Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12303 del 10/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/05/2021, (ud. 26/11/2020, dep. 10/05/2021), n.12303

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina M. – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria Giuli – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet T – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22734/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

CONTRO

Co.Ge.Se., Costruzioni Generali Sette s.r.l., in persona del curatore

fallimentare avv. Andrea Ribotta, c/o lo studio in Roma via Guido

Reni 33;

– intimato –

S.M., rappresentato e difeso dall’avv. Vincenzo Greco e

dall’avv. Andrea Saldutti, elett. dom. presso lo studio del primo,

in Roma, via Federico Cesi, 21;

– controricorrente –

Se.Ma.Gi.;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 202/04/2013, depositata il 15 maggio 2013, notificata il 26

giugno 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 novembre

2020 dal Consigliere Adet Toni Novik.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio (CTR), n. 202/04/2013, depositata il 15/5/2013, di rigetto dell’appello da essa proposto avverso la sentenza di primo grado della CTP di Roma che aveva parzialmente accolto, nei termini di seguito specificati, i ricorsi proposti da Costruzioni Generali S. S.r.l. (di seguito, la società: per il periodo 1/1/2005-16/6/2005 costituita nella forma di società di persone) e dai soci, S.M. e Se.Ma.Gi., per l’annullamento degli avvisi di accertamento di maggiori ricavi Iva, Ires e Irap per gli anni di imposta 2005 – 2006, in relazione ai rapporti contrattuali intercorsi con la ditta individuale Oddi Vitaliano, esercente l’attività di lavori generali di costruzioni edifici, ritenuti afferenti ad operazioni inesistenti;

– nello specifico, dalla sentenza impugnata si ricava che, con la sentenza n. 246/1/2011 il giudice di primo grado aveva accolto il ricorso della società soltanto limitatamente ai pagamenti delle fatture emesse dalla ditta Oddi effettuati con assegni bancari, mentre aveva ritenuto fondati i rilievi dell’ufficio relativamente ai pagamenti di fatture effettuati per contanti, ritenuti afferenti ad operazioni inesistenti.

2. Il giudice di appello a sostegno della decisione osservava: – atteso che la società era stata assegnataria di numerosi contratti di appalto, era verosimile che le fatture emesse dalla ditta Oddi fossero relative a lavori eseguiti presso i cantieri realmente esistiti; – l’ufficio aveva fondato le sue conclusioni solo sulla verifica eseguita dalla GdF di Roma, sfavorevole ai ricorrenti, senza dare conto delle incongruenze e discordanze ravvisabili; – in particolare, nella valutazione degli indizi, era necessario valutare anche le dichiarazioni favorevoli rese dai dipendenti della ditta Oddi, sia relativamente ai lavori prestati nei cantieri più grossi, sia presso i cantieri appaltati dal ministero degli interni e dai carabinieri, per l’accesso ai quali, diversamente da quanto dichiarato dai direttori dei lavori, non era necessario il rilascio di permessi (passi) a loro nome;

– osservava ancora che, secondo la giurisprudenza di legittimità, nell’ipotesi di indebita detrazione di costi documentati da fatture ritenute dall’amministrazione relative a operazioni inesistenti, spettava al contribuente fornire la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni stesse, prova che non poteva consistere nella esibizione dei mezzi di pagamento; tuttavia, nel caso in esame, i lavori “risultano certamente eseguiti, in cantiere realmente esistiti, attinenti a commessa assegnata alla società contribuente”;

– d’altra parte, aggiungeva, che non era stata fornita dall’ufficio la prova della inesistenza delle operazioni, a tanto non essendo sufficiente, in mancanza della prova del ritorno del denaro nelle disponibilità della società stessa, che gli assegni fossero stati incassati allo sportello alla presenza dei suoi amministratori;

– confermava la decisione di primo grado in relazione ai pagamenti effettuati per contanti.

3. Il ricorso è affidato a due motivi, cui il solo S.M. ha replicato con controricorso;

4. con ordinanza interlocutoria, la Corte ha disposto la rinnovazione della notifica nei confronti di Se.Ma.Gi. nel domicilio eletto in Roma, via Federico Cesi n. 21, presso lo studio dell’avv. Vincenzo Greco, e nei confronti della società, nelle more dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Roma n. 1076 del 17/12/2014, in persona del curatore;

– l’Agenzia ha depositato atto di ricorso in riassunzione proposto nei confronti del curatore della fallita Costruzioni Generali S. s.r.l. e dei soci S.M. e Se.Ma.Gi.;

– nessuno degli intimati si è costituito.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Preliminarmente, rileva la Corte che la notifica del ricorso nei confronti del curatore della fallita Costruzioni Generali S. s.r.l. è avvenuto tardivamente: infatti, risulta dal controllo degli atti che, dopo una prima notifica non andata a buon fine, l’ulteriore notifica è stata eseguita il 2/9/2020, oltre il termine di 60 giorni dalla notifica dell’ordinanza 28/11/2019 con cui si disponeva la rinnovazione della notifica, notificata telematicamente il 21/5/2020.

