Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12293 del 10/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/05/2021, (ud. 02/02/2021, dep. 10/05/2021), n.12293

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. DORIANO Milena – Consigliere –

Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24959-2017 proposto da:

TERMINAL CALATA ORLANDO SRL, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA GIOVINE ITALIA, 7, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO

CARNEVALI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

SARITA DE LUCA e LUCIANO CANEPA;

– ricorrente –

contro

REGIONE TOSCANA, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA BARBERINI,

12, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO CECCHETTI, rappresentata

e difesa dagli avvocati LUCIA BORA, ARIANNA PAOLETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1262/2017 della COMM. TRIB. REG. TOSCANA,

depositata il 16/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/02/2021 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona del

sostituto procuratore generale Dott. UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

RILEVATO

che:

p. 1. La Terminal Calata Orlando srl propone quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 1262 del 16.5.2017, con la quale la commissione tributaria regionale della Toscana, in riforma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento ed irrogazione di sanzioni notificatole dalla Regione Toscana per il pagamento dell’imposta regionale sulle concessioni del demanio marittimo (L. statale n. 281 del 1970, L.R. nn. 2 del 1971 e n. 85 del 1995) per l’anno 2008. Ciò nella sua qualità di titolare di una concessione demaniale, rilasciatale dall’Autorità Portuale, su un’area situata presso la (OMISSIS), da essa gestita quale terminal polifunzionale per la movimentazione ed il deposito di containers e merci varie.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che:

– come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, l’applicazione dell’imposta regionale sui canoni di concessione per l’occupazione e l’uso del demanio marittimo non trovava ostacolo nel fatto che tali canoni venissero stabiliti dalla Regione, nè che la concessione fosse rilasciata non dallo Stato ma dall’Autorità Portuale;

– era in proposito dirimente, nel senso della imponibilità, la circostanza che la proprietà dell’area oggetto di concessione permanesse pacificamente in capo al demanio statale, indipendentemente dall’autorità cui competeva il rilascio della concessione.

Resiste con controricorso la Regione Toscana.

La società ricorrente ha depositato memoria.

Il PG ha chiesto il rigetto del ricorso richiamando, tra il resto, quanto statuito in materia da Cass. 6714/20.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso la società lamenta – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. n. 281 del 1970, art. 2, della L.R. n. 2 del 1971, art. 1, L. n. 84 del 1994, artt. 6 e 18. Per avere la Commissione Tributaria Regionale affermato la legittimità della pretesa impositiva, nonostante che il tributo regionale fosse qui applicato su un canone di concessione fissato non dallo Stato (come previsto in via generale dall’art. 36 c.n.) nè dalla Regione in base a criteri generali e tassativamente specificati (come avveniva per i diversi canoni per attività turistico-ricreative o di sfruttamento geotermico), ma – in autonomia e per competenza, non dunque per delega – dalla stessa Autorità Portuale con fini particolari di organizzazione e promozione della struttura portuale. In assenza del carattere statuale e generale del canone concessorio, veniva meno il presupposto per l’applicazione del tributo regionale su di esso, indipendentemente dalla proprietà statale dell’area (mai messa in discussione).

p. 2.2 Il motivo è infondato.

In base alla L. n. 281 del 1970, art. 2: “1. L’imposta sulle concessioni statali si applica alle concessioni per l’occupazione e l’uso di beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato siti nel territorio della Regione, ad eccezione delle concessioni per le grandi derivazioni di acque pubbliche. 2. Le Regioni determinano l’ammontare dell’imposta in misura non superiore al triplo del canone di concessione. 3. L’imposta è dovuta dal concessionario, contestualmente e con le medesime modalità del canone di concessione ed è riscossa, per conto delle Regioni, dagli uffici competenti alla riscossione del canone stesso”.

La L.R. n. 2 del 1971, art. 1, comma 1, introduceva in Toscana, conformemente a quanto così stabilito, “l’imposta regionale sulle concessioni statali per l’occupazione e l’uso dei beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato, situati nell’ambito territoriale della Regione”.

Questa disposizione, comma 2, lett. c), commisurava l’imposta regionale “relativamente alle concessioni di beni del demanio marittimo, al 25 per cento (nel periodo di specie, 15 per cento, ndr) del canone statale di concessione e del canone assunto a base di calcolo degli indennizzi di cui al D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, art. 8 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito, con modificazioni, dalla L. 4 dicembre 1993, n. 494”.

