Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1230 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 19/11/2020, dep. 21/01/2021), n.1230

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14296/2015 R.G., proposto da:

S.R., elettivamente domiciliato in Roma, alla via G. Borsi,

n. 4, presso lo studio dell’Avv. Federica Scafarelli, che lo

rappresenta e difende, unitamente e disgiuntamente all’Avv. Luca

Mazzeo e all’Avv. Barbara De Cristofaro;

– ricorrente –

CONTRO

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., rappresentata e

difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui

uffici è domiciliata, in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 113/2014 della Commissione Tributaria Centrale

di Bolzano, depositata il 10/06/2014 e non notificata;

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 19 novembre

2020 dal Consigliere Giudicepietro Andreina.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

il Sig. S.R., in qualità di erede di V.H., ricorre con tre motivi di ricorso, per l’annullamento della sentenza n. 113/2014 della Commissione Tributaria Centrale di Bolzano, depositata il 10/06/2014 e non notificata che, in controversia relativa alla normativa fiscale applicabile alla indennità di esproprio percepita nell’anno 1990 ed alla zona di inserimento del terreno oggetto di esproprio, ha rigettato il ricorso proposto dal V.H., confermando la sentenza, emessa dalla Commissione Tributaria di II grado di Bolzano;

con la sentenza impugnata, la Commissione Tributaria Centrale di Bolzano, rilevato che le questioni di legittimità costituzionale della normativa in esame erano state superate dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 315/1994, riteneva che la tesi della ricorrente, secondo la quale l’indennità di esproprio non debba essere assoggettata alla trattenuta del 20%, prevista a titolo di imposta dalla L. n. 413 del 1991, art. 11, solo perchè riscossa prima del 31/12/1991, ossia la data di entrata in vigore della legge stessa, fosse smentita dalla disposizione letterale del comma 9 dello stesso articolo che ha esteso retroattivamente l’ambito oggettivo di applicazione del prelievo fiscale, limitandolo alle somme percepite in conseguenza di atti anche volontari o di provvedimenti emessi successivamente al 31/12/1988;

secondo i Giudici della sentenza impugnata, l’atto espropriativo era stato emesso dopo la data di cui sopra, per cui, da un punto di vista temporale, la corresponsione dell’indennità rientrava appieno nel periodo di applicazione della Legge in questione;

per quanto riguardava, poi, la questione della zona di inserimento del terreno, oggetto di esproprio, la Commissione Tributaria Centrale di Bolzano sosteneva che la ricorrente non avesse provato nulla, essendosi limitata ad una mera enunciazione;

a seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;

il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 10 luglio 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;

con ordinanza interlocutoria, il ricorso è stato rinviato a nuovo ruolo e fissato all’udienza del 19 novembre 2020, per trattazione congiunta con il ricorso 20520/2014.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo di ricorso, il ricorrente censura la violazione e falsa applicazione della L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 9, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

la Commissione Tributaria Centrale di Bolzano, con la sentenza impugnata, ha ritenuto che il regime impositivo, di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, fosse, in ogni caso, applicabile, in virtù “del comma 9 dello stesso articolo che ha esteso retroattivamente l’ambito oggettivo di applicazione del prelievo fiscale, limitandolo alle somme percepite in conseguenza di atti anche volontari o di provvedimenti emessi successivamente al 31/12/1988”;

secondo il ricorrente, sebbene la L. sopra menzionata, art. 11, comma 9, preveda espressamente che il regime impositivo di cui all’art. 11, comma 5, si applichi anche a quelle somme che vengano corrisposte al privato in conseguenza di provvedimenti di esproprio emessi tra il 31/12/1988 e la data di entrata in vigore della L. n. 413 del 1991 (31/12/1991), la stessa norma non indica, però, altrettanto espressamente, che debba trattarsi di somme corrisposte al privato nel medesimo triennio;