2. Ancora in via preliminare, si osserva che le eccezioni sollevate dalla società di inammissibilità del ricorso sono infondate:

– quanto a quella fondata sull’assenza del requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, diversamente da quanto sostenuto dal controricorrente, il ricorso in esame contiene specifiche, intellegibili ed esaurienti argomentazioni idonee a delineare la quaestio juris e a motivatamente censurare le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, anche evidenziandone la contrarietà con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità;

– quanto a quella di violazione del principio di autosufficienza in relazione all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorso riporta in allegato tutti i documenti su cui l’agenzia poggia i propri assunti ed è, inoltre, articolato con la trascrizione integrale dell’avviso di accertamento; esso pertanto contiene in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio e accedere a fonti esterne allo stesso ricorso.

3. Con il primo motivo di ricorso, l’agenzia denuncia “nullità per carenza della motivazione in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2 e 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”;

– evidenzia che la CTR si era “limitata a reiterare in modo acritico la motivazione fornita dalla CTP, giungendo persino ad utilizzare le medesime parole, ed omettendo di illustrare le ragioni della conferma della decisione di prime cure in relazione alle censure formulate dall’ufficio in appello”, censure con cui erano state illustrate in dettaglio le ragioni per cui le operazioni ed i rapporti commerciali intercorsi tra Oddi e la società ricorrente dovevano considerarsi inesistenti;

– la censura è infondata;

– va ribadito che: -“La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01); – “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830);

– in relazione ai summenzionati parametri, la sentenza impugnata non merita affatto cassazione per il dedotto vizio motivazionale, posto che, sia pure in forma alquanto sintetica, comunque espone le ragioni essenziali per le quali ha rigettato il gravame dell’agenzia nei termini esposti nel “Rilevato che”. Si può dunque affermare che la motivazione della sentenza medesima superi la soglia del c.d. “minimo costituzionale”. Trattandosi di motivazione che esplicita le ragioni della decisione, eventuali profili di “insufficienza” della motivazione non determinano nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

4. Con il secondo motivo di ricorso, l’agenzia denuncia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, comma 1 e art. 54, comma 2, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora art. 109), nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”;

– evidenzia che, in base ai rilievi contenuti nell’avviso di accertamento integralmente riportato ai fini dell’autosufficienza -, la CTR aveva fondato la decisione su due erronei assunti: da un lato la probabilistica, “verosimile”, considerazione che le fatture emesse da Oddi fossero riferibili a lavori effettivamente effettuati, dall’altro che ad escludere la fittizietà delle operazioni fosse sufficiente la prova dell’avvenuto pagamento;

– al contrario, osserva che, avendo l’ufficio fornito elementi indiziari per ritenere l’inesistenza delle operazioni, spettava alla società dare la prova dell’effettività di esse, non potendo detta prova esaurirsi nell’accertamento del pagamento della merce in quanto circostanza non decisiva;

– la censura è fondata;

– va premesso che “In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili” (Sez. 5, Sentenza n. 428 del 14/01/2015, Rv. 634233 – 01). E’ superfluo precisare, trattandosi di principi generali in tema di prova, che la prova dell’inesistenza delle operazioni può ben consistere in presunzioni semplici, poichè la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. n. 9108 del 2012, cit.). Pertanto, nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, cioè sia una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’IVA e/o deduzione dei costi, ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata (ad esempio, provando che la società emittente la fattura è una “cartiera”, quali ad es. la mancanza di sede, la mancanza di iscrizione, l’omesso versamento delle imposte) e a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Quest’ultima prova non potrà consistere, però, per quanto detto sopra, nella esibizione della fattura, nè nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (tra le altre, (v. Cass. n. 14237 del 07/06/2017; Cass. n. 20059 del 24/09/2014; Cass. n. 25778 del 05/12/2014; Cass. n. 10414 del 12/05/2011; nello stesso senso Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C-439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, Mahageben e David, C-80/11 e C-142/11);

– il giudice tributario di appello non ha fatto corretta applicazione di questi principi atteso che negli avvisi di accertamento, facendo propri i rilievi contenuti nel PVC del 6/4/2010, si era evidenziato che:

– la ditta Oddi per l’anno 2005 aveva esposto in dichiarazione ricavi per importi di gran lunga inferiori all’ammontare delle fatture rinvenute, omettendo di versare le relative imposte;

– non vi era corrispondenza tra le somme versate con assegni nel periodo 2000 2007 (831.500) e quelle risultanti dalle fatture (8.693.407,47);

– i direttori dei lavori e i responsabili della sicurezza di alcuni cantieri ove la ditta avrebbe lavorato avevano escluso che essa aveva eseguito prestazioni;

– lo stesso Oddi aveva dichiarato di aver lavorato in qualche cantiere della contribuente per la posa in opera di pavimenti e rivestimenti, attività questa incompatibile con le somme movimentate;

– è evidente che, accertata l’assenza dell’operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente (il quale sa bene se una determinata fornitura di beni o prestazione di servizi l’ha effettivamente ricevuta o meno).

In conclusione il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata. La CTR liquiderà le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Fallimento; accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla CTR del Lazio in diversa composizione, che provvederà alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2021

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