Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1231 del 18/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 18/01/2017, (ud. 10/11/2016, dep.18/01/2017),  n. 1231

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21813/2015 proposto da:

AVV. S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso da sè

medesimo;

– ricorrente –

contro

EDITORIALE BRESCIANA S.P.A., P.IVA (OMISSIS), in persona del suo

Direttore Generale Operativo pro tempore, elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA A. BERTOLONI, 55, presso lo studio dell’avvocato

FEDERICO MARIA CORBO’, che la rappresenta e difende unitamente e

disgiuntamente all’avvocato FILIPPO MARIA CORBO’ giusta procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 346/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

emessa il 04/03/2015 e depositata il 17/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. DANILO SESTINI;

udito l’Avvocato Fischioni Giuseppe che si riporta agli scritti e

chiede la fissazione in Pubblica Udienza;

udito l’Avvocato Federico Maria Corbò, per la controricorrente, che

insiste nell’inammissibilità del ricorso.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

E’ stata depositata la seguente relazione ex art. 380 bis c.p.c..

“La Corte di Appello di Brescia ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda proposta dall’avv. S.M. per il risarcimento dei danni dal medesimo riportati per essere inciampato su un gradino della scala di un immobile di proprietà della Editoriale Bresciana s.p.a..

La Corte ha rilevato che l’attore non aveva provato le esatte modalità della caduta (risultando a tal fine inammissibile la prova offerta a mezzo di un capitolo di p.t. articolato solo in sede di gravame) e ha affermato che la domanda sarebbe stata “comunque da respingere” in quanto, difettando il requisito della pericolosità della scala (risultata dotata di corrimano e ben illuminata), doveva escludersi un rapporto causale fra il modo di essere della scala e la caduta, mentre “il modo di relazionarsi ad essa avrebbe dovuto essere diverso da quello con cui l’ha affrontata l’attore”.

Con i due motivi del presente ricorso, l’avv. S. contesta l’affermazione del difetto di efficienza causale della conformazione della scala.

Col primo (che prospetta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2051 c.c.), dopo aver evidenziato di avere potuto individuare un teste solo dopo che era stata pronunciata la sentenza di primo grado e dopo aver rilevato che le modalità dell’infortunio avrebbero potuto essere riscostruite a mezzo di presunzioni, il ricorrente si duole che la Corte abbia escluso la pericolosità della scala (peraltro disattendendo le diverse valutazioni del c.t.u.) ed abbia erroneamente individuato l’onere probatorio gravante sull’attore (assolto con la dimostrazione della caduta e delle peculiarità della scala) e quello incombente sulla convenuta (che avrebbe dovuto “dimostrare l’imprevedibilità oggettiva ovvero l’eccezionalità del comportamento del danneggiato ovvero l’intervento di un fatto estraneo interruttivo di quel nesso eziologico, perchè da solo idoneo a provocare l’evento”).

Col secondo motivo (“violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c.), si censura – in quanto “del tutto apodittica” – l’individuazione della causa della caduta nel modo in cui l’attore si era relazionato alla scala e si evidenzia che non era emerso che il S. avesse difficoltà deambulatorie e che – al contrario – era risultato che altre persone erano inciampate sullo stesso gradino.

I due motivi – che si esaminano congiuntamente – vanno disattesi.

Premesso che la decisione impugnata è basata sulla considerazione che la condotta (“modo di relazionarsi”) del S. fu la causa esclusiva della caduta (in una condizione di non pericolosità della scala), deve ritenersi che la Corte abbia correttamente applicato i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in riferimento all’art. 2051 c.c., che consentono di individuare il caso fortuito nella condotta imprudente dello stesso danneggiato (cfr., per tutte, Cass. n. 9546/2010).

Va esclusa, d’altra parte, la possibilità di censurare l’apprezzamento della condotta del S. in termini di caso fortuito, giacchè, involgendo valutazioni di merito, tale “apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici” (Cass. n. 6753/2004 e Cass. n. 472/2003).

Si propone pertanto il rigetto del ricorso, con condanna alle spese di lite”.

A seguito della discussione svolta in camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione, rilevando come la Corte di merito abbia sottolineato, a monte, la carenza di prova sulle esatte modalità della caduta.

Il ricorso va pertanto rigettato, con condanna alle spese di lite.

Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 3.000,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre rimborso spese forfettarie e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2017

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