Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12304 del 23/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/06/2020, (ud. 10/02/2020, dep. 23/06/2020), n.12304

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 14654-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente

domiciliata in ROMA, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

T.I.T.A. S.R.L. e P.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 40/07/2011 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della PUGLIA, depositata il 12.5.2011, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10.2.2020 dal Consigliere Dott.ssa DELL’ORFANO ANTONELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale DE

AUGUSTINIS UMBERTO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

uditi per la ricorrente l’Avvocato dello Stato NERI ALESSIA URBANI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 12.5.2011 la Commissione tributaria regionale della Puglia ha respinto l’appello avverso la sentenza n. 23/09/2010 della Commissione tributaria provinciale di Bari in accoglimento del ricorso, proposto dalla Tita S.r.L., avverso avviso di accertamento IVA IRAP IRES 2004 con attribuzione alla società di maggiori ricavi in applicazione dello studio di settore.

In particolare, la CTR ha ritenuto infondato l’appello dell’Ufficio avendo gli studi di settore valore di presunzioni semplici, non legali, che non erano state supportate, nel caso di specie, da altri elementi con riferimento alla specifica attività ed alla situazione concreta dell’impresa accertata, considerata anche la “notoria crisi del settore del commercio di abbigliamento al dettaglio” e la mancata rilevanza dell’accertato scostamento tra ricavi dichiarati e risultanti dagli studi di settore.

Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

La società contribuente è rimasta intimata.

Con ordinanza emessa in data 12.12.2018 il Collegio ha disposto il rinnovo della notifica nei confronti della società, stante il mancato perfezionamento della notifica nei confronti della stessa.

Eseguito il rinnovo della notifica nei confronti dell’unico socio della Tita S.r.L. (nelle more cancellata dal Registro delle Imprese), P.F., quest’ultimo è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione della presunzione semplice fondata sugli studi di settore e violazione dell’art. 2697 c.c.” non avendo la CTR rilevato il mancato adempimento dell’onere probatorio a carico della.

1.2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omessa e/o insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo” avendo la CTR omesso di valutare gli elementi fattuali dedotti dall’Ufficio al fine di avvalorare le risultanze degli studi di settore.

1.3. I motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, sono fondati.

1.4. Come già affermato da questa Corte (cfr. Cass. nn. 24330/2019, 23252/2019), in tema di reddito d’impresa, qualora il contribuente, regolarmente invitato, non si avvalga della facoltà di prendere parte al contraddittorio precontenzioso, l’Amministrazione finanziaria può fondare il proprio accertamento anche esclusivamente sulle risultanze del confronto tra il reddito dichiarato e quello calcolato facendo applicazione degli studi di settore, salvo il diritto del contribuente di allegare e provare in sede contenziosa, anche per la prima volta, elementi idonei a vincere le presunzioni su cui l’accertamento tributario sì fonda.

1.5. Emerge dalla sentenza impugnata che l’Ufficio non aveva potuto instaurare il contraddittorio preventivo con la contribuente per inerzia di quest’ultima, non essendosi presentata all’invito che le era stato rivolto.

1.6. La CTR, tuttavia, pur dando atto della mancata collaborazione della contribuente, ha respinto l’appello erariale sostenendo che gli studi di settore non integravano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento in quanto presunzioni semplici non supportate, da parte dell’Ufficio, da altri elementi di prova, ritenendo altresì che la contribuente avesse comunque offerto idonea controprova, relativamente alla ” notoria crisi del settore del commercio di abbigliamento al dettaglio per effetto dell’affermarsi sempre più esteso del fenomeno della grande distribuzione” e la mancata rilevanza dell’accertato scostamento del 15% tra ricavi dichiarati e risultanti dagli studi di settore, che non poteva ritenersi “grave” sulla base di quanto dianzi rappresentato.

1.7. Come dianzi illustrato, il contribuente, laddove non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito.

1.8. Le giustificazioni addotte dalla contribuente (generica e non comprovata allegazione di una crisi economica del settore del commercio di abbigliamento al dettaglio) non costituiscono inoltre elementi idonei a destituire di valenza i dati emergenti dalle risultanze degli studi di settore, anche a fronte delle specifiche contestazioni dell’Ufficio, contenute nell’avviso di accertamento, ritualmente trascritto in parte qua nel ricorso) circa l’incongruenza tra il costo del venduto e l’ammontare dei ricavi (ad esso superiore) e la perdita di esercizio dichiarata per quell’anno di imposta.

1.9. Sono quindi fondate le censure dell’Ufficio intese a far valere un errore di diritto ed un difetto di motivazione della sentenza impugnata, in cui si è omesso di valutare il fatto della mancata prova, da parte del contribuente, in sede di contraddittorio, circa la sussistenza di circostanze idonee in astratto a contrastare la presunzione di maggior reddito, trascurando che ove, come nella specie, il contraddittorio sia stato attivato e il contribuente si sia limitato a mera attività assertiva senza addurre elementi concreti in grado di supportarla, a fondare l’accertamento ben può bastare, di per sè, l’applicazione dello studio di settore.

