Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12309 del 17/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 17/05/2017, (ud. 27/04/2017, dep.17/05/2017),  n. 12309

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23079-2012 proposto da:

COMUNE ROSETO VALFORTORE, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE MAZZINI 120, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO

DE LUCA, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO MELILLO giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

IP MAESTRALE 4 SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 28,

presso lo studio dell’avvocato ATTILIO PELOSI, rappresentata e

difesa dall’avvocato PAOLA LUMINI giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 42/2012 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

FOGGIA, depositata il 05/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/04/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie di parte ricorrente.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

La IP Maestrale 4 S.r.l. impugnava dinanzi alla CTR di Bari sezione distaccata di Foggia, la sentenza della CTP di Foggia n. 144/06/2007 che aveva rigettato l’opposizione proposta avverso l’avviso di accertamento ICI del Comune di Roseto Valfortore relativo all’anno 2000 e riferito ad un impianto eolico per la produzione di energia elettrica.

Il giudice di appello con la sentenza n. 42/27/2012 del 5 marzo 2012 accoglieva solo in parte il gravame, dichiarando non dovute le sanzioni, compensando le spese del doppio grado. Una volta disattesa l’eccezione d’inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi, ritenendo a contrario che erano evincibili le ragioni poste a fondamento dell’impugnazione, ed esclusa la decadenza dell’azione impositiva, posto che si trattava di avviso conseguente ad omessa dichiarazione ICI, per la quale vige il più lungo termine quinquennale, osservava, quanto al merito, che a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 88 del 2005, art. 1 quinquies avente esplicitamente natura interpretativa, e quindi portata retroattiva, doveva ormai ritenersi che anche le centrali eoliche, quali elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili costituiti per le speciali esigenze dell’attività industriale, devono ritenersi assoggettate all’obbligo di accatastamento.

Alle stesse deve quindi attribuirsi la categoria D, non potendo trovare accoglimento la subordinata richiesta dell’appellante di accatastamento nella categoria E, quali beni di pubblico interesse e di pubblica utilità, e come tali inidonei a produrre reddito.

In realtà i benefici che la produzione di energia alternativa, assicurata dalle centrali eoliche, apporta alla collettività, appaiono adeguatamente presi in considerazione dal legislatore mediante il riconoscimento di agevolazioni e benefici fiscali, ai quali non può aggiungersi anche l’assegnazione della categoria catastale invocata dall’appellante.

Riteneva infine corretta la determinazione della base imponibile effettuata dal Comune prendendo a parametro di riferimento il valore di impianti similari.

L’unico punto ritenuto invece meritevole di accoglimento, era invece quello relativo all’applicazione delle sanzioni, che ad avviso della CTR non andavano irrogate, atteso che, fino all’emanazione della legge n. 88 del 2005, sussistevano obiettive incertezze sulla portata ed applicazione della normativa ICI agli impianti di pale eoliche.

Il Comune di Roseto Valfortore ha chiesto la cassazione della sentenza del giudice di appello con ricorso affidato a due motivi cui l’intimata società ha resistito con controricorso.

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Il primo motivo denunzia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7 norma che ripete in gran parte il dettato della L. n. 4 del 1929, art. 4 e della L. n. 689 del 1981, art. 11.

Si rileva che tra i dati obiettivi in base ai quali commisurare l’entità della sanzione rientra anche quello della condotta dell’autore, sicchè correttamente il giudice di prime cure aveva ravvisato nel comportamento omissivo della società gli estremi per l’applicazione delle sanzioni.

Il secondo motivo denunzia invece la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8 del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6 e della L. n. 212 del 2000, art. 3.

Rileva il Comune che la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto inapplicabili le sanzioni in materia tributaria nei soli casi in cui le obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme alle quali la violazione si riferisce, e quindi solo quando la disciplina normativa si articoli in una pluralità di prescrizioni il cui coordinamento appaia difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto.

Nel caso di specie deve ritenersi carente il suddetto requisito dell’incertezza normativa, sicchè non si giustifica il mancato riconoscimento della debenza delle sanzioni.

I due motivi che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.

