Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12298 del 15/06/2016

Cassazione civile sez. III, 15/06/2016, (ud. 10/03/2016, dep. 15/06/2016), n.12298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1375-2014 proposto da:

D.B., M.G., domiciliati ex lege in ROMA,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dall’avvocato GIUSEPPE MURANA giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

BNP PARIBAS LEAS GROUP S.P.A. già LOCAFIT SPA, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DI SAN NICOLA DA TOLENTINO 67, presso lo

studio dell’avvocato STEFANO PARLATORE, che la rappresenta e

difende unitamente all’avv. GIUSEPPE LOFFREDA giusta procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

BNL SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 331/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 02/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/03/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;

udito l’Avvocato RAFFAELE SPERATI per delega;

udito l’Avvocato MATTEO FUSILLO per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. G.M. e A.B.D. avevano svolto l’attività di amministratori giudiziari, ex art. 2409 c.c., della società CO.NA.TIR spa, armatrice quale sublocataria della motonave (OMISSIS), concessa in leasing alla (OMISSIS) dalla Sud Leasing spa (poi incorporata dalla Locafit). Avevano ottenuto dal Presidente del Tribunale la liquidazione del compenso a carico della società amministrata.

Quando la Capitaneria di Porto rese nota l’istanza della proprietaria Locafit (che aveva incorporato la Sud Leasing) di vendere la Nave, proposero opposizione alla dismissione della bandiera, a norma dell’art. 156 c.n..

La vendita della nave venne effettuata con procedura d’urgenza, ai sensi del quarto comma del citato articolo, previa fideiussione pari al valore della nave, rilasciata dalla BNL. Venduta e partita la nave e dichiarato il fallimento della società amministrata ex art. 2409 c.c., M. e D. convennero in giudizio la società che era stata proprietaria della nave poi venduta (Locafit, che aveva incorporato la Sud Leasing) e il fideiussore. Nella qualità di creditori per il compenso di amministratori giudiziari della società fallita, armatrice della nave quale sublocataria, chiesero l’accertamento di essere portatori del credito privilegiato ex art. 552 c.n., n. 1, con diritto di escussione del fideiussore, e la condanna dello stesso.

La domanda venne rigettata dal Tribunale, con decisione confermata dalla Corte di appello di Palermo (sentenza del 2 marzo 2013, notificata 9 ottobre 2013.) 2. Avverso la suddetta sentenza, gli originari attori propongono ricorso affidato a quattro motivi, esplicati da memoria.

Si difendono con unico controricorso BNP Paribas Lease Group Spa (già Locafit) e BNL spa e depositano memoria.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, va disattesa l’eccezione prospettata dalla Nuova BNL (così autoqualificatasi nel controricorso, distinguendosi solo per il codice fiscale dalla BNL intimata), in ordine alla inammissibilità del ricorso nei suoi confronti, per essere stato lo stesso notificato al difensore della BNL costituita in appello, nonostante quella società fosse estinta e fosse stata cancellata dal 2007.

Anche a prescindere dalla assorbente circostanza, rappresentata dai ricorrenti nelle memoria, che la BNL controricorrente è la società incorporante della BNL estinta per incorporazione, il ricorso è stato legittimamente notificato al difensore del soggetto costituito nel giudizio di appello in virtù del principio della ultrattività del mandato, in ordine al quale, in riferimento alle società estinte si è già pronunciata questa Corte (Cass. n. 15724 del 2015) dopo le pronunce a carattere generale anche delle Sezioni Unite (Sez. Un. n. 15295 del 2014, seguita da Cass. n. 23141 del 2014).

2. La corte di merito ha confermato la decisione di primo grado sulla base delle seguenti essenziali argomentazioni.

a) Il credito azionato non rientra tra i crediti privilegiati di cui all’art. 552 c.n..