inoltre, la scelta di rendere applicabile la norma impositrice anche a somme corrisposte al privato antecedentemente all’entrata in vigore della legge deve ritenersi limitata alla sola annualità 1991 e, quindi, a quelle somme corrisposte al privato in detto periodo di imposta;

secondo il ricorrente, in tale senso deporrebbe anche la sentenza n. 315/1994 della Corte Costituzionale, che ha escluso l’illegittimità costituzionale dell’efficacia retroattiva della L. n. 413 del 1991, art. 11, in ragione della permanenza della capacità contributiva nel breve lasso di tempo previsto dalla normativa in esame;

ciò in quanto, a norma dell’art. 53 Cost., il tributo deve incidere su un indice di ricchezza prodotto dal privato, che sia effettivo ed attuale;

la Corte Costituzionale ha, anche, affermato che l’applicazione retroattiva di una legge d’imposta impone l’obbligo dell’interprete di verificare, di volta in volta, se tale applicazione interrompa, spezzandolo, il nesso che deve sussistere tra momento impositivo e capacità contributiva del privato (Corte Cost. sentenze nn. 44/1966 e 143/1982);

di conseguenza, ammettere che il regime impositivo, di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 5, sia applicabile anche alle indennità corrisposte al privato nel triennio 31/12/1988 – 31/12/1991, significherebbe applicare la legge d’imposta, violando, tanto il dettato normativo di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 9, quanto il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.;

dunque, secondo il ricorrente, traslando le predette argomentazioni al caso di specie, deve ammettersi l’assoluta illegittimità del prelievo eseguito nei confronti della Sig.ra V.H., atteso che l’indennità di esproprio è stata incassata ben prima dell’anno 1991;

con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente censura la violazione e falsa applicazione della L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 5, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

nella sentenza impugnata, la Commissione Tributaria Centrale di Bolzano ha affermato che “quanto alla questione concernente la zona di inserimento del terreno oggetto di esproprio, nulla ha provato la ricorrente, limitandosi ad una mera enunciazione”;

secondo il ricorrente il giudice di merito ha violato la L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 5, che richiede, oltre alla inclusione dei terreni espropriati all’interno di una delle zone territoriali omogenee di tipo A, B, C, D, di cui al D.M. 2 aprile 1968, art. 2, anche la destinazione degli stessi terreni alla realizzazione di “opere pubbliche”, “infrastrutture urbane” ovvero “interventi di edilizia residenziale pubblica e popolare”;

a conclusione diversa non può giungersi nemmeno in base alla sentenza della Suprema Corte n. 14362/2011, secondo cui sarebbero suscettibili di essere tassate anche le indennità di esproprio, “qualunque sia la finalità concreta della medesima procedura espropriativa” e, quindi, a prescindere dal fatto che l’immobile, oggetto di espropriazione, venga destinato alla realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità, rientrando in quest’ultima categoria anche gli insediamenti produttivi e gli impianti industriali, pur se realizzati da privati;

sostiene il ricorrente che la ratio della L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 5, come osservato da autorevole dottrina, sarebbe quella di colpire non già qualsiasi manifestazione di capacità contributiva, ma soltanto quelle derivanti da incrementi di valore dei terreni che siano svincolati da una corrispondente attività produttiva del privato;

in ragione di tale finalità, non a caso il legislatore avrebbe inteso circoscrivere la tassazione delle plusvalenze conseguenti alla corresponsione di indennità di esproprio soltanto a quei terreni destinati alla realizzazione di “opere pubbliche”, “infrastrutture urbane”, ovvero “interventi di edilizia residenziale pubblica e popolare”;

ciò perchè solo nell’ambito delle procedure ablatorie, a tal fine destinate, sussiste l’esigenza dello Stato di reperire risorse finanziarie da devolvere a tale specifico utilizzo edificatorio;

con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente censura la violazione degli artt. 24 e 53 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