Rileva il Collegio che la costante interpretazione giurisprudenziale delle norme di cui si denunzia la violazione è nel senso che (cfr. Cass. n. 4394/2014) l’incertezza normativa obiettiva, che è causa di esenzione del contribuente da responsabilità, si profila quando la disciplina da applicare si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso, per l’equivocità del loro contenuto, con conseguente insicurezza del risultato interpretativo ottenuto, riferibile non già ad un contribuente generico o professionalmente qualificato o all’Ufficio finanziario, bensì al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione.

Analogamente è a dirsi (cfr. Cass. n. 17250/2014) laddove si profili impossibile individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione del caso di specie e che è rilevabile attraverso una serie di “fatti indice”, quali la difficoltà d’individuazione o d’interpretazione di disposizioni normative, l’assenza o contraddittorietà d’informazioni o prassi amministrative, la formazione di orientamenti giurisprudenziali difformi, il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale o tra opinioni dottrinali, l’adozione di norme d’interpretazione autentica o esplicative di norma implicita preesistente (in senso conforme ex multis Cass. n. 24588/2015; Cass. n. 23845/2016).

Tornando al caso in esame, non può non rilevarsi che ancorchè la tesi della necessità di computare nel calcolo per la determinazione della rendita catastale anche le pale eoliche fosse confermata anche da alcuni precedenti di questa Corte (cfr. Cass. n. 21730/2004), le incertezze legate alla difficile inquadrabilità di tali manufatti, ha indotto il legislatore a dettare una norma di interpretazione autentica con il D.L. 31 marzo 2005, n. 44, art. quinquies convertito in L. 31 maggio 2005, n. 88, norma sulla quale questa Corte ha avuto modo di affermare che: “In tema di classamento di immobili e con riferimento all’attribuzione della rendita catastale alle centrali idroelettriche, il D.L. 31 marzo 2005, n. 44, art. quinquies convertito in L. 31 maggio 2005, n. 88, includendo nella stima gli elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili caratterizzati da una connessione strutturale con l’edificio, tale da realizzare un unico bene complesso, e prescindendo dalla transitorietà di detta connessione nonchè dai mezzi di unione a tal fine utilizzati, impone di tener conto, nel calcolo della rendita, anche del valore delle turbine, le quali si configurano come elementi essenziali della centrale, incorporati alla stessa e non separabili senza una sostanziale alterazione del bene complesso. Tale disposizione, in quanto volta a dirimere un contrasto ermeneutico insorto relativamente alla situazione specifica delle centrali elettriche, non appare irragionevole nè introduce un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto ad altri beni classificabili nel gruppo catastale D, tenuto conto della disomogeneità degl’immobili inclusi in tale categoria, nè infine contrasta con il principio della capacità contributiva, la cui violazione non è prospettabile in riferimento alla determinazione della rendita catastale, che non costituisce un’imposta nè un presupposto d’imposta” (Cass. n. 13319 del 2006).

Non va poi trascurato che anche la norma de qua è stata sottoposta al giudizio della Corte Costituzionale che con la sentenza n. 162 del 2008, ha affermato che “il legislatore ha inteso risolvere il contrasto interpretativo con riferimento alle centrali elettriche (che si era determinato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione), senza innovare il concetto di immobile per incorporazione, quale emergente dalla normativa esistente ed evidenziato dalla giurisprudenza in precedenza richiamata”.

Solo una volta intervenuta la norma de qua devono ritenersi definitivamente venute meno le incertezze interpretative, essendosi quindi affermato un orientamento che può ormai definirsi costante a favore della soluzione sposata dalla sentenza impugnata quanto all’assoggettamento ad ICI dei manufatti in questione (cfr. Cass. n. 4028/2012; Cass. n. 3354/2015).

Il quadro sopra evidenziato non può che condurre alla conferma circa la corretta applicazione ad opera del giudice di merito delle norme sopra richiamate, e ciò soprattutto ove si tenga conto del fatto che l’annualità oggetto della pretesa impositiva (2000) è di vari anni precedente anche l’intervento del legislatore con la norma interpretativa sopra esposta.

Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del grado che liquida in Euro 5.000,00 per compensi oltre spese generali pari al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2017

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