La L.R. n. 77 del 2012, art. 11, ha eliminato il tributo nei seguenti termini: “Alla L.R. 30 dicembre 1971, n. 2, art. 1, comma 2, (Istituzione dei tributi propri della Regione), dopo le parole: “acque pubbliche.” sono inserite le seguenti: “L’imposta regionale sulle concessioni statali per l’occupazione e l’uso dei beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato istituita ai sensi della L. n. 281 del 1970, art. 2, non si applica, a decorrere dal periodo d’imposta 2013, alle concessioni rilasciate dall’Autorità portuale di Piombino di cui al D.P.R. 20 marzo 1996, art. 1 (Istituzione dell’autorità portuale nel porto di Piombino) e dalle Autorità portuali di Livorno e Marina di Carrara di cui alla L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 6 (Riordino della legislazione in materia portuale).”.

Ciò premesso, la questione del rapporto intercorrente tra il tributo regionale sul canone concessorio e la natura della concessione incisa è già stata più volte affrontata – sul piano tanto soggettivo quanto oggettivo da questa corte di legittimità, la quale è sul punto pervenuta a conclusioni univoche e pienamente confacenti anche al caso di specie (concessione demaniale marittima di banchina e terminal portuale).

L’articolato indirizzo che ne è derivato, e che merita qui conferma ed applicazione, può così riassumersi:

– l’eliminazione del tributo da parte della L.R. Toscana n. 77 del 2012 cit., art. 11, comma 1, non ha effetto retroattivo, ma opera (come del resto testualmente previsto) solo a decorrere dall’annualità 2013, risultando pertanto ininfluente ai fini della presente causa, in quanto relativa ad annualità pregressa nella quale l’imposta era ancora vigente (Cass. n. 6061/17 tra le stesse parti oggi in causa, per l’annualità 2006);

– questa eliminazione costituisce il frutto di una scelta puramente discrezionale del legislatore regionale (consentitagli dall’ordinamento nazionale) nell’ambito della manovra di bilancio (legge finanziaria regionale per l’anno 2013) incidente su tributi propri, sicchè non può ad essa attribuirsi alcun significato o efficacia di “sostanziale riconoscimento dell’infondatezza della pretesa impositiva” riferita ad annualità pregresse (Cass. n. 6061/17 cit.);

– l’attribuzione alle Regioni, su delega da parte dello Stato, di funzioni in materia di rilascio delle concessioni e la devoluzione ad esse dei relativi canoni, non è di per sè idonea a far venire meno il presupposto dell’imposta in esame, individuato dal combinato disposto della L. n. 281 del 1970, art. 2 e della L.R. n. 2 del 1971, art. 1, “nella titolarità di una concessione statale su un bene, per l’occupazione e l’uso di beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato”, ciò perchè tale presupposto va individuato non nell’esistenza di una concessione rilasciata dallo Stato, bensì nel fatto oggettivo dell’occupazione e dell’uso assentiti dei beni demaniali o del patrimonio indisponibile, indipendentemente dall’Autorità cui competa per legge il rilascio della relativa concessione (così Cass. n. 11655/15, in tema di concessione per lo sfruttamento di risorse geotermiche del D.Lgs. n. 112 del 1998, ex art. 34, comma 1, ma sulla base di un principio sistematico e di portata generale);

la conformità del tributo alla riserva (relativa) di legge ex art. 23 Cost. deve ritenersi assicurata dal fatto che gli elementi costitutivi del tributo in questione sono fissati per legge statale, nel senso che la L. n. 281 del 1970, art. 2, individua il presupposto impositivo (come appena descritto), i soggetti passivi d’imposta (concessionari di beni del demanio e del patrimonio indisponibile) e la base imponibile (costituita dallo stesso canone di concessione), ed in ambito regionale, la cit. L. n. 2 del 1971 (art. 1, comma 3) prevede che l’imposta sia appunto commisurata ad una prestabilita percentuale (aliquota) del canone di concessione statale; ebbene, per quanto specificamente concerne le concessioni demaniali marittime, la disciplina nazionale (D.L. n. 400 del 1993 conv. in L. n. 494 del 1993) detta altresì i criteri per la determinazione dei canoni (cioè della base imponibile), stabilendo per quanto qui rileva che (art. 7) “1. Gli enti portuali potranno adottare, per concessioni demaniali marittime rientranti nel proprio ambito territoriale, criteri diversi da quelli indicati nel presente decreto, che comunque non comportino l’applicazione di canoni inferiori rispetto a quelli che deriverebbero dall’applicazione del decreto stesso” (Cass. ord. nn. 21136 – 21137 – 21138/16 aventi riguardo a concessione di beni del demanio marittimo, da parte dell’Autorità Portuale, a favore di circoli nautici della Toscana);

