Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12311 del 19/05/2010

Cassazione civile sez. I, 19/05/2010, (ud. 29/04/2010, dep. 19/05/2010), n.12311

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24150-2008 proposto da:

S.C. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, C.SO TRIESTE 87, presso l’avvocato RAPISARDA

GIUSEPPE M. F., che la rappresenta e difende, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.E.U.;

– intimato –

nonchè da:

M.E.U. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA CATANIA 1, presso l’avvocato SGANDURRA ELENA, che lo

rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

S.C., elettivamente domiciliata in ROMA, C.SO TRIESTE

87, presso l’avvocato RAPISARDA GIUSEPPE M. F., che la rappresenta e

difende, giusta procura a margine del controricorso al ricorso

incidentale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 3280/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 30/07/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/04/2010 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato BELLI BRUNO, per delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

SCANDURRA che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, inammissibilità del ricorso incidentale, in subordine

rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 24.03-14.06.2006, il Tribunale di Roma dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto il 29.08.1970 dal ricorrente (ricorso del 22.01.2003) M. E.U. con S.C., alla quale attribuiva l’assegno divorzile determinandolo in Euro 350,00 mensili sino al suo allontanamento dalla casa familiare ed in Euro 650,00 per il successivo periodo; rigettava,inoltre, le domande della S. di assegnazione della casa familiare e di attribuzione di un contributo per il mantenimento della figlia.

Con sentenza del 15.05-30.07.2008, la Corte di appello di Roma respingeva sia il gravame principale della S., che quello incidentale del M., compensando anche le spese del secondo grado, essendo stati respinti entrambi i gravami. La Corte osservava e riteneva in sintesi:

che i primi due motivi dell’appello principale della S. erano infondati, giacchè in effetti non era emersa alcuna prova decisiva dell’avvenuta riconciliazione dei coniugi e la conseguita autosufficienza economica da parte della figlia maggiorenne della coppia precludeva di assegnare alla madre la casa familiare;

– che valutate le condizioni economiche delle parti- circa Euro 27.000,00 (annui), più piccole quote di numerosi immobili il M., una misera pensione la S. – dovevano essere disattesi anche l’ulteriore motivo dell’appello principale e l’appello incidentale del M., con i quali era stata impugnata la quantificazione dell’assegno divorzile, determinato, invece, in misura equa e giuridicamente corretta.

Avverso questa sentenza la S. ha proposto ricorso per cassazione notificato il 10.10.2008, fondato su tre motivi ed illustrato da memoria. Il M. ha resistito con controricorso notificato il 18.11.2008 ed ha proposto ricorso incidentale sulla base di due motivi, cui la S. ha resistito con controricorso notificato il 9-10.12.2008.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve essere preliminarmente dispostaci sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi principale ed incidentale, proposti avverso la medesima sentenza. A sostegno del ricorso principale la S. denunzia:

1 – “Violazione ed errata applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 6, n. 6″ e conclusivamente formula il seguente quesito di diritto” (“La Corte di appello di Roma, confermando la sentenza di primo grado e denegando l’assegnazione dell’ex casa coniugale di via (OMISSIS) a S.C., coniuge economicamente più debole, convivente nel suddetto immobile con M.S., figlia maggiorenne delle parti in causa, per difetto, in capo a quest’ultima, del requisito della incapacità economica, ha violato o meno la L. n. 898 del 1970, art. 6, n. 6 che non prevede tale requisito nella sua formulazione testuale?” Il motivo non è fondato.

La Corte distrettuale si è ineccepibilmente attenuta alle regole normative ed al relativo, consolidato orientamento giurisprudenziale (da ultimo, ex plurimis, cfr Cass. 200720688) espresso in questa sede sin dalla pronuncia n. 11297 del 1995, resa dalle Sezioni Unite, secondo cui “In materia di divorzio, anche nel vigore della L. 6 marzo 1987, n. 74, il cui art. 11 ha sostituito la L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 6 la disposizione del comma 6 di quest’ultima norma, in tema di assegnazione della casa familiare, non attribuisce al giudice il potere di disporre l’assegnazione a favore del coniuge che non vanti alcun diritto – reale o personale – sull’immobile e che non sia affidatario della prole minorenne o convivente con figli maggiorenni non ancora provvisti, senza loro colpa, di sufficienti redditi propri. Tale assegnazione, pertanto, non può essere disposta come se fosse una componente dell’assegno di divorzio, allo scopo di sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole”, orientamento al quale va data continuità, posto anche che le ragioni, pure letterali, che la ricorrente adduce a sostegno della sua tesi si rivelano non decisive o nuove, essendo state già specificamente, esaurientemente e sfavorevolmente considerate in precedenti, condivisi arresti, tra cui la sentenza di questa Corte n. 1545 del 2006, ai cui argomenti di contrasto va fatto richiamo, confermando pure che la rubricata disposizione normativa va interpretata in senso costituzionalmente orientato, tenendo anche conto del limite dell’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne, imposto dall’art. 147 c.c., non correlato alla sola convivenza con il genitore ma anche alla sua non colpevole dipendenza economica.

