Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12298 del 19/05/2010

Cassazione civile sez. I, 19/05/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 19/05/2010), n.12298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20984/2008 proposto da:

S.S.S. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GIUNIO BAZZONI 1, presso l’avvocato STAZZONE

VINCENZO, rappresentato e difeso dagli avvocati BULLARO Nino,

PASSALACQUA VITO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositato il

26/02/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

13/04/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che Salvatore S.S., con ricorso del 12 agosto 2008, ha impugnato per cassazione – deducendo due articolati motivi di censura -, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, il decreto della Corte d’Appello di Palermo depositato in data 26 febbraio 2008, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso dello S.S. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1 -, in contraddittorio con il Presidente del Consiglio dei ministri, ha respinto la domanda;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, benchè ritualmente intimato, non si è costituito nè ha svolto attività difensiva;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 22 marzo 2007, era fondata sui seguenti fatti: a) lo S.S., con ricorso del 21 ottobre 1981, aveva impugnato dinanzi alla Corte dei conti il provvedimento del Ministro del tesoro con il quale gli era stata concessa un’indennità una tantum per infermità contratta durante il servizio militare; b) la Corte adita aveva deciso in senso negativo la causa con sentenza in data 19 settembre 2006;

che la Corte d’Appello di Palermo ha rigettato la domanda, perchè il ricorrente aveva promosso il giudizio dinanzi alla Corte dei conti “nonostante fosse pienamente consapevole dell’assoluta infondatezza della domanda”, osservando in particolare che la Corte dei conti aveva sottolineato che: a) la domanda di pensione era stata respinta in sede amministrativa per l’esito negativo di ripetute indagini medico-legali eseguite nella stessa sede; b) in sede di ricorso giurisdizionale il ricorrente non aveva addotto alcun elemento idoneo a superare detto rilievo.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con i motivi di censura – i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione -, viene denunciata la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 6 della CEDU, nonchè vizi della motivazione del decreto impugnato, in quanto i Giudici a quibus non hanno considerato che: a) l’amministrazione convenuta non aveva eccepito alcunchè in ordine alla “temerarietà” della lite; b) mancava la prova della “piena consapevolezza” dell’infondatezza della domanda in capo al ricorrente; c) l’assenza della piena consapevolezza era dimostrata dal fatto che il ricorrente non era certamente esperto della materia pensionistica;

che il ricorso merita accoglimento;

che la ratio decidendi del rigetto della domanda di equa riparazione sta nella ritenuta “piena consapevolezza” del ricorrente quanto alla (manifesta) infondatezza della domanda di pensione (respinta in sede amministrativa) proposta in sede giurisdizionale dinanzi alla Corte dei conti. e, quindi, nella ritenuta promozione di una “lite temeraria”, perciò preclusiva del diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 1;

che tale piena consapevolezza e, dunque, la “temerarietà” della lite sono giustificate dai Giudici a quibus esclusivamente sulla base della motivazione specificamente richiamata -, con la quale la Corte dei conti ha deciso di respingere la domanda di pensione;

che detta ratio decidendi e la motivazione che la sorregge collidono con il principio in forza del quale il diritto all’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo presupposto non può essere condizionato dall’esito di tale processo ed inoltre non tengono conto – ai fini dell’accertamento della piena consapevolezza dell’infondatezza delle domande ivi proposte – delle peculiarità che connotano il giudizio in materia di pensioni dinanzi alla Corte dei conti;

che, preliminarmente – quanto al profilo di censura (sub a) secondo cui i Giudici a quibus, in mancanza di specifica eccezione dell’amministrazione convenuta circa la piena consapevolezza del ricorrente in ordine alla (manifesta) infondatezza della pretesa fatta valere nel giudizio presupposto, non avrebbero potuto rilevare tale piena consapevolezza ex officio (arg., ex plurimis, dalla sentenza n. 7139 del 2006) -, la critica è infondata, in quanto la prova di detta piena consapevolezza può essere ritenuta sussistente dal giudice dell’equa riparazione, in forza del suo libero convincimento motivato in modo giuridicamente corretto ed adeguato, sulla base delle fonti di prova, segnatamente documentali (cfr. L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5), comunque acquisite al processo, posto che nel sistema processualcivilistico vigente – in specie dopo il riconoscimento costituzionale del principio del giusto processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 1 – opera il principio di acquisizione della prova, in base al quale un elemento probatorio, una volta introdotto nel processo, è definitivamente acquisito alla causa e non può più esserle sottratto, dovendo il giudice utilizzare le prove raccolte indipendentemente dalla provenienza delle stesse dalla parte gravata dell’onere probatorio (cfr., ex plurimis, le sentenza nn. 28498 del 2005, pronunciata a sezioni unite, 2285 del 2006, 25028 del 2008);

che nella specie, dal momento che i Giudici a quibus hanno motivato la decisione richiamando gli atti e la sentenza del processo pensionistico presupposto, deve presumersi, in assenza di contrari rilievi delle parti, che atti e sentenza sono stati legittimamente acquisiti al giudizio di equa riparazione e che, dunque, essi hanno costituito legittime fonti di prova valutabili in tale sede;

che, quanto agli altri profili di censura (sub b e c), essi sono fondati;