vale, sul punto, quanto già osservato sia da Cass. SSUU. n. 18262/04 circa il fatto che: “L’art. 23 Cost., contenente una riserva relativa di legge, vieta che le prestazioni personali o patrimoniali siano imposte direttamente da una fonte secondaria, ma non esclude che il precetto legislativo possa essere da detta fonte integrato, essendo anche ammissibile il rinvio a provvedimenti amministrativi diretti a determinare elementi o presupposti della prestazione, purchè risultino assicurate, mediante la previsione di adeguati parametri, le garanzie in grado di escludere un uso arbitrario della discrezionalità amministrativa”, sia dalla Corte Costituzionale (con giurisprudenza costante: sent. nn. 343/95, 150/03, 286/04) in ordine al fatto che la potestà di imposizione e riscossione del canone demaniale segua la titolarità dominicale del bene, e non quella delle funzioni legislative o amministrative di altri enti (quali le stesse Autorità Portuali) che si concretano nell’esercizio del potere concessorio, o autorizzatorio, circa l’utilizzazione del bene stesso.

Orbene, questo indirizzo (più recentemente ribadito da Cass. n. 6714/20 cit.) contiene elementi univoci per disattendere la doglianza della società contribuente posto che, sul piano della soggettività impositiva, la natura regionale del tributo non confligge con la natura statuale della concessione, a sua volta derivante dal diritto dominicale esercitato dallo Stato sui beni del demanio marittimo concessi in uso dalla autorità portuale (il che integra, come detto, il presupposto dell’imposta); sul piano della determinazione obiettiva, poi, gli elementi costitutivi dell’imposizione discendono da criteri di legge, ferma restando la ricorribilità in sede giurisdizionale di quei canoni concessori che l’autorità portuale abbia in ipotesi fissato in violazione di tali criteri e, più in generale, dei parametri di proporzionalità e ragionevolezza.

La società contribuente assume che questi principi (elaborati con riguardo a diverse fattispecie) non varrebbero per la specificità delle concessioni demaniali marittime aventi ad oggetto, ex art. 36 codice della navigazione, non già le attività turistico-ricreative, di traffico passeggeri, cantieristiche e commerciali, ma proprio l’uso di banchina e terminal.

Ciò perchè, da un lato, i canoni per queste ultime concessioni verrebbero stabiliti autonomamente dalle autorità portuali senza prefissazione di parametri generali desumibili dalla legge e perchè, dall’altro, essi risponderebbero a finalità del tutto peculiari, in quanto afferenti alla realizzazione di linee e programmi di sviluppo e promozione delle strutture portuali elaborate dalle stesse autorità portuali; tanto che le relative concessioni possono essere rilasciate solo a favore di società terminaliste che presentino determinati requisiti tecnico-professionali ed organizzativi, e sempre in vista di quella realizzazione (la cui mancanza può determinare la revoca stessa del titolo concessorio).

Questo argomentare non convince, dal momento che esso si basa su elementi e peculiarità che non sono in grado di incidere sull’assetto della materia così come sopra delineato. Si tratta infatti di argomenti che valorizzano, in asserita funzione discriminante, la particolare finalità delle concessioni in esame e le particolari modalità di autonoma determinazione dei canoni (peraltro, come visto, anch’esse radicate nella previsione di legge), senza però minimamente attingere o porre in discussione gli indicati fattori di legittimità del tributo, concernenti i – tutt’affatto diversi profili della fruizione del bene demaniale marittimo da parte del privato (quale presupposto d’imposta) e della previsione legale degli elementi costitutivi della imposizione. Come detto, si tratta di profili incentrati in maniera esaustiva sul godimento del bene pubblico, indipendentemente dall’autorità investita della potestà normativa o amministrativa in materia, così come dalla maggiore o minore autonomia (rispetto alla legge) nella determinazione dei canoni.

