Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12294 del 09/05/2019

Cassazione civile sez. VI, 09/05/2019, (ud. 06/03/2019, dep. 09/05/2019), n.12294

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3693-2018 proposto da:

PUBBLICA ASSISTENZA CROCE CELESTE GENOVESE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FLAMINIA 109, presso lo studio dell’avvocato BIAGIO BERTOLONE, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANEMILIO

GENOVESI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante in proprio e quale procuratore

speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI I.N.P.S.

(S.C.C.I.) S.p.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto

medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO,

ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO,

ESTER ADA VITA SCIPLINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 386/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 25/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA

DE FELICE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’Appello di Genova riformando quanto al regolamento delle spese del giudizio di merito la sentenza del Tribunale – confermata per il resto integralmente ha rigettato l’opposizione avverso la cartella di pagamento emessa dall’Inps nei confronti della Pubblica Assistenza “Croce Celeste genovese” per mancato versamento di contributi previdenziali per dipendenti formalmente assunti con contratto a progetto, da considerarsi, secondo gli ispettori, lavoratori subordinati a pieno titolo;

la Corte territoriale, in particolare, ha accertato che i lavoratori, addetti al soccorso, trasporto ed intervento su infortunati e traumatizzati, svolgevano prestazioni rientranti nelle attività assistenziali istituzionali dell’ente e che pertanto, non era configurabile in capo agli stessi lo status di lavoratori a progetto (del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61), non essendo stato loro affidato alcun progetto o programma specifico e autonomo finalizzato a un risultato;

facendo valere una presunzione di subordinazione iuris et de iure, stante l’efficacia costitutiva del progetto nella configurazione della corrispondente fattispecie, non ha, dunque, ammesso la prova contraria della sussistenza degli indici sintomatici del lavoro autonomo;

la cassazione della sentenza è domandata dalla “Pubblica Assistenza Croce Celeste genovese” sulla base di quattro motivi, illustrati da successiva memoria; resiste l’Inps con controricorso anche per la Società di Cartolarizzazione crediti Inps (S.C.C.I. s. p.a.);

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, parte ricorrente deduce “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, e/o degli artt. 115 e 116 c.p.c.”; contesta l’affermazione per cui l’attività istituzionale dell’ente sarebbe coincidente con le prestazioni affidate ai lavoratori a progetto, dovendosi la stessa considerare ben più ampia; insiste nel prospettare l’esattezza della qualificazione dei rapporti controversi quale lavoro a progetto, la regolarità dei contratti e della contribuzione versata a favore della gestione separata Inps;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, lamenta “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69”, per avere, la sentenza impugnata, applicato la norma sanzionatoria indicata in epigrafe in senso assoluto, senza ammettere la prova contraria circa le concrete modalità di svolgimento della prestazione, con la conseguenza di estendere la tutela del lavoro subordinato a rapporti privi di tali caratteristiche, con violazione dell’art. 3 Cost.;

col terzo motivo di ricorso, deduce la fondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 69, qualora interpretato nel senso che lo stesso preveda una presunzione assoluta e non relativa nel caso di mancanza di affidamento del progetto, per contrasto con gli artt. 3,36 e 38 Cost., e lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, e/o dell’art. 3 Cost.”;

l’interpretazione offerta dal giudice dell’appello renderebbe applicabile, ai rapporti di lavoro autonomo, le tutele specificamente riservate dalla legge al lavoro subordinato;

col quarto ed ultimo motivo – e in previsione della cassazione con rinvio della sentenza gravata – reitera la richiesta di tutte le istanze istruttorie erroneamente disattese nel giudizio d’appello;

il primo motivo e il secondo motivo, esaminati congiuntamente per connessione, sono inammissibili;

le prospettazioni della ricorrente deducono solo apparentemente una violazione di legge, là dove mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito;

va, pertanto, nel caso in esame, data attuazione al costante orientamento di questa Corte, che reputa “…inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito.” (Cass. n. 18721 del 2018; Cass. n. 8758 del 2017);

il terzo motivo è assorbito;

il quarto e ultimo motivo è inammissibile;

la critica inerente il presunto malgoverno delle prove non si estende alla mancata ammissione di testi, rientrando, tale potere istruttorio, nella piena discrezionalità del giudice del merito; a ciò va aggiunto che, così come prospettata, la riproposizione delle richieste istruttorie in sede di legittimità è priva di pregio, essendo semmai la stessa conseguenziale all’eventuale accoglimento del ricorso;

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

in considerazione dell’esito del giudizio, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, nei confronti del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 6.000 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 6 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019

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