Sulla base della giurisprudenza di legittimità, le spese fatte per atti conservativi sulla nave comprendono unicamente quelle sostenute dai creditori per atti di conservazione giuridica del bene, ossia per atti – quali, ad esempio, le spese dell’azione surrogatoria o del sequestro conservativo – che, mirando ad impedire la sottrazione del bene alla garanzia dei creditori, siano valsi o siano comunque preordinati a consentirne l’espropriazione (Cass. n. 2641 del 1969).

Nè il credito rientra tra le spese per la conservazione materiale della nave, per le quali il riconoscimento del privilegio è subordinato a due condizioni: l’essere state effettuate dopo l’entrata nell’ultimo porto (ultima parte dell’art. 552, n. 1);

l’essere state fatte dal comandante alle condizioni stesso art., n. 6.

Tale conclusione trova conferma nell’interpretazione dell’art. 2770 c.c., che ritiene privilegiati i crediti per atti conservativi.

Il procedimento di nomina di amministratore giudiziario ex art. 2409 c.c., non è finalizzato alla conservazione del bene a vantaggio dei creditori, ma al ripristino della regolarità di gestione della società.

b) Il giudicato formatosi sulla natura privilegiata del credito ex art. 552 c.n., nella procedura fallimentare della società debitrice (Conatir sublocatrice della nave), per essere stato il suddetto credito ammesso definitivamente al passivo del fallimento, ha solo natura endoprocedimentale.

c) Dall’art. 156 c.n., n. 5, non nasce, nè nasce dalla fideiussione rilasciata, un diritto degli attori di valersi sulla fideiussione, rilasciata per consentire la vendita della nave.

I presupposti sono individuati, dalla titolarità di un diritto reale di godimento o di garanzia (ipoteca, privilegio speciale ex 552), o dall’esistenza di un diritto di credito chirografario verso il proprietario. Nella specie non ne sussiste alcuno.

3. La decisione impugnata è conforme a diritto e i motivi di ricorso vanno rigettati. Tutte le censure avanzate, da esaminarsi secondo un criterio di precedenza logico-giuridico sono prive di pregio.

4. Ha precedenza il quarto motivo, con il quale – invocando la violazione della L. Fall., art. 97, prima della riforma, si censura la negazione del valore di giudicato del decreto di ammissione allo stato passivo del fallimento Conatir dei crediti in argomento, come privilegiati ex art. 552 c.n., ritenuta dalla Corte di merito sulla base della valenza solo endoprocedimentale dello stesso.

4.1. La decisione censurata ha fatto applicazione della giurisprudenza di legittimità consolidata, secondo la quale, il decreto del giudice delegato di ammissione di un credito allo stato passivo del fallimento, emesso ai sensi della L. Fall., art. 97, ha natura giurisdizionale e da esso deriva un’efficacia preclusiva esclusivamente endofallimentare (Cass. n. 3550 del 2003, n. 8431 del 2013).

5. Con il terzo motivo – invocando la violazione dell’art. 552, n. 1 – si censurano le argomentazioni della sentenza riportate sinteticamente sub a).

In particolare, salvo l’accenno alla circostanza marginale che gli amministratori avrebbero compiuto anche atti conservativi per la rimessa in funzione del bene, si abbandona in sede di ricorso la tesi della ricomprensione dei crediti, del riconoscimento del privilegio dei quali si tratta, tra le spese di conservazione materiale della nave, di cui alla previsione dell’ultima parte dell’art. 552 c.n., n. 1, rispetto a questa, peraltro, mancherebbe comunque il presupposto fondamentale dell’essere state le spese sostenute dopo l’entrata della nave nell’ultimo porto, trattandosi pacificamente di attività svolta precedentemente dagli amministratori della società armatrice.

Si focalizza la censura, invece, sulla tesi che sarebbe conservativo e cautelare il procedimento attivato ex art. 2409 c.c., volto alla conservazione del patrimonio sociale anche per via della valenza pubblicistica, che emergerebbe se non altro dal coinvolgimento del P.M..