Sicchè non può fondatamente affermarsi che l’imposta non sia dovuta sol perchè afferente ad una concessione demaniale marittima asseritamente “diversa” dalle altre, là dove tale diversità opererebbe su piani (sostanzialmente riconducibili, appunto, agli obiettivi della concessione ed ai criteri di determinazione dei canoni) del tutto estranei alla fattispecie impositiva.

E neppure potrebbe tralasciarsi di considerare come tali piani non siano, del resto, neppure in grado di snaturare e rendere avulse le concessioni in questione rispetto al regime generale loro proprio, non essendo in discussione che quelle finalità organizzative e promozionali della struttura portuale non siano comunque in grado di far venir meno la precipua e preminente finalizzazione concessoria all’uso ed all’occupazione del bene demaniale marittimo per lo svolgimento di attività imprenditoriale, assunta essa stessa dal legislatore ad indice di capacità contributiva ex art. 53 Cost..

Ricorre, anche in proposito, il costante orientamento di legittimità (tra le altre: Cass. n. 23067/19; 10674/19; 8536/19) riferito al regime giuridico di classamento catastale delle strutture portuali vigente anteriormente all’introduzione della L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 578, secondo cui la funzione imprenditoriale e concorrenziale esercitata dalle società portuali terminaliste operanti in regime di concessione demaniale assume rilievo preminente ai fini del suddetto classamento e della correlativa imponibilità Ici delle aree, pur in presenza di un indubbio interesse pubblico allo svolgimento di tale funzione ed all’incremento e miglioramento dei servizi portuali connessi.

p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. n. 281 del 1970, art. 2, u.c., della L.R. n. 2 del 1971, art. 2 e della L. n. 212 del 2000, art. 10. Per avere la Commissione Tributaria Regionale ritenuto legittima la pretesa impositiva per l’intero anno 2008, nonostante che, per tale annualità, il canone fosse stato stabilito in acconto solo fino al 16 luglio 2008 (data di scadenza della concessione), per trovare poi determinazione per l’intera annualità, con effetto retroattivo, solo con il provvedimento dell’autorità portuale del 13 febbraio 2013, di assenso al rinnovo fino al 31 dicembre 2012. Ciò faceva sì che il tributo (con aliquota del 15 %) potesse essere preteso, a tutto concedere, solo sulla parte di canone maturata fino al luglio 2008 e, inoltre, con esclusione degli interessi di mora, visto anche l’affidamento della società contribuente sul comportamento della Regione (che non aveva per anni preteso alcunchè a titolo di imposta sul canone) e su talune circolari e note del Ministero Finanze in materia (maggio 1972, 25 maggio 2000, 19 aprile 2007, 28 febbraio 2012).

Con il terzo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla eccezione di illegittimità delle sanzioni amministrative pecuniarie (già dedotta in primo grado e ribadita in appello) per contrasto con il D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 5-6 e della L. n. 212 del 2000, art. 10. Tale illegittimità discendeva dalla buona fede della società contribuente circa la non debenza del tributo, tanto che la stessa Regione Toscana si era astenuta dal pretenderne il pagamento fino al dicembre 2011 (a cominciare dall’annualità 2006, la prima non prescritta), per poi senz’altro abolirlo nel dicembre 2012, a riconoscimento della sua illegittimità, ai sensi del D.Lgs. n. 68 del 2011. Nel senso della non debenza, poi, deponevano le citate interpretazioni ministeriali.

p. 3.2 I due motivi, suscettibili di trattazione unitaria per la stretta connessione delle questioni giuridiche poste, sono fondati.

La L. n. 212 del 2000, art. 10, stabilisce che: “1. I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede. 2. Non sono irrogate sanzioni nè richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorchè successivamente modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione stessa”.

Si è in proposito affermato (Cass. ord. n. 537/15) che: “in tema di legittimo affidamento del contribuente di fronte all’azione dell’Amministrazione finanziaria, ai sensi dello Statuto del contribuente, art. 10, commi 1 e 2, costituisce situazione tutelabile quella caratterizzata: a) da un’apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione finanziaria, in senso favorevole al contribuente; b) dalla buona fede del contribuente, rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo; c) dall’eventuale esistenza di circostanze specifiche e rilevanti, idonee a indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono. Infatti, i casi di tutela espressamente enunciati dal cit. art. 10, comma 2 (attinenti all’area della irrogazione di sanzioni e della richiesta di interessi), riguardanti situazioni meramente esemplificative e legate a ipotesi ritenute maggiormente frequenti, non limitano la portata generale della regola, idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti”.

