Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1231 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 19/11/2020, dep. 21/01/2021), n.1231

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17138/2017 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in

Roma, in via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

CONTRO

A.A. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso dall’avv.

Giuseppe Sirgiovanni (c.f. SRG GPP 38T10 D988U), con studio in Roma,

Via A. Bafile, n. 2, presso il quale è elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n.9367/16/7 della Commissione tributaria

regionale del Lazio, depositata in data 27dicembre 2016 e non

notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 novembre

2020 dal consigliere Giudicepietro Andreina.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

l’Agenzia delle entrate ricorre con due motivi avverso A.A. per la cassazione della sentenza n. 9367/16/7 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata in data 27 dicembre 2016 e non notificata, che, in controversia relativa all’impugnativa del diniego di definizione della lite, ai sensi del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, in relazione all’impugnativa dell’intimazione di pagamento della cartella n. (OMISSIS) per Iva dell’anno di imposta 1999, ha rigettato l’appello dell’Ufficio, averso la sentenza della C.t.p. di Roma favorevole al contribuente;

con la sentenza impugnata, la C.t.r riteneva che la violazione della norma sul giudice competente L. 27 dicembre 2002, n. 289 ex art. 16, che stabilisce che il diniego deve essere impugnato innanzi al giudice presso il quale pende la lite (nel caso di specie sarebbe stata la C.t.r.), non inficiava la validità della sentenza, ispirata ad una lettura costituzionalmente orientata della normativa in questione, nel senso di non negare un grado di giudizio al ricorrente;

inoltre, il giudice di appello riteneva che l’impugnativa dell’intimazione di pagamento, nel caso specifico, fosse definibile, in quanto l’intimazione stessa aveva avuto nei confronti del destinatario, socio accomandatario solidalmente responsabile per il debito Iva della società in accomandita semplice, funzione impositiva;

a seguito di rituale notifica del ricorso, il contribuente resiste con controricorso;

il ricorso è stato fissato per la Camera di Consiglio del 19 novembre 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

preliminarmente deve rilevarsi che non è ammissibile l’eccezione preliminare di giudicato sollevata da parte controricorrente, in quanto la sentenza richiamata (sent. n. 9364/16/7 della C.t.r. del Lazio) è priva di ogni attestazione di conformità della copia prodotta all’originale, nonchè del passaggio in giudicato, per mancata impugnazione;

con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate denunzia la violazione e falsa applicazione della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, comma 8, richiamato dal D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 39, comma 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

secondo la ricorrente, il combinato disposto delle norme citate non consentiva la lettura costituzionalmente orientata data dal giudice di appello ed imponeva di impugnare il provvedimento di diniego della definizione innanzi al giudice presso il quale pende la lite;

con il secondo motivo, l’Agenzia delle entrate denunzia la violazione e falsa applicazione del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 39, comma 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

l’Ufficio rileva che, nel caso di specie, l’intimazione di pagamento si riferisce ad un accertamento per maggiore Iva dovuta dalla società nell’anno 1999, divenuto definitivo a seguito di sentenza della C.t.r. del Lazio n. 128/28/07;

di conseguenza, la controversia non sarebbe definibile D.L. 6 luglio 2011, n. 98 ex art. 39, in quanto l’intimazione di pagamento emessa dall’agente della riscossione direttamente nei confronti del socio, quale responsabile solidale per le obbligazioni sociali, avrebbe solo la funzione di riscuotere la somma dovuta in applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, e non sarebbe un atto impositivo;

i motivi sono fondati e vanno accolti;

“in tema di condono fiscale L. 27 dicembre 2002, n. 289 ex art. 16, l’impugnazione del provvedimento di diniego della definizione agevolata della lite va proposta dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale essa pende in quanto unico giudice funzionalmente (ed esclusivamente) competente a conoscere della controversia” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24990 del 25/11/2005);

invero, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16, richiamato dal D.L. n. 98 del 2011, art. 39, l’impugnazione del provvedimento di diniego della definizione della lite, va proposta “dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la lite”;

la previsione normativa appare, all’evidenza, pienamente consonante con la finalità della definizione, anche in senso processuale, quale chiusura della “lite fiscale” pendente, con la possibilità che si pervenga ad una pronuncia di estinzione del giudizio, in ipotesi di accertata illegittimità del diniego;

nel caso di specie, quindi, il ricorso avverso il diniego di definizione della lite andava proposto inannzi alla C.t.r., che era in quel momento il giudice innanzi al quale pendeva l’impugnazione nella controversia avente ad oggetto l’intimazione di pagamento, circostanza incontestata;

comunque, anche nel merito, deve rilevarsi che la definizione agevolata delle controversie è applicabile ai soli giudizi aventi ad oggetto atti impositivi e non anche a quelli di impugnazione della cartelle di pagamento e/o atti di riscossione, che non si fondano su un accertamento discrezionale dell’Amministrazione, bensì riguardano la mera liquidazione di tributi già definitivamente esposti, cui segue un semplice calcolo contabile secondo criteri predeterminati per legge (vedi in generale 7099/2019; 28064/2018; 1571/2015; 14811/2011; 9194/2011);

nel caso in esame, l’intimazione di pagamento si riferisce ad un accertamento per maggiore Iva dovuta dalla società nell’anno 1999, divenuto definitivo a seguito di sentenza della C.t.r. del Lazio n. 128/28/07;

“la sentenza che abbia definitivamente accertato il credito tributario della società costituisce titolo esecutivo anche contro il socio illimitatamente responsabile, cui è opponibile senza che sia necessario notificargli l’atto impositivo originario e/o gli atti amministrativi e/o processuali conseguenti, in quanto dall’esistenza dell’obbligazione sociale deriva necessariamente la responsabilità del socio” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24795 del 21/11/2014);

pertanto, l’intimazione di pagamento, emessa direttamente nei confronti del socio, quale responsabile in via solidale delle obbligazioni sociali, ormai definitivamente accertate nei confronti della società con sentenza passata in giudicato, non può essere oggetto di definizione agevolata;

nella specie, infatti, il ricorrente nulla rileva circa il contenuto concreto del pregresso accertamento giudiziale nei confronti della società e dell’obbligazione solidale a suo carico, salvo il fatto che è si proceduto con cartella direttamente nei suoi confronti;

non vi è, quindi, alcuna controversia pendente sul rapporto tributario dal quale scaturisce l’obbligazione, che possa essere oggetto di definizione;

in accoglimento del secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata;

non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la Corte, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente;

si compensano le spese del doppio grado di merito;

le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

la Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel medito, rigetta rigetta il ricorso introduttivo del contribuente;

compensa le spese del doppio grado di merito;

condanna il controricorrente al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

 

 

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