Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12310 del 17/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 17/05/2017, (ud. 27/04/2017, dep.17/05/2017),  n. 12310

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23851-2012 proposto da:

L.W., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OVIDIO

20, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA DELFINI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA CARMELA

CARBONARO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

e contro

COMUNE RECCO, domiciliato in ROMA presso la Cancelleria della Corte

di Cassazione, rappresentato e difeso dagli avvocati MARCO SARTESCHI

e PIERO NICOLINI, in virtù di procura a margine del controricorso;

– resistente –

avverso la sentenza n. 82/2011 della COMM.TRIB.REG. di GENOVA,

depositata il 15/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/04/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

L.W. proponeva opposizione avverso l’avviso di accertamento emesso dal Comune di Recco e relativo al pagamento dell’ICI per l’anno 2006 con riferimento all’immobile sito in (OMISSIS), del quale l’opponente era concessionario per uso abitativo, per la durata di sei anni, a far data dal 1 gennaio 2005, giusta atto stipulato con l’Agenzia del Demanio – Filiale (OMISSIS).

Avverso la sentenza della CTP di Genova n. 265/1/2008 che rigettava l’opposizione, proponeva appello il L. e la CTR di Genova con la sentenza n. 82/6/2011 depositata in data 15 settembre 2011 rigettava il gravame.

Sostenevano i giudici di appello che dalla lettura dell’atto concessorio emergevano i tratti caratteristici della concessione del bene, quali la durata di sei anni, in conformità di quanto prescritto dal D.L. n. 400 del 1993, art. 1 conv. in L. n. 494 del 1993 per le concessioni dei beni marittimi, e ciò a differenza di quanto invece previsto per le locazioni abitative, la cui durata dovrebbe essere di quattro anni.

Inoltre nell’atto erano stati disciplinati due specifici istituti quali la revoca e la decadenza che sono estranei alla disciplina delle locazioni civili.

Pertanto poichè si verteva in tema di concessione, avente ad oggetto specificamente il diritto di abitazione su di un immobile del demanio marittimo statale, ciò implicava la debenza dell’ICI da parte del concessionario.

In merito alla richiesta avanzata in via subordinata dal L. di provvedere al ricalcolo dell’ICI alla luce di quanto previsto dal D.M. 14 marzo 2006, osservava che non vi erano in atti elementi sufficienti per poter decidere.

L.W. ha chiesto la cassazione della sentenza del giudice di appello con ricorso affidato a tre motivi cui l’intimato Comune di Recco ha resistito ai fini della discussione orale.

Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione DEL D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, commi 2 e 7 nonchè dell’art. 1022 c.c., oltre che l’erronea ed insufficiente motivazione della sentenza.

Si rileva che erroneamente la decisione impugnata ha qualificato l’atto intercorso tra le parti alla stregua di una concessione del diritto reale di abitazione, laddove a ben vedere si tratta dell’attribuzione di un diritto personale di godimento, la cui fruizione non legittima la richiesta di pagamento dell’ICI.

In particolare si evidenzia che trattandosi di una concessione avente ad oggetto un alloggio di servizio, alla fattispecie trova applicazione, l’esenzione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, lett. a) che riguarda tutti gli immobili posseduti dallo Stato, dalle regioni, dalle province nonchè dai comuni, se diversi da quelli indicati nell’ultimo periodo dell’art. 4, comma 1 dalle comunità montane, dai consorzi tra detti enti, dalle unità sanitarie locali, dalle istituzioni sanitarie pubbliche autonome di cui alla L. n. 833 del 1978, art. 41 dalle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura, destinati esclusivamente a scopi istituzionali.

Nella fattispecie, il bene oggetto dell’atto aveva all’epoca pacificamente natura demaniale, ed era stato a sua volta conferito al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ai sensi della L. n. 166 del 2002, art. 30 al fine di assicurare l’adeguamento funzionale delle proprie strutture, inclusa la mobilità del personale.

In vista di tale esigenza, era stato poi concluso l’atto di concessione in favore del ricorrente, al fine appunto di garantirgli un alloggio di servizio, rivestendo la qualità di Direttore del SIIT della Lombardia e della Liguria (ora Provveditorato alle Opere Pubbliche).

