Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12294 del 19/05/2010

Cassazione civile sez. I, 19/05/2010, (ud. 17/03/2010, dep. 19/05/2010), n.12294

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.A.M. (C.F. (OMISSIS) domiciliata in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato SQUASSONI PAOLA,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.L., COMUNE DI BRESSO, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA

CORTE DI APPELLO DI MILANO, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE

SUPREMA CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 48/2008 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 30/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/03/2010 dal Consigliere Dott. GIANCOLA Maria Cristina;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato SQUASSONI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Aperto, con decreto del 5.12.2007, il procedimento relativo allo stato di abbandono di F.M., nato a (OMISSIS), figlio di F.M.A. e non riconosciuto anche dal padre naturale, di cui era ignota l’identita’, il Tribunale per i minorenni di Milano, con sentenza del 12 – 30.05.2008, dichiarava lo stato di adottabilita’ del minore.

Con sentenza dell’11 – 30.12.2008, la Corte di appello di Milano, sezione delle persone, dei minori e della famiglia, respingeva l’impugnazione proposta dalla F. contro la sentenza di primo grado.

La Corte territoriale osservava e riteneva tra l’altro ed in sintesi:

– che la F., la quale non aveva ne’ genitori ne’ alcuna altra persona su cui contare e non disponeva di risorse economiche ne’ di alloggio, dal maggio 2007, in base a decreto provvisorio del PM, una volta dimessa dall’ospedale pubblico in cui era nato il figlio, e sino all’esecuzione dell’impugnata pronuncia di primo grado, era stata ospitata con il bambino presso la Comunita’ Istituto (OMISSIS), come da lei stessa anche richiesto dopo il parto;

– che dalle relazioni che sin dall’inizio erano state inviate dai servizi sociali, emergevano insicurezze e difficolta’ della madre nel prendersi cura del figlio e nel l’instaurare un’adeguata comunicazione con lui;

– che i medesimi servizi sociali, con la relazione del 15.10.2007, a firma della psicologa, dott.ssa C.S.M., e dell’assistente sociale, avevano comunicato al Tribunale per i minorenni di Milano, l’esito (scarsamente informativo e sostanzialmente inattendibile a causa del contegno non autentico ne’ fiducioso della paziente, condizionata nel rapporto con la psicologa da uno stato di paura e di omerta’) degli accertamenti psicodiagnostici disposti nei confronti della F. e da loro eseguiti tra la fine di giugno e quella di agosto 2007, ed il fatto che la stessa aveva gia’ subito due ricoveri ospedalieri per sofferti episodi convulsivi, in relazione ai quali le era stata diagnosticata “epilessia generalizzata”;

– che dopo l’apertura del procedimento relativo allo stato di abbandono del minore, era stata disposta la CTU di cui alla relazione depositata il 31.03.2008 dal dott. R., medico psichiatra e psicoterapeuta, ed erano state anche acquisite le relazioni in data 27.03.2008 e 30.04.2008, provenienti dalla Comunita’ che ospitava la F. ed il figlio;

– che con relazione pervenuta il 3.12.2008, i servizi sociali del Comune di Bresso avevano pure reso note le evoluzioni della vicenda nel periodo successivo al 4.06.2008, data dalla quale la madre ed il figlio avevano cominciato ad avere diverse collocazioni, i percorsi di vita e collocazioni, e la madre era stata inserita dapprima presso il Centro accoglienza (OMISSIS) e poi, dal 15.10.2008, presso la struttura di 2 accoglienza (OMISSIS), ove erano stati previsti 2 periodi semestrali destinati ad un suo percorso di recupero personale;

– che con la sentenza impugnata il Tribunale per i minorenni di Milano, anche su conforme parere del PM e del curatore speciale del minore, aveva, all’esito dell’espletata istruttoria, conclusivamente ritenuto che la F. fosse totalmente inadeguata a svolgere il ruolo materno;

– che non erano fondate le critiche sollevate con il gravame alla consulenza tecnica d’ufficio, da cui era emerso che la situazione della madre era per molteplici aspetti cosi’ compromessa, da consentire, con la consapevole sicurezza propria dell’esperto nel campo, di agevolmente assumere le avversate conclusioni, pur senza rinnovare i tests psicodiagnostici, peraltro non riproponibili a distanza di tempo cosi’ ravvicinata da quelli gia’ somministrati;

– che in particolare l’esperto d’ufficio aveva ritenuto:

– che la F. era plausibilmente affetta da “un grave disturbo di personalita’ di tipo NAS, determinato dalla mancata sua strutturazione in termini personologici”, chiarendo che tale patologia consisteva nell’assenza “..di uno scheletro portante della persona, di una sua seppur minima strutturazione in termini di persona”, aveva origini lontane, nell’infanzia e richiedeva un lavoro su di lei, all’interno di un percorso di comunita’, dai tempi ben difficilmente determinabili;

