato per ciascuna delle diverse causali considerate;

ma non si vede come questa previsione possa avere rilevanza per la decisione della controversia, siccome certamente chi e’ assente giustificato per motivi di lavoro e di studio non lo puo’ essere per malattia e il numero delle assenze per malattia e’ un fatto che si deve ritenere estraneo alla controversia.

16. Resta di conseguenza assorbito l’esame del secondo motivo di ricorso, poiche’ la sussistenza del vizio di motivazione denunciato presuppone la condivisione delle tesi prospettate con il primo motivo.

17. Consegue al rigetto del ricorso la condanna della ricorrente al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio di cassazione, nella misura determinata in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio di cassazione, liquidate le prime in Euro 22,00 oltre spese accessorie, iva e cpa, ed i secondi in Euro 3000,00 (tremila/00).

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 14 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2010

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