5.1. La censura non ha pregio.

La Corte di merito ha correttamente applicato la, pur risalente, giurisprudenza della Corte di legittimità e le censure non offrono elementi per procedere ad una rivalutazione.

Secondo quanto già affermato, l’art. 552 c.n., enumera testualmente nel primo gruppo dei crediti privilegiati sulla nave e sue pertinenze, nonchè sul nolo e suoi accessori, “le spese giudiziali dovute allo Stato o fatte nell’interesse comune dei creditori per atti conservativi sulla nave o per il processo di esecuzione”. Per “spese fatte per atti conservativi sulla nave” devono intendersi unicamente quelle incontrate dai creditori per “atti di conservazione giuridica del bene, ossia per atti – quali, ad es., le spese dell’azione surrogatoria o del sequestro conservativo – che, mirando ad impedire la sottrazione del bene alla garanzia dei creditori, siano valsi o comunque siano preordinati a consentirne l’espropriazione. Mentre, le spese incontrate per la conservazione materiale della nave possono fruire d’identico privilegio unicamente nell’ipotesi – prevista dall’ultima parte dell’art. 552 c.n., n. 1 –

in cui siano state fatte “dopo l’entrata della nave nell’ultimo porto” (per la presunzione che siano risultate utili ai fini della successiva vendita giudiziale della nave) ed in quella prevista dal n. 6 del citato articolo – che siano state fatte dal comandante in conseguenza di contratti stipulati o di operazioni eseguite in virtù dei suoi poteri legali (Cass. n. 2641 del 1969).

5.2. Ai fini del rigetto della censura, emerge tutta la distanza funzionale tra il procedimento disciplinato dall’art. 2049 c.c.e gli atti conservativi sulla nave fatti nell’interesse comune dei creditori.

Il primo, per la stessa natura dell’attività demandata dal giudice all’amministratore giudiziario, consiste nella attribuzione giudiziale della gestione della società finalizzata al ripristino del suo corretto funzionamento, con la conseguenza che le spese relative, tra le quali il pagamento del compenso liquidato agli amministratori, gravano sulla società che si giova della relativa attività e non sull’istante (in ipotesi il socio che ha denunciato le gravi irregolarità; in tal senso l’univoca giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass. n. 27663 del 2011, n. 28232 del 2008).

I secondi, gli unici previsti dalla norma attributiva del privilegio, sono gli atti compiuti dai creditori che, mirando ad impedire la sottrazione del bene alla loro garanzia patrimoniale, sono preordinati a consentirne l’espropriazione. Ed il legislatore, proprio in ragione della causa del credito, conferisce al creditore che le ha sostenute un diritto reale speciale di garanzia sul bene determinato.

Conseguente è la esclusione delle spese per l’amministrazione giudiziaria dalle spese sostenute per atti conservativi sulla nave, restando irrilevante che all’esito della gestione della società che utilizzava la nave tra i propri beni aziendali, come sublocatario, anche per effetto della amministrazione giudiziaria, il bene sia stato materialmente conservato nell’interesse della società.

6. Con il primo e secondo motivo – invocando la violazione dell’art. 156 c.n., nn. 2, 4 e 5 e art. 1173 c.c., i ricorrenti censurano la sentenza rispetto alla argomentazione sub c).

6.1. Preliminarmente deve escludersi ogni rilievo al secondo motivo, laddove, invocando l’art. 156 cit., in relazione all’art. 1173 c.c., si assume l’esistenza di un obbligo ex lege in capo al proprietario, nei limiti del valore della nave, nei confronti di tutti coloro che hanno interesse contrario alla alienazione.

Tale profilo di censura risulta prospettato per la prima volta dinanzi al giudice di legittimità, con conseguente inammissibilità.

6.2. Con il primo motivo, si sostiene che gli attori avrebbero diritto ad essere soddisfatti dal fideiussore, quali creditori chirografari della società amministrata, armatrice della nave, atteso che il procedimento di opposizione alla dismissione della bandiera della nave li ricomprenderebbe, essendo diretto agli “interessati” e, quindi, a coloro che dalla vendita della nave potrebbero subire un pregiudizio.