– che tra madre e figlio era assente qualsiasi comunicazione in termini affettivi, che la madre era incapace di capire i bisogni del figlio ed in grado soltanto di ben eseguire null’altro che compiti pratici, che la struttura personologica della F. appariva talmente compromessa, che non poteva minimamente ipotizzarsi un percorso di aiuto atto a garantire e finalizzare la crescita del rapporto interpersonale tra lei ed il figlio, il quale, in ragione della presenza di altre persone dell’ambiente comunitario, ancora non evidenziava sintomi negativi connessi al rapporto con la madre, ma aveva urgente necessita’ di acquisire stabili figure di riferimento e di conseguire validi riconoscimenti affettivi;

– che l’attendibilita’ delle conclusioni del CTU trovava conferma nelle pressoche’ analoghe osservazioni e conclusioni esposte nella relazione in data 15.10.2007, inviata dai Servizi sociali del Comune di Bresso, in cui si evidenziavano gli esiti della compiuta valutazione psicologica nonche’ i tristi eventi e le condizioni completamente marginali della pregressa vita della F., i lunghi tempi che richiedeva il suo percorso verso l’autonomia personale, i suoi profili di personalita’ e l’inadeguatezza, anche a causa del sofferto deficit, del rapporto che aveva instaurato con il figlio;

– che non sussistevano ragioni ne’ per disporre la rinnovazione della CTU o l’integrazione di quella gia’ svolta, compiutamente e logicamente argomentata e corredata delle informazioni fondamentali ed essenziali della vicenda, ne’ per acquisire relazioni di aggiornamento dai servizi sociali o dalla Comunita’ Istituto (OMISSIS), di cui, sin dal giugno 2008, madre e figlio non facevano piu’ parte;

– che all’udienza dell’11.12.2008, la menzionata dott.ssa C., psicologa dei Servizi sociali, aveva ribadito che il bambino era in buone condizioni fisiche e psichiche per avere vissuto sin dalla nascita in Comunita’, che la madre aveva bisogno non di semplici aiuti o supporti, ma di ristrutturare la sua identita’ di donna prima che di madre, attraverso un percorso impegnativo e certamente lungo, a fronte delle impellenti esigenze affettive ed accuditive mostrate dal figlio, il cui soddisfacimento era fondamentale per la strutturazione armonica della sua personalita’ e per la sua equilibrata crescita;

– che doveva essere confermata anche l’insussistenza dei presupposti sia per la sospensione del presente procedimento, non essendo emersi elementi atti a far inferire possibili e tempestive evoluzioni positive della situazione materna, escluse dal tipo di personalita’, gravemente disturbata, presentata dalla F., bisognosa di un lavoro terapeutico di durata incompatibile con i tempi e le necessita’ del bambino, ma anche di fattibilita’ ed esito incerti, e sia per ritenere praticabile l’affido di madre e figlio ad una famiglia che si prendesse cura di entrambi, che, tra l’altro, avrebbe costituito non soluzione temporanea e provvisoria ma destinata a protrarsi per tempo indefinito e certamente lungo, con assunzione da parte degli affidatari di compiti e funzioni sostitutive inerenti anche alla F., bisognosa di supporto ed aiuto continui.

Avverso questa sentenza, notificatale il 2.03.2009, la F. ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi, notificato al PG presso il giudice a quo, al tutore provvisorio, all’Avv.to Fr., curatore speciale del minore, ed al PG in sede. Gli intimati non hanno svolto attivita’ difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso la F. denunzia, con conclusiva formulazione di quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.:

1. “Violazione e falsa applicazione della L. n. 185 del 1983, art. 1, comma 1, 2, 3 e art. 8 e art. 15 e succ mod, motivazione insufficiente, inesistente e/o meramente apparente su punti decisivi della controversia.”.

Premesso anche il richiamo alle regole normative ed ai correlati e noti principi di diritto che in base alla L. n. 184 del 1983 presiedono alla declaratoria dello stato di adottabilita’ dei minori, sostiene:

che la Corte distrettuale, con valutazione soggettiva e priva di riscontri, si e’ limitata ad un apprezzamento negativo della sua personalita’, asseritamente desumendolo da una relazione dei servizi e dalle risultanze dell’inadeguata CTU, senza spiegare in che misura la madre potesse incidere negativamente sul processo evolutivo fisico ed intellettuale del piccolo M. – che non e’ stato posto in essere alcun intervento istituzionale madre – figlio – che la decisione e’ stata fondata sulle informative in data 15.10.2007 dei SS, comprensive e riepilogative delle osservazioni effettuate dagli operatori della Comunita’ istituto (OMISSIS) sul bambino e sulla madre, gli esiti della contestata CTU disposta dal TM, e le dichiarazioni rese dalla F. il 13.08.2007, in sede di sua audizione dinanzi al GO, insieme di dati che, in mancanza di una relazione specifica della Comunita’, costituiscono un inaccettabile ed insufficiente sistema de relato, rivelandosi anche muti in ordine al pregiudizio grave e non transeunte per lo sviluppo e l’equilibrio psicofisico del minore;

– che e’ stato tralasciato il desiderio sempre vivo, della madre di avere con se’ il figlio, di valutare le evoluzioni della vita e della personalita’ della F., tali da impedire il concretarsi di una situazione di abbandono del figlio.