2.1. Avendo inoltre l’accertamento ad oggetto, oltre alle imposte dirette, anche l’Iva, è opportuno esaminare la questione circa l’applicabilità al processo in esame della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1 comma 23, che ha modificato la L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 10, a decorrere dall’1.1.2007.

2.2. Come recentemente affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 8854/2019), sulla base di principi di diritto che il Collegio ritiene pienamente condivisibili, la L. n. 146 del 1998, art. 10 comma 1, come modificato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 23, lett. b, con cui è stato soppresso ai fini dell’accertamento basato sugli studi di settore l’originario riferimento alle “gravi incongruenze” di cui al testo originale del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, comma 3, si applica solo agli avvisi di accertamento emessi in data successiva all’entrata in vigore della L. n. 296 del 2006, quindi dall’1.1.2007 (Cass., 26481/2014, cit; Cass., 30760/2017; Cass., 24621/2017) ed ai fini della applicabilità della novella del 2006 (L. n. 296 del 2006 in vigore dall’ 1-1-2007), deve tenersi conto della data di notifica dell’avviso di accertamento e non dell’anno di imposta, eventualmente anteriore all’1.1.2007, in virtù della generale regola tempus regit actum, in assenza di una specifica norma transitoria di contenuto diverso (Cass., 17807/20179).

2.3. Poichè, nella specie, l’avviso è stato notificato il 5.11.2008, anche se riferito all’anno 2004, deve applicarsi la L. n. 146 del 1998, art. 10, come modificato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 23; tuttavia, l’orientamento per cui il presupposto delle “gravi incongruenze” non sarebbe più necessario per gli avvisi di accertamento notificati dopo l’1.1.2007, anche se relativi ad anni di imposta anteriori a tale data, deve essere opportunamente riconsiderato alla stregua della recente pronuncia della Corte di giustizia (Corte giustizia UE, 21 novembre 2018, n. 648).

2.4. Infatti, in base alla giurisprudenza Eurounitaria (Corte Giustizia UE, 648/2018, cit.) la direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, nonchè i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che consenta all’Amministrazione finanziaria, a fronte di “gravi divergenze” tra i redditi dichiarati ed i redditi stimati sulla base di studi di settore, di ricorrere ad un metodo induttivo, basato sugli studi di settore stessi, al fine di accertare il volume d’affari realizzato dal contribuente e procedere, di conseguenza, a rettifica fiscale con imposizione di una maggiorazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), a condizione che tale normativa e la sua applicazione permettano al contribuente stesso, nel rispetto dei principi di neutralità fiscale, di proporzionalità nonchè del diritto di difesa, di contestare, sulla base di tutte le prove contrarie di cui disponga, le risultanze derivanti da tale metodo e di esercitare il proprio diritto alla detrazione dell’imposta ai sensi delle disposizioni contenute nel titolo X della direttiva 2006/112, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare (la Corte si è così pronunciata nell’ambito di una controversia insorta tra una contribuente italiana e l’Agenzia delle Entrate in merito ad un avviso d’accertamento Iva).

2.5. Va evidenziato che tale pronuncia, seppure riferita espressamente all’Iva, detta un principio di diritto applicabile anche alle imposte dirette, atteso che, in motivazione la Corte di giustizia, dopo aver fatto riferimento al principio di “neutralità fiscale”, proprio di tale specifica disciplina, si sofferma su quello di proporzionalità, sottolineando che “tale principio non osta a che una normativa nazionale prevede che solamente a fronte di rilevanti divergenze tra l’importo del volume di affari dichiarato dal contribuente e quello determinato in base al metodo induttivo, sulla scorta del volume di affari realizzato da soggetti esercenti la stessa attività del contribuente, possa avviarsi il procedimento di verifica fiscale”.

2.6. Il principio di “proporzionalità”, però, non è limitato all’IVA, ma riguarda anche le imposte dirette, dovendosi considerare la prioritaria tutela del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. (cfr. Cass. n. 5327/2019, proprio in tema di studi di settore, con uno scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dagli studi di settore dell’8%, con il rigetto del ricorso per cassazione proposto dalla Agenzia delle entrate).

2.7. Peraltro, anche nella normativa nazionale sugli studi di settore il requisito delle “gravi incongruenze” è richiesto espressamente, atteso che il D.L. n. 331 del 1993, art. 62, comma 3-sexies, tuttora vigente, contiene ancora il riferimento alle “gravi incongruenze”, menzionando espressamente, tra l’altro, non solo la disciplina sull’accertamento delle imposte dirette di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, ma anche quella relativa all’Iva, di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54.

2.8. Infatti, si prevede in tale disposizione (“attività di accertamento nei riguardi dei contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili”) che “gli accertamenti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi del presente decreto, art. 62-bis”.

