Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12299 del 23/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/06/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 23/06/2020), n.12299

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VECCHIO Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11299-2018 proposto da:

LA DOLCE VITA DI P.A. & C SAS, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA

EUDO GIULIOLI 47/B/18 C/0 MAZZITELLI GIUSEPPE, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIO SORICE, che lo rappresenta e difende, giusta

procura a margine;

– ricorrente –

contro

ASSOSERVIZI SRL, in persona dell’Amministratore Unico, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA TRIONFALE N. 5637, presso lo studio

dell’avvocato FERDINANDO D’AMARIO, che lo rappresenta e difende,

giusta procura in calce;

COMUNE DI AVELLINO, in persona del Rappresentante legale e Sindaco

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA

74, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE PORPORA, rappresentato e

difeso dagli avvocati AMERIGO BASCETTA, GIOVANNI SANTUCCI DE

MAGISTRIS, giusta procura in calce;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 10026/2017 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST.

di SALERNO, depositata il 27/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/01/2020 dal Consigliere Dott. MASSIMO VECCHIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

1. – La Commissione tributaria regionale della Campania, con sentenza n. 10.026 del 5 ottobre 2017, pubblicata il 27 novembre 2017, in riforma della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Avellino n. 1023/2015 ha rigettato il ricorso proposto dalla società contribuente Dolce Vita di P.A. & C., s.a.s., in persona del legale rappresentante Antonello Puopolo, avverso gli avvisi di accertamento della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Ta.R.S.U.) e della tariffa di igiene ambientale (T.I.A.), dovute per gli anni 2010, 2011 e 2012, in relazione alla occupazione dell’immobile, sito in Avellino alla via Brigata, n. 98, e adibito a bar – pasticceria.

2. – La società contribuente, mediante atto dell’11 aprile 2018, ha proposto ricorso per cassazione.

2. – Il Comune di Avellino, in persona del Sindaco in carica pro tempore, legale rappresentante dell’Ente impositore, ha resistito con controricorso del 18 maggio 2018.

3. – L’Agente della riscossione, Assoservizi s.r.l., in persona del legale rappresentante, ha resistito mediante controricorso del 7 maggio 2018.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – La Commissione regionale tributaria ha motivato il rigetto (in riforma della sentenza appellata) del libello introduttivo della società contribuente, osservando – per quanto serba rilievo nella sede del presente scrutinio di legittimità – che la contestazione della ricorrente in ordine all’accertamento della maggiore superficie tassabile (mq. 281) era priva di fondamento.

In proposito la Commissione ha rilevato che l’accertamento era stato correttamente operato in conformità del regolamento comunale, con inclusione delle superfici dei garage e dei sottotetti; che non era pertinente il richiamo della contribuente alla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 349, che ha integrato il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 70, comma 3, in relazione al potere di accertamento di ufficio, lasciando impregiudicate le determinazioni dell’Ente impositore in ordine alla disciplina del tributo; e che la società appellata, nel sostenere la minore estensione della superficie tassabile, indicata in mq. 117,60 (o, al massimo, mq. 160), non aveva offerto la dimostrazione del proprio assunto che la differenza (rispetto alla maggiore ampiezza risultante dal verbale di accertamento) fosse pertinente ad aree (i porticati) appartenenti a terzi e, comunque, non occupati, nè utilizzati da essa società.

2. – La ricorrente, con unico motivo, denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 70, comma 3, “in combinato disposto” col D.P.R. 23 marzo 1998, n. 138, ” del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 52″.

Deduce la ricorrente: la determinazione della superficie tassabile deve essere operata “in base ai parametri dettati dal D.P.R. n. 138 del 1998″ secondo il quale le arre scoperte o quelle assimilabili e i locali accessori devono essere computati in ragione del 50% della loro estensione; è pacifico che l’accertamento ha investito i locali accessori, aree scoperte e aree ad esse assimilate; la Commissione tributaria regionale ha erroneamente affermato ” a pag. 43 (sic) della sentenza che l’accertamento effettuato (…) è stato correttamente operato sulla base di superfici catastali tassabili inferiori all’80% di quella catastale che non corrisponde (…) a quella da calcolare in base al cit. D.P.R.”; nè, infine, giova, la evocazione della autonomia impositiva dell’Ente territoriale, la quale è esclusa ” per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili “.

3. – Il ricorso è inammissibile.

I motivi sviluppati dalla ricorrente risultano eccentrici rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata.

Il rigetto del ricorso introduttivo, in riforma della sentenza di prime cure, si fonda non sull’asserzione – integrante la violazione di legge denunziata – che le aree scoperte, quelle assimilabili e i locali accessori dovevano essere computati in ragione dell’80% della loro estensione (e, quindi, in difformità di quanto stabilito col regolamento approvato con D.P.R. 23 marzo 1998, n. 138, richiamato dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 70, comma 3), bensì sul decisivo rilievo che la contribuente appellata non aveva offerto la dimostrazione del proprio assunto che la maggiore estensione della superficie accertata (rispetto a quella dichiarata) avrebbe riguardato aree condominiali, o di proprietà di altri e, comunque, di aree non occupate dalla ricorrente.

La denunzia della violazione o falsa applicazione delle norme di diritto si rivela, pertanto, aspecifica, in quanto non presente attinenza col giudizio di fatto che sorregge la decisione.

Consegue la declaratoria della inammissibilità del ricorso.

4. – Le spese del presente giudizio, congruamente liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

5. – La inammissibilità del ricorso comporta, infine, trattandosi di impugnazione notificata dopo il 31 gennaio 2013, la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida, per ciascuno dei controricorrenti, in Euro duemila per compensi, oltre spese forfettarie e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione Civile, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020

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