secondo il ricorrente, se la Corte di Cassazione dovesse ritenere che il regime impositivo transitorio di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 9, si applichi anche alle indennità percepite ancor prima dell’anno 1991, si verificherebbe un caso di illegittimità costituzionale della L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 9, nella parte in cui non prevede la possibilità del contribuente di dimostrare che il reddito prodotto con la percezione della indennità di esproprio non è più nella propria disponibilità;

ed infatti, in questo caso, l’articolo in esame si porrebbe in aperta violazione con l’art. 53 Cost, per difetto del requisito di attualità della capacità contributiva;

la stessa norma si porrebbe anche in violazione dell’art. 24 Cost, in quanto renderebbe preclusa al privato la possibilità di adire l’Autorità giudiziaria competente, al fine di far valere l’intangibilità di un proprio diritto sostanziale, concernente la titolarità del patrimonio;

nel caso di specie, infatti, secondo il ricorrente, non può tenersi conto, a differenza di quanto affermato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 315/1994), che quell’indice di capacità contributiva, realizzatosi quando l’ordinamento tributario non lo disciplinava come presupposto impositivo, possa non essere più nella materiale disponibilità del privato il quale, peraltro, al momento della sua realizzazione, non era nemmeno a conoscenza di un correlato obbligo di contribuzione;

di conseguenza, quanto meno nell’ipotesi di tassazione retroattiva, la prova che venisse fornita dal contribuente, circa la non più presente disponibilità in concreto della somma realizzata, risponderebbe all’esigenza di verificare il requisito di attualità della capacità contributiva del soggetto obbligato;

al tempo stesso, il riconoscimento di un diritto di prova contraria consentirebbe, altresì, al privato di agire in giudizio, conformemente al dettato costituzionale di cui all’art. 24 Cost., per ottenere tutela di un proprio diritto soggettivo, intangibile, ai fini fiscali, perchè non più coerente con il principio di capacità contributiva;

il ricorrente, inoltre, fa presente che l’applicazione al caso di specie del regime impositivo di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 9, si porrebbe in contrasto con l’art. 1 del Protocollo addizionale della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, in tema di “Protezione della proprietà” dell’individuo e, quindi, anche con l’art. 117 Cost., comma 1, a norma del quale la potestà legislativa dello Stato è esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali;

con tale norma gli Stati firmatari della Convenzione hanno voluto riconoscere l’inviolabilità del patrimonio dell’individuo privato, se non per ragioni di “pubblica utilità”;

la Corte Edu, sulla questione ha avuto più volte occasione di sottolineare la necessità che sussista un giusto equilibrio tra le ragioni di pubblica utilità e la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo;

nella fattispecie in esame, secondo il ricorrente, tale giusto equilibrio non viene garantito dall’applicazione di una norma che impone al privato una decurtazione patrimoniale, a titolo di imposta retroattiva, che si aggiunge all’ulteriore pregiudizio che il privato stesso è costretto a subire a causa dell’esproprio immobiliare;

i motivi, esaminati congiuntamente perchè connessi, sono infondati e vanno rigettati;

la L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 9, vigente ratione temporis, prevedeva che: ” Le disposizioni di cui ai commi 5, 6 e 7 si applicano anche alle somme percepite in conseguenza di atti anche volontari o provvedimenti emessi successivamente al 31 dicembre 1988 e fino alla data di entrata in vigore della presente legge se l’incremento di valore non è stato assoggettato all’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili. In tali casi le somme percepite devono essere indicate nella dichiarazione annuale dei redditi da presentarsi per l’anno 1991 e l’imposta deve essere corrisposta mediante versamento diretto nei modi previsti per il versamento delle imposte sui redditi in due rate uguali, con scadenza, la prima, entro il termine di presentazione della predetta dichiarazione e, la seconda, entro il quinto mese successivo. Nei confronti degli eredi del soggetto espropriato le suddette disposizioni si applicano limitatamente alle somme percepite dopo l’apertura della successione”;