2. “Omessa o errata valutazione delle testimonianze di F. F. e di S.L.L. in relazione alle testimonianze di P.P. e M.A.R.”.

La ricorrente censura la conclusione dei giudici di merito secondo cui dopo la separazione consensuale, dell’8.06.1993, non vi era stata riconciliazione con il marito, sostenendo in sintesi che è mancato l’analitico raffronto tra le rubricate deposizioni, non sono stati evidenziati gli elementi rilevanti sulla ripresa della convivenza (numerosi elementi esteriori) e che è stato recepito il pregresso orientamento che privilegiava gli stati d’animo ed i sentimenti, piuttosto che gli elementi esteriori del rapporto di coppia quali la coabitazione ed i comportamenti connessi e consequenziali, evidenzianti la comune volontà della coppia di ripristinare la loro comunione di vita. La censura non ha pregio.

Giova ricordare che l’accertamento dell’avvenuta riconciliazione tra coniugi separati, per avere essi tenuto un comportamento non equivoco che risulti incompatibile con lo stato di separazione (da compiersi attribuendo rilievo preminente alla concretezza degli atti, dei gesti e dei comportamenti posti in essere dagli stessi coniugi, valutati nella loro effettiva capacità dimostrativa della disponibilità alla ripresa della convivenza e alla costituzione di una rinnovata comunione, piuttosto che con riferimento a supposti elementi psicologici, tanto più difficili da provare in quanto appartenenti alla sfera intima dei sentimenti e della spiritualità soggettiva), implicando un’indagine di fatto, è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito e si sottrae, quindi, a censura, in sede di legittimità, là dove difettino vizi logici o giuridici (tra le altre, Cass. 9200626165, 200712314).

Dall’esame delle menzionate deposizioni e dalla loro valutazione complessiva l’avversata conclusione dei giudici di merito non appare viziata per il profilo motivazionale, ma attendibilmente e coerentemente argomentata, posto che dalle trascritte dichiarazioni emerge non che i coniugi, dopo la loro separazione e, dunque, la frattura del rapporto coniugale, avevano mantenuto precedenti abitudini e consuetudini di vita, variate, invece, nel (OMISSIS), a seguito del nuovo rapporto affettivo intrattenuto dal M., sicchè da esse ben potevano non essere tratti elementi decisivi, inequivoci e significativi circa l’asserito ripristino della loro comunione materiale e spirituale, nemmeno avvalorata dalla disponibilità affettiva verso diverse donne, poi manifestata dal marito.

3. “Difetto e contraddittorietà di motivazione in ordine alla statuizione di rigetto della richiesta di modifica dell’assegno divorzile”.

La censura non ha pregio, risultando l’avversata statuizione sorretta da motivazione congrua e logica, seppure sintetica. A sostegno del ricorso incidentale il M. denunzia:

1. “Erronea, contraddittoria e insufficiente motivazione della sentenza della Corte di appello di Roma sul punto che, respingendo l’appello incidentale avverso la sentenza del Tribunale di Roma, proposto dal contro ricorrente e ricorrente in via incidentale confermava l’assegno divorzile in favore della Sig.ra S. ed a carico del Sig. M.”.

Il motivo è inammissibile perchè, in violazione dell’art. 366 “bis” cod. proc. civ., si risolve in generica ed apodittica critica, priva di autosufficienza e concretezza, non essendo stati riassunti in specifica sintesi i fatti controversi in relazione ai quali la motivazione si assume viziata, nè indicati i profili di rilevanza di tali fatti, prima che non specificamente e compiutamente richiamate e trascritte le risultanze documentali poste a base degli asseriti errori valutativi.

2. “Omessa, insufficiente, erronea, illogica e contraddittoria motivazione sulla compensazione delle spese dei giudizi, nonchè violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. sulla condanna alle spese del giudizio di primo e secondo grado”.

Il M. sostiene che la disposta compensazione delle spese processuali dei due gradi di merito non costituisce buon governo della norma in ordine alla soccombenza e che è stata fondata su motivazione scarna, insufficiente e contraddittoria, omettendo anche di valutare la condotta processuale delle parti e segnatamente quella della S., che persistendo nel suo contegno oppositivo lo ha danneggiato.

Il motivo è inammissibile, perchè, in violazione dell’art. 366 bis c.p.c., l’illustrazione delle censure non si è conclusa con la formulazione del prescritto quesito di diritto e di una sintesi riassuntiva dei dedotti vizi motivazionali.

Conclusivamente il ricorso principale deve essere respinto e quello incidentale dichiarato inammissibile, con compensazione per intero tra le parti, delle spese del giudizio di legittimità, stante la reciproca soccombenza.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il principale e dichiara inammissibile l’incidentale. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 29 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2010

 

 

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