che vanno innanzitutto ribaditi i costanti orientamenti di questa Corte, secondo cui: a) in tema di equa riparazione per la violazione del termine ragionevole del processo di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, l’ansia e la sofferenza – e quindi il danno non patrimoniale per l’eccessivo prolungarsi del processo presupposto, costituendo i riflessi psicologici che la persona normalmente subisce per il perdurare dell’incertezza sull’assetto delle posizioni coinvolte dal dibattito processuale, se prescindono dall’esito della lite (in quanto anche la parte poi soccombente può ricevere afflizione per l’esorbitante attesa della decisione) e dalla consistenza economica ed importanza del giudizio, restano invece escluse in radice in presenza di un’originaria consapevolezza della inconsistenza delle proprie istanze, dato che in tal caso, difettando una condizione soggettiva di incertezza, viene meno il presupposto del determinarsi dello stesso stato di disagio (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 7139 del 2006 cit., 25595 del 2008, 24107 e 28106 del 2009); b) il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, con la conseguenza che, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale in re ipsa – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione -, il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo presupposto secondo le norme della L. n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ove non ricorrano, nella concreta fattispecie, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 1338 del 2004, pronunciata a sezioni unite, e 24269 del 2008);

che nella specie – come dianzi accennato -, i Giudici a quibus non hanno motivato in modo giuridicamente corretta ed adeguato le ragioni per le quali hanno ritenuto sussistente la prova della piena consapevolezza della manifesta infondatezza della pretesa fatta valere dal ricorrente nel giudizio promosso dinanzi alla Corte dei conti;

che, infatti, i Giudici a quibus – con il sottolineare che dalla sentenza di rigetto del giudice contabile emergevano: la evidente, intervenuta decadenza del ricorrente dal diritto di proporre la domanda di trattamento pensionistico privilegiato, per decorso quinquennio dalla cessazione dal servizio militare (citato D.P.R. n. 1092 del 1973, art. 169, comma 1), e la inconsistente “pochezza” delle argomentazioni svolte dinanzi al Giudice delle pensioni avverso il provvedimento amministrativo di diniego di detto trattamento, elementi che denotavano sicuramente la predetta piena consapevolezza del ricorrente – hanno sostanzialmente ed esclusivamente negato il diritto all’indennizzo in base all’esito, negativo per lo stesso ricorrente, del giudizio presupposto, ciò in violazione del su richiamato costante orientamento di questa Corte;

che, inoltre, i Giudici a quibus hanno omesso di considerare che: a) sussistendone i presupposti di legge, il diritto alla pensione correlato all’adempimento del servizio militare è garantito dal combinato disposto dell’art. 38 Cost., comma 2, e art. 52 Cost., comma 2, quale diritto soggettivo di natura patrimoniale tutelabile dinanzi alla Corte dei conti in regime di sostanziale gratuità del giudizio (cfr., ex plurimis, la sentenza della Corte dei conti, sez. A3, n. 103 del 2008); b) il giudizio in materia di pensioni dinanzi alla Corte dei conti può essere promosso dalla parte personalmente (come nella specie, ciò desumendosi dal rilievo del decreto impugnato, secondo cui il ricorrente non si è presentato alla pubblica udienza, dove è invece obbligatorio il patrocinio legale), ai sensi del R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, art. 1, commi 1 e 2 (Approvazione del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti), e del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 79, comma 2 (Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti), il patrocinio legale essendo obbligatorio soltanto per la comparizione alla pubblica udienza (ad eccezione dei ricorsi in materia di pensioni di guerra: cfr. la L. 21 marzo 1953, n. 161, art. 3, commi 2 e 3, recante modificazioni al predetto testo unico); e) tale giudizio è inoltre connotato da incisivi poteri istruttori officiosi della Corte e del Procuratore generale presso di essa (citato R.D. n. 1038 del 1933, artt. 14 e 15);

che tali caratteri sìa del diritto tutelato sia del giudizio dinanzi alla Corte dei conti in materia di pensioni in particolare, la non obbligatorietà del patrocinio legale del ricorrente, bilanciata dall’attribuzione d incisivi poteri istruttori ufficiosi al giudice ed al pubblico ministero – rendono evidente non soltanto che “siffatta disciplina postula l’impulso ufficiale nello svolgimento del processo, dato che le relative norme richiedono per la loro osservanza cognizioni tecniche che non possono normalmente presumersi nei diretti interessati” (Corte costituzionale, ordinanza n. 128 del 1976, che richiama la sentenza n. 131 del 1975), ma anche, normalmente, la presumibile e scusabile “ignoranza” degli stessi interessati quanto alla disciplina sostanziale in materia di pensioni;

che conseguentemente, in tema di equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, per la violazione del termine ragionevole del processo presupposto svoltosi dinanzi alla Corte dei conti ed avente ad oggetto la domanda di pensione, la prova della piena consapevolezza della (manifesta) infondatezza di tale domanda, preclusiva del diritto all’equa riparazione, da valutarsi sempre e comunque in modo rigoroso con riguardo alle singole fattispecie, non può desumersi nè dall’esito dell’eventuale procedimento amministrativo prodromica della fase giurisdizionale, nè dal contenuto del ricorso giurisdizionale o dal comportamento processuale della parte che abbia promosso personalmente il giudizio pensionistico – in contrasto con il principi della non obbligatorietà del patrocinio legale, della prevalente, officiosità e della gratuità di detto tipo di giudizio -, nè dall’esito di tale giudizio – in contrasto con il consolidato principio dell’irrilevanza dell’esito della lite rispetto al diritto all’equa riparazione – potendo invece desumersi, nei singoli casi, da circostanze concrete, di fatto o di diritto, tali da far emergere in modo non equivoco la mancanza della diligenza minima idonea ad evidenziare anche all’uomo comune la originaria manifesta infondatezza della domanda di pensione;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato per i vizi dianzi rilevati;

che il Giudice di rinvio, che si designa nella stessa Corte d’Appello di Palermo, in diversa composizione, si uniformerà al principio di diritto in questa sede enunciato, e provvederà anche a pronunciare sulle spese del presente grado del giudizio.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Palermo, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 13 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2010

 

 

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