secondo l’interpretazione letterale della norma, che trova l’avallo della giurisprudenza di legittimità e della Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 315/1994, la disciplina transitoria di cui al comma 9 del cit art. 11 consente, con una parziale retroattività, la tassazione di plusvalenze percepite prima dell’entrata in vigore della legge, condizionandola, però, al fatto che nel triennio successivo al 31 dicembre 1988 siano intervenuti sia il titolo, fonte della plusvalenza, sia la percezione della somma;

una diversa interpretazione, che propugni la scissione tra il momento della percezione dell’indennità e quello dell’adozione del provvedimento ablativo, riferendo solo a quest’ultimo la portata retroattiva della norma, non terrebbe conto del fatto che, sotto il profilo impositivo, l’unico momento rilevante è quello della percezione della plusvalenza, al quale va ricollegato l’insorgere dell’obbligazione tributaria;

nè tale disciplina pone dubbi di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 24 e 53 Cost.,sul rilievo che essa determinerebbe una lesione del principio di capacità contributiva e del diritto di difesa del contribuente, impossibilitato a provare la mancata permanenza della disponibilità della somma, considerata dalla legge quale indice presuntivo di capacità contributiva;

invero, entrambe le questioni sono state affrontate e risolte dalla consulta, la quale, con la citata sentenza n. 315 del 1994, ha escluso l’illegittimità costituzionale della disciplina transitoria di cui all’art. 11 cit., comma 9;

in particolare, la Consulta ha evidenziato che nella vicenda normativa in esame si rinviene “un elemento di prevedibilità dell’imposta che questa Corte, altre volte, ha reputato significativo sotto il profilo della permanenza della capacità contributiva e che, pertanto, è da considerarsi rilevante per giudicare della conformità all’art. 53 Cost. della retroattività conferita dalla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 9, alla norma sulla tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione volontaria di terreni sottoposti ad espropriazione, specie se si tiene conto del breve lasso di tempo entro il quale tale retroattività è destinata ad operare”;

inoltre, la Corte Costituzionale ha chiarito che “il principio sancito nell’art. 53 Cost., comma 1, ha carattere oggettivo, perchè si riferisce ad indici rivelatori di ricchezza e non già a stati soggettivi del contribuente (sentenza n. 143 del 1982). Ne consegue che, se la capacità contributiva è da intendere come attitudine ad eseguire la prestazione imposta, correlata non già alla concreta situazione del singolo contribuente, bensì al presupposto economico al quale l’obbligazione è collegata, non può non essere indifferente la sorte che possano aver subito medio tempore i ricavi conseguiti. Difatti, la prova che eventualmente venisse fornita dal contribuente circa la non più presente disponibilità in concreto della somma realizzata, a causa dell’avvenuto consumo o del reimpiego, non servirebbe certo a dimostrare la mancanza di quella capacità contributiva che è legittimamente presunta in relazione al fatto in sè della percezione della somma”;

si deve, quindi, concludere nel senso che il legislatore è libero di sottoporre ad imposizione fiscale manifestazioni di capacità contributiva, come la plusvalenza in questione, che in precedenza non ne erano colpite e che la percezione della plusvalenza concretizza un indice di ricchezza e capacità contributiva, la cui individuazione è rimessa, così come la nozione di reddito, alla discrezionalità del legislatore, senza che tale disciplina si ponga in contrasto sia con i citati artt. 24 e 53 Cost., sia con l’art. 1, comma 1, Prot. add. CEDU, che concerne soltanto il profilo della tutela del diritto di proprietà, ma non gli aspetti fiscali della vicenda espropriativa” (Cass. 24261/2011; conf. Cass. 2184/2012 e 12512/2013);

in tal senso si è espressa anche una recente pronuncia di questa Corte, secondo cui “è’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 413 del 1991, art. 11, in relazione all’art. 117 Cost., con riferimento all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, nella parte in cui prevede la tassazione delle plusvalenze conseguenti alla percezione dell’indennità di esproprio, in quanto, per un verso, non attiene al