2.9. La L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 10, comma 1 (“modalità di utilizzazione degli studi di settore in sede di accertamento”), dopo le modifiche di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 23, in vigore dall’1.1.2007, ai sensi della stessa legge, art. 1, comma 24, continua a fare riferimento al D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, e quindi anche alle “gravi incongruenze” (“Gli accertamenti basati sugli studi di settore, di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies …, sono effettuati nei confronti dei contribuenti con le modalità di cui al presente articolo, qualora l’ammontare dei ricavi o compensi dichiarati risulta inferiore all’ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli studi stessi”).

2.10. Inoltre, la L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 4-bis, ribadisce l’applicabilità della disciplina di accertamento sia alle imposte dirette che all’iva, mediante il richiamo sia al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), sia al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 (“Le rettifiche sulla base di presunzioni semplici di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), secondo periodo, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, ultimo periodo, non possono essere effettuate nei confronti dei contribuenti che dichiarino, anche per effetto dell’adeguamento, ricavi o compensi pari o superiori al livello della congruità, ai fini dell’applicazione degli studi di settore di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 62-bis… tenuto altresì conto dei valori di coerenza risultanti dagli specifici indicatori, di cui alla presente legge, art. 10-bis, comma 2, legge, qualora l’ammontare delle attività non dichiarate, con un massimo di 50.000 Euro, sia pari o inferiore al 40 per cento dei ricavi o compensi dichiarati”).

2.11. Non v’è stata, dunque, una abrogazione implicita del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, da parte della L. n. 296 del 2006 (art. 23, comma 23), che ha modificato la L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 10, comma 1.

2.12. In precedenza questa Corte ha ritenuto come scostamenti solo lievi, e quindi inidonei alla rettifica dei redditi quelli del 4,23 % (Cass., 14 luglio 2017, n. 17486), del 7 % (Cass., 26 settembre 2014, n. 20414), del 10 (Cass., 2637/2019), del 21 % (Cass., 10 novembre 2015, n. 22946), con la precisazione che la nozione di “grave incongruenza” non può essere ricavata avendo riguardo in via assoluta a precise soglie quantitative fisse di scostamento, essendo, invece, la nozione di indici di natura relativa da adattare a plurimi fattori propri della singola situazione economica, del periodo di riferimento ed in generale della stessa storia commerciale del contribuente destinatario dell’accertamento, oltre che del mercato e del settore di operatività.

2.13. Pertanto, al fine di individuare divergenze significative tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dagli studi di settore, si può anche fare riferimento al D.P.R. 16 settembre 1996, n. 570, art. 2 comma 1, lett. a, (“regolamento per la determinazione dei criteri in base ai quali la contabilità ordinaria è considerata inattendibile, relativamente agli esercenti attività di impresa, arti e professioni”), il quale dispone che “ai medesimi fini indicati nel comma 1, le contraddizioni tra le scritture obbligatorie e i dati e gli elementi direttamente rilevati si considerano gravi e rendono altresì inattendibile la contabilità ordinaria degli esercenti attività di impresa, quando: a)i valori rilevati a seguito di ispezioni o verifiche, anche parziali…abbiano uno scostamento, rispetto a quelli indicati in contabilità, superiore al 10 per cento del valore complessivo delle voci interessate, a condizione che tale scostamento non sia riconducibile a errata applicazione dei criteri di valutazione ovvero di imputazione temporale”, ed analogamente al D.P.R. n. 570 del 1996, art. 1, comma 2, lett. b), si prevede che “tali contraddizioni” si considerano “gravi” quando “non risultano indicati in alcuna delle scritture contabili o, in mancanza dell’obbligo di indicazione nelle stesse, in altra documentazione attendibile, uno o più beni strumentali…il cui valore complessivo sia superiore al 10 per cento di quello di tutti i beni strumentali utilizzati…”.

2.14. Nella specie, lo scostamento tra l’importo dei ricavi dichiarati dalla società e quelli calcolati in base agli studi di settore è superiore al 13 % tenendo conto del ricavo “puntuale” e tale scostamento risulta rilevante, soprattutto in relazione all’ammontare dei ricavi dichiarati pari ad Euro 677.465,00 a fronte della somma di Euro 782.132,00 accertati in base agli studi di settore, sicchè si è verificata una divergenza significativa tale da giustificare l’emissione dell’avviso di accertamento.

3. Quanto sin qui illustrato comporta l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata.

4. Inoltre, non richiedendosi, per la risoluzione della controversia, alcun altro accertamento di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c., comma 1, con il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente.

5. Poichè l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte, in base al quale si è decisa la causa, s’è consolidato dopo la proposizione del ricorso introduttivo, si ritiene opportuno compensare tra le parti le spese processuali delle fasi di merito, con condanna della controricorrente al pagamento delle spese del presente grado, con liquidazione come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente, compensando tra le parti le spese processuali dei gradi di merito; condanna la parte intimata al pagamento delle spese di questo giudizio che liquida in Euro 7.300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, il 10 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020

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