Si è inoltre osservato che la presenza di circolari amministrative ingeneranti un’interpretazione erronea della disciplina tributaria – ancorchè non vincolanti, nè esimenti dal pagamento del dovuto – può tuttavia incidere sull’affidamento del contribuente, così da giustificare la non debenza delle sanzioni e degli interessi moratori (Cass. n. 5934/15; 10195/16 ed altre).

Orbene, nel caso di specie ricorrono almeno tre convergenti evenienze che giustificano l’eliminazione degli accessori per sanzioni ed interessi di mora ai sensi del L. n. 212 del 2000, richiamato art. 10.

Queste evenienze vanno così individuate:

– l’effettiva emanazione negli anni di circolari e risoluzioni evidenzianti il dubbio interpretativo ed apparentemente legittimanti il mancato pagamento del tributo regionale qualora ricollegato a canoni concessori stabiliti in via contrattuale e non sulla base dei criteri di legge generali ed astratti, come nel caso delle concessioni in oggetto (Nota Min. Finanze 365/72; Nota Min. Finanze 10389/06; Circ. Min. Infrastrutture e Trasporti – Direzione Porti n. 45/12); ancorchè gli enti emananti queste fonti interpretative siano diversi dall’ente impositore (Regione), rileva tuttavia che la tipicità del caso è data proprio dalla già richiamata complessità del tributo in questione e del suo presupposto costitutivo, certamente riferibile anche, ed in massima parte, proprio all’amministrazione finanziaria centrale che tali indicazioni ha fornito (proprietà demaniale statale del bene in concessione; regime generale delle concessioni su aree portuali; legislazione statale istitutiva);

– il dato oggettivo della mancata richiesta di pagamento dell’imposta, da parte della Regione Toscana, per moltissimi anni (fino al 2011) dalla sua introduzione con la legge regionale n. 2/71 cit.; mancata richiesta alla quale avrebbe fatto seguito, già nel 2012, senz’altro l’eliminazione del tributo per l’area portuale qui dedotta (pur non comportante, come già evidenziato, alcun riconoscimento di infondatezza della pretesa da parte dell’amministrazione regionale);

– la particolare situazione (certamente rilevante perchè incidente sulla base imponibile del tributo e sulla sua esigibilità) nella quale venne a trovarsi la società ricorrente nella annualità in questione, allorquando la concessione venne a scadere (luglio) protraendosi per anni in regime provvisorio e senza la determinazione dell’esatto canone dovuto fino a compimento di quella annualità, oltre che per le annualità successive; determinazione che sarebbe poi intervenuta, con effetto retroattivo, soltanto con il rilascio della nuova concessione nel febbraio 2013.

E’ dunque evidente come l’esclusione degli accessori in esame non derivi da uno scostamento degli indirizzi di legittimità già dettati in materia, ma anzi proprio dalla loro applicazione nel concorso di fattori del tutto peculiari alla fattispecie.

p. 4.1 Con il quarto motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – nullità della sentenza per violazione dell’obbligo motivazionale in ordine alla regolazione delle spese di lite, dal momento che la Commissione Tributaria Regionale aveva, in motivazione, argomentato sulla compensazione integrale delle medesime “in considerazione che la materia è tuttora in discussione”, salvo poi, nel dispositivo, porle contraddittoriamente a carico della società appellata.

p. 4.2 Il motivo deve trovare assorbimento nella cassazione – in accoglimento dei motivi che precedono – della sentenza della CTR, con conseguente diversa regolazione delle spese dei gradi di merito.

Spese che vanno compensate in ragione dei già rilevati elementi di non univoca interpretazione della disciplina, della solo parziale soccombenza, nonchè del consolidarsi in corso di lite del su richiamato indirizzo giurisprudenziale.

Stesso criterio di compensazione deve quindi valere anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte:

accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, respinto il primo ed assorbito il quarto;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della società contribuente limitatamente alle sanzioni ed agli interessi moratori;

compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, tenutasi con modalità da remoto, il 2 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2021

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