contemperamento, richiesto dal detto art. 1, tra le esigenze di interesse generale della comunità e la tutela del diritto fondamentale di proprietà, bensì al momento successivo dell’esercizio del potere impositivo dello Stato sui propri contribuenti, e, per un altro, la stessa Corte Europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto che l’imposta in questione non costituisce un onere “irragionevole e sproporzionato” a carico del proprietario, in quanto la somma da corrispondere non è tale da rendere il pagamento equiparabile ad una confisca” (Sez. 5, Sentenza n. 26417 del 19/10/2018);

in particolare, la stessa Corte di Strasburgo ha stabilito, con due decisioni del 16 gennaio 2018 (ricorsi n. 60633/16 Cacciato v. Italy e n. 50821/06, Guiso and Consiglio v. Italy), che l’imposta del 20% sull’indennità da esproprio non è una violazione del diritto di proprietà, garantito dall’art. 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, ribadendo il principio secondo cui gli Stati, nelle scelte in materia di politica fiscale, hanno un ampio margine di apprezzamento, perchè devono adottare decisioni sulla base di valutazioni politiche, economiche e sociali, perseguendo un giusto equilibrio tra tutela dei diritti dell’individuo e interesse pubblico a ottenere entrate fiscali;

inoltre, la CEDU, con la decisione Belmonte c./Italia, resa sul ricorso n. 72638/2011 (richiamata da Cass. sent. n. 1429/2013), pur ribadendo la validità del principio di cassa (da intendersi nel senso che è sufficiente che la percezione della somma, che realizzi una plusvalenza in dipendenza di procedimenti espropriativi, sia avvenuta dopo l’entrata in vigore della L. n. 413 del 1991, a nulla rilevando che il trasferimento del bene sia intervenuto precedentemente, ed in particolare prima del 1 gennaio 1989), ha ritenuto che, qualora il decreto di esproprio, la cessione volontaria o l’occupazione acquisitiva siano intervenuti prima del 31 dicembre 1988, ma il pagamento sia intervenuto dopo l’entrata in vigore della L. n. 413 del 1991 per ingiustificato ritardo della P.A., la plusvalenza non fosse imponibile;

infine, deve rilevarsi che il secondo motivo di ricorso non coglie la ratio della decisione impugnata, laddove la Commissione Tributaria Centrale di Bolzano ha rilevato che, per quanto riguardava la questione della zona di inserimento del terreno, oggetto di esproprio, la ricorrente non avesse provato nulla, essendosi limitata ad una mera enunciazione;

l’odierno ricorrente, infatti, si limita a dedurre la violazione della norma, ma nulla replica alla rilevata mancata dimostrazione dei presupposti a fondamento della doglianza;

la successiva precisazione contenuta nella memoria, relativa al fatto che la classificazione dei terreni sarebbe emersa nel corso del giudizio senza alcuna contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, risulta tardiva ed estremamente generica, pertanto inidonea ad integrare il contenuto del ricorso;

la cesura è, comunque, infondata, alla luce dell’ormai consolidato orientamento di legittimità, secondo cui, “in tema di imposte dirette sui redditi, ai sensi della L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 5, sono sottoposte a tassazione le plusvalenze realizzate mediante percezione della indennità di esproprio a seguito di una procedura di espropriazione per pubblica utilità o di cessione di terreni fabbricabili, quale che sia la finalità concreta – realizzazione di un’opera pubblica o di un’opera di pubblica utilità, categoria quest’ultima nella quale rientrano gli insediamenti produttivi e gli impianti industriali, pur se realizzati da privati, previsti dagli strumenti urbanistici – a cui la medesima procedura sia preordinata” (Sez. 5, Sentenza n. 14362 del 30/06/2011; Sez. 5, Sentenza n. 8621 del 06/05/2004);

per quanto fin qui esposto, il ricorso va complessivamente rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito;

sussistono i requisiti per porre a carico del ricorrente il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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