La tesi si basa sul presupposto della nave come azienda, oltre che bene complesso, e mette in rilievo il pregiudizio derivante ai creditori una volta che, con la dismissione della bandiera, la nave sia sottratta alla sovranità dello Stato. A tal fine, sottolinea la distinzione tra proprietà del solo scafo da parte del proprietario e del resto (motori, impianti) da parte dell’armatore.

L’interpretazione prospettata fa leva sul dato letterale: l’art. 156, comma 2, faculta “gli interessati”; il comma 5, commisura il valore della fideiussione non allo scafo nudo, ma alla nave e richiama gli “altri diritti” fatti valere in sede di opposizione. Ed, inoltre, sul dato logico sistematico, secondo il quale la stragrande maggioranza delle obbligazioni contratte per la nave sono contratte dall’armatore.

6.3. La censura non ha pregio e va rigettata.

Non è dubbio che l’art. 156 cit., attribuisce il potere di proporre opposizione alla dismissione di bandiera, oltre che ai titolari di diritti reali di godimento o di garanzia (ipoteca, privilegio speciale) sulla nave, anche ai titolari di semplici diritti di credito, non assistiti dallo jus sequelae, in ragione del comune interesse contrario alla dismissione per il pericolo di perdere le garanzie del credito. Così come vincola la fideiussione al pagamento dei crediti privilegiati (esclusi nella specie per effetto del rigetto del terzo motivo di ricorso) e degli “altri diritti fatti valere” in sede di opposizione.

I diritti di credito chirografari che il fideiussore è chiamato a soddisfare sono quelli verso il proprietario della nave, quale bene rientrante nella generale garanzia patrimoniale. I soggetti diversi dal proprietario non hanno ab origine un diritto sulla nave come bene rientrante nel proprio patrimonio; nè, nell’ipotesi di crediti chirografari, il diritto a soddisfarsi del creditore discende dalla titolarità del diritto reale di garanzia.

I ricorrenti cercano di superare tale delimitazione di crediti chirografari verso il proprietario della nave, estendendola all’armatore, sia attraverso la qualificazione della nave come azienda, laddove pacificamente la nave è riconosciuta come bene complesso e non come complesso di beni.

Sia e, soprattutto, attraverso la tesi della equiparazione tra proprietario della nave e armatore della stessa.

Ma, l’attività di organizzazione inerente all’impiego proprio della nave secondo la destinazione propria della stessa, rivolta al conseguimento dì un risultato (economico) connesso al soddisfacimento proprio dell’esercente, prescinde dalla proprietà, anche se può presupporla, essendo sufficiente che l’armatore abbia sulla nave un diritto reale limitato (usufrutto) o un diritto personale di godimento, come nella specie essendo la società armatrice (debitrice degli amministratori giudiziari) sublocataria della nave. D’altra parte, l’armatore, quale titolare dell’attività organizzata per la navigazione può anche non averla “armata” in senso proprio, come nell’ipotesi di locazione di nave armata, nel senso che altri hanno provveduto a forniture ed equipaggiamenti.

La nave, quindi, emerge come mero bene aziendale rispetto all’armatore, non necessariamente goduto a titolo di proprietà. Nè è in alcun modo supportata da allegazioni e deduzioni l’affermazione, contenuta in ricorso, in ordine alla solo proprietà dello scafo in capo al proprietario.

Priva di fondamento risulta, pertanto, la pretesa che gli amministratori giudiziari della società armatrice della nave, che la stessa possedeva quale sublocataria, possano chiedere al fideiussore previsto dall’art. 156 c.n., il pagamento del diritto di credito vantato verso la società armatrice, non rientrando lo stesso tra gli “altri diritti” ai quali la fideiussione è preordinata.

7. In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese, liquidate sulla base dei parametri vigenti, seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2016

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