Il motivo è inammissibile in quanto sottopone al giudizio di questa Corte una questione nuova, e precisamente quella relativa all’esenzione di cui all’art. 7, lett. a, della quale non emerge traccia dalla lettura della sentenza impugnata e che lo stesso ricorrente riconosce non essere stata oggetto delle difese nei precedenti gradi di giudizio, e che investe in ogni caso la necessità di compiere accertamenti in fatto, quali la effettiva funzionalizzazione del godimento del bene da parte del L. al soddisfacimento di finalità istituzionali dello Stato, preclusi in sede di legittimità, accertamenti appunto suggeriti dallo stesso tenore della sentenza del TAR Liguria, inammissibilmente prodotta in questa sede dalla difesa del ricorrente in violazione della previsione di cui all’art. 372 c.p.c. Il secondo motivo denunzia invece l’omessa, erronea e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha attribuito natura concessoria all’atto intercorso tra il ricorrente e l’Agenzia del Demanio, anzichè natura di locazione.

Nel richiamare quanto esposto al primo motivo circa l’impossibilità di ravvisare l’attribuzione di un diritto di abitazione, si sottolinea che l’atto aveva ad oggetto un bene destinato a costituire l’alloggio di servizio, sicchè occorreva propendere per la nascita di un rapporto di natura sostanzialmente contrattuale ed assimilabile alla locazione.

In particolare, per effetto della scrittura del 31 dicembre 2004, al L. è stato attribuito un diritto personale di godimento, che lo esonera dal pagamento dell’ICI, come confermato dalle dizioni utilizzate nell’atto che evidenziavano che si trattava di attribuzione ” per uso foresteria per sè e per le persone costituenti il nucleo familiare” quale alloggio di servizio, ed in relazione alle funzioni di Direttore del SIIT per le regioni Lombardia e Liguria.

Il motivo ad avviso del Collegio è fondato.

E’ pur vero che la presente fattispecie è sottoposta alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, comma 2 come modificato dalla L. n. 388 del 2000, art. 18che ha svalutato la differenza, invece rilevante in passato, circa la natura obbligatoria o reale del diritto attribuito al concessionario, e che imponeva di dover accertare se la concessione avesse effetti reali (con la conseguenza della tassabilità degli immobili ai fini ICI in capo al concessionario) od obbligatori (con la diversa conseguenza della intassabilità) (così ex multis Cass. n. 24969/2010), ma non può condividersi, in quanto frutto di un’erronea inadeguata ed insufficiente motivazione, la conclusione per la quale dovrebbe optarsi per la natura concessoria dell’atto, a fronte delle chiare indicazioni che depongono per l’assegnazione del bene demaniale quale alloggio di servizio, con la conseguente applicabilità della disciplina prevista per le locazioni abitative. In tale prospettiva, i giudici di appello hanno inteso valorizzare essenzialmente la natura demaniale del bene, fornendo quindi una lettura della altre previsioni contenute nell’atto chiaramente influenzata dal pregiudizio indotto dallo specifico regime proprietario dell’immobile, trascurando invece di prendere in esame la richiamata finalità abitativa dell’attribuzione, e la destinazione del bene ad alloggio di servizio, destinazione questa del tutto compatibile anche il carattere demaniale dell’immobile.

In tal senso, valga ricordare come anche il legislatore con la L. n. 537 del 1993, art. 9, comma 3 ha ritenuto di unificare, quanto alle condizioni economiche il regime degli alloggi concessi in uso personale a propri dipendenti dall’amministrazione dello Stato, dalle regioni e dagli enti locali, con un rinvio ai canoni ricavabili dai prezzi praticati in regime di libero mercato, o comunque in misura non inferiore all’equo canone, includendo in questa disciplina anche gli immobili demaniali, compresi quelli appartenenti al demanio militare.

Al fine poi di completare tale disciplina ha dettato altresì la L. n. 146 del 1998, art. 23 che prevede che a decorrere dal 1 gennaio 1994 (e cioè la medesima data per la quale è prevista l’entrata in vigore della L. n. 537 del 1993), il rapporto di locazione avente ad oggetto gli immobili del demanio e del patrimonio dello Stato destinati ad uso abitativo dei dipendenti pubblici è disciplinato dalla L. 27 luglio 1978, n. 392, e successive modificazioni.