2. “Insufficiente motivazione sulla richiesta di sospensione del procedimento, originata dalla finalita’ di valutare l’evoluzione dei rapporti madre – figlio e della situazione nell’arco di un determinato periodo e dunque omessa applicazione e dunque violazione della L. n. 186 del 1983 e succ. mod., art. 14”.

3. “Violazione degli artt. 3 e 31 Cost.”.

La ricorrente sostiene che il Tribunale non ha vigilato sugli enti preposti ed in particolare sui servizi sociali e verificato se avessero avviato alcuna seria e tempestiva procedura amministrativa, atta al superamento della sua situazione, che ora stava evolvendo nella nuova struttura che la ospitava.

I motivi, che strettamente connessi, consentono esame unitario, non hanno pregio.

I giudici di merito risultano essersi ineccepibilmente attenuti, anche per il profilo motivazionale, al dettato normativo ed alla relativa elaborazione giurisprudenziale, secondo cui (cfr tra le altre, Cass. 200615011) la L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 1 (nel testo novellato dalla L. 28 marzo 2001, n. 149) attribuisce al diritto del minore di crescere nell’ambito della propria famiglia un carattere prioritario, di talche’ nelle situazioni di difficolta’ e di emarginazione della famiglia di origine il recupero di questa, considerata come ambiente naturale, costituisce il mezzo preferenziale per garantire la crescita del bambino, ed impone ai Servizi sociali di non limitarsi a registrare passivamente le insufficienze della situazione in atto, ma di costruire, con gli opportuni strumenti di aiuto e di sostegno, nella famiglia del sangue, relazioni umane significative ed idonee al benessere del bambino. La richiamata valorizzazione del legame naturale – e, insieme, la logica di gradualita’ e di sussidiarieta’ degli interventi che ispira la legge novellata, in una prospettiva che assegna all’istituto dell’adozione il carattere di estremo rimedio – rende necessario un particolare rigore nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilita’, che non puo’ discendere da un mero apprezzamento circa la inidoneita’ dei genitori del minore cui non si accompagni l’ulteriore, positivo accertamento che tale inidoneita’ abbia provocato, o possa provocare, danni gravi ed irreversibili alla equilibrata crescita dell’interessato.

In particolare, nella sentenza impugnata risultano puntualmente espresse le ragioni della conferma della pronunzia di primo grado in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che anche il percorso argomentativo si rivela appagante, corretto e rispettoso dei principi che devono presiedere all’adozione dell’impugnata pronuncia.

Dall’esito del rigoroso accertamento compiuto dal Tribunale per i minorenni, tramite anche l’espletamento di una CTU medica e l’acquisizione delle relazioni, via via aggiornate, redatte dai Servizi sociali, che sin dalla nascita del bambino si erano occupati del caso, sono emerse patologie della F. e suoi dati comportamentali anche in merito al rapporto con il figlio, tali da indurre nel minore carenze materiali ed affettive di tale rilevanza da integrare, di per se’, una situazione di pregiudizio per lo stesso e da incidere negativamente sul processo evolutivo del bambino, impedendone una sana e serena crescita psico – fisica ed un accudimento materno adeguato alle sue esigenze.

Tali riscontri, ancorati anche a diagnosi d’indole medica specialistica, secondo cui la patologia sofferta dalla F. era di ben rilevante gravita’ e di natura non transitoria ne’ recuperabile con certezza e, comunque, in tempi brevi, sono stati dalla Corte di merito integrati tramite l’acquisizione di un’ulteriore, piu’ aggiornata relazione dei Servizi sociali e tramite audizione della psicologa dei medesimi, ulteriormente confermative della situazione materna nonche’ del persistente mancato recupero della competenze genitoriali. Pertanto, le censure che la ricorrente svolge, quali anche quelle rivolte alla conduzione ed all’esito della CTU, si risolvono in inammissibili, generiche critiche, prive di riscontri oggettivi e, dunque, di decisivita’, i dedotti errori valutativi essendo evidentemente smentiti dalla accuratezza dell’accertamento compiuto a fronte anche di una situazione psicopatologica materna che mostrava, soprattutto agli specialisti del campo, segnali di gravita’ talmente evidenti da poter essere agevolmente percepita e diagnosticata, sicche’ l’avversata conclusione si palesa anche coerente con l’univoca significativita’ del complesso dei dati acquisiti ed aggiornati, non avulsi pure da tentativi ed iniziative volti al miglioramento della situazione, non riscontrato neanche in appello. In tale contesto, anche il rigetto dell’istanza di sospensione del procedimento ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 14, appare sorretto da congrue e logiche argomentazioni, aderenti al dettato normativo. Conclusivamente il ricorso della F. deve essere respinto.

Non deve farsi luogo a pronuncia sulle spese del giudizio di legittimita’, stante il mancato svolgimento di attivita’ difensiva da parte degli intimati.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Cosi’ deciso in Roma, il 17 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2010

 

 

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