Appare quindi evidente la volontà del legislatore di estendere alle assegnazioni di alloggi di servizio, con chiare finalità abitative, ed anche aventi ad oggetto beni demaniali, la disciplina tipica delle locazioni di diritto privato, e ciò anche al fine di assicurare un’adeguata remunerazione, mediante il rinvio ai prezzi di mercato ovvero all’equo canone.

In tal senso appare poi indicativo quanto affermato dalla recente decisione di questa Corte n. 1618/2016, che, proprio partendo dalle modifiche normative sopra riportate, ha tratto il convincimento della precisa volontà del legislatore di unificare la disciplina, in passato eterogenea delle concessioni di alloggi di servizio, riconducendola nel complesso a quella delle locazioni ad uso abitativo, con un rinvio che ha espressamente qualificato di tipo dinamico, in quanto idoneo a conformare la disciplina a quelle eventuali successive modifiche apportate dal legislatore al settore delle locazioni abitative.

La motivazione dei giudici di appello risulta quindi del tutto insufficiente in punto di qualificazione del rapporto, essendosi appunto arrestata alla verifica della natura del bene ed al nomen iuris adottato nella scrittura privata, omettendo di indagare quale fosse la reale sostanza del rapporto e la finalità, essenzialmente collegata alle specifiche mansioni lavorative del concessionario (cfr. in tal senso Corte Conti reg. Sardegna sez. giurisd. 18 gennaio 2008 n. 121, che sottolinea il vincolo di stretta dipendenza fra assegnazione dell’alloggio e rapporto di servizio, conf. Corte Conti reg. Sardegna sez. giurisd 12 luglio 2007 n. 845).

Quanto all’elemento della durata del rapporto, fissata in sei anni anzichè in quattro, oltre a doversi osservare che trattasi di termine che anche nell’ambito delle locazioni ordinarie è inderogabile solo nella durata minima, ma che ben può essere concordato per un periodo superiore ai quattro anni, le altre clausole che la CTR ha valorizzato ai fini della riconduzione della fattispecie ad una concessione del diritto di abitazione, oltre a giustificarsi per la peculiare natura del bene, appaiono in ogni caso volte ad assicurare il collegamento tra il godimento del bene e le sorti del rapporto di servizio con l’assegnatario dell’alloggio, e ciò in evidente analogia con quanto previsto in linea generale dall’art. 659 c.p.c. per tutte le ipotesi in cui il godimento di un immobile si correli ad una prestazione d’opera.

La sentenza deve quindi essere cassata ma, non emergendo la necessità di ulteriori accertamenti di merito, risultando in maniera palesa dagli stessi atti di causa, la sostanziale riconducibilità del rapporto scaturente dall’atto concessorio ad una concessione di un diritto personale di godimento assimilabile alla locazione, ben può essere decisa nel merito, dovendosi affermare l’insussistenza del diritto del Comune al pagamento dell’Ici da parte del ricorrente, il cui ricorso originario deve quindi essere accolto.

L’accoglimento del secondo motivo determina poi l’assorbimento del terzo motivo con il quale si denunzia la violazione dell’art. 112 c.p.c. con riferimento all’omessa pronuncia del giudice di appello in merito alla richiesta di provvedere al ricalcolo del tributo alla luce di quanto precisato dal D.M. 14 maggio 2006, o comunque l’omessa e/o insufficiente motivazione sulla medesima questione, trattandosi di doglianza chiaramente pregiudicata dalla previa risoluzione della problematica relativa ala natura giuridica del diritto scaturente dalla menzionata scrittura privata in capo al ricorrente.

Attesa la natura peculiare del rapporto e l’equivocità del riferimento alla natura concessoria del rapporto, si ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di tutti i gradi.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo, dichiara inammissibile il primo motivo ed assorbito il terzo, cassa il provvedimento impugnato e decidendo nel merito accoglie il ricorso del contribuente; compